unità immobiliare abusiva

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oraziococlite pubblicato 10 gennaio 2022

Buongiorno,

a Luglio mi sono aggiudicato un immobile all'asta e ad Ottobre ho ricevuto il decreto di trasferimento. Ho quindi attivato un tecnico per l'accesso agli atti da cui sembra (nel senso che i tecnici comunali non sono riusciti a recuperare tutta la documentazione) che una delle unità immobiliari, una rimessa che cuba circa il 25% del valore dell'intero lotto, sia abusiva. Mi chiedo quindi:

1) se si configura un caso di aliud pro alio

2) se non avendo ancora un'evidenza formale dell'abuso ci siano ancora i tempi per far valere tale ipotesi

Ringrazio anticipatamente  

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robertomartignone pubblicato 10 gennaio 2022

Prima cosa va verificata attentamente la perizia del CTU . Comunque sta all ' aggiudicatario sanare il tutto .

inexecutivis pubblicato 14 gennaio 2022

Per rispondere all’interrogativo formulato riteniamo che occorra partire dalla previsione dell’art. 2922 c.c., a mente del quale nella vendita esecutiva non trova applicazione la disciplina della garanzia per i vizi della cosa venduta.

Questa norma , che per costante giurisprudenza si applica anche alle vendite fallimentari (crf., sul punto, cass. Ordinanza n. 14165 del 12/07/2016) riguarda le fattispecie prefigurate dagli artt. da 1490 a 1497 c.c. (vizi e mancanza di qualità della cosa), ma non l'ipotesi di consegna di "aliud pro alio", configurabile, invece, se il bene aggiudicato:

1. appartenga ad un genere affatto diverso da quello indicato nell'ordinanza di vendita;

2. oppure manchi delle particolari qualità necessarie per assolvere alla sua naturale funzione economico sociale;

3. oppure ancora quando ne sia del tutto compromessa la destinazione all'uso previsto e che abbia costituito elemento dominante per l'offerta di acquisto.

Tuttavia, nella giurisprudenza della Corte di Cassazione si va affermando il principio per cui “La differenza strutturale tra la vendita forzata e quella negoziale è ostativa all'adozione, per la prima, di una nozione lata di "aliud pro alio", con la conseguenza che la nullità del decreto di trasferimento è ravvisabile solo in caso di radicale diversità del bene oggetto di vendita forzata ovvero se ontologicamente diverso da quello sul quale è incolpevolmente caduta l'offerta dell'aggiudicatario, oppure perché, in una prospettiva funzionale, dopo il trasferimento risulti definitivamente inidoneo all'assolvimento della destinazione d'uso che, presa in considerazione nell'ordinanza di vendita, ha costituito elemento determinante per l'offerta dell'aggiudicatario” (Cass. Sez. III, 29 gennaio 2016, n. 1669. Si trattava del caso in cui una unità abitativa la cui inagibilità, dichiarata dal Comune per la presenza di elementi inquinanti, ed emersa solo a seguito di una integrazione della perizia di stima depositata dopo il versamento del prezzo da parte dell'aggiudicatario, ed era solo temporanea per la piena recuperabilità della salubrità dell'immobile).

Ciò detto, ove dovesse risultare che oggettivamente si tratta di una ipotesi di aliud pro alio, nei termini che abbiamo esplicitato, si pone il problema delle modalità attraverso cui l’aggiudicatario può avvalersi del rimedio.

In passato si contendevano il campo due tesi dottrinarie. La prima riteneva l’aggiudicatario un acquirente tout court, e dunque, titolare degli stessi rimedi processuali generalmente riconosciuti in caso di vendita di aliud pro alio; la seconda invece argomentava nel senso che, poiché la vendita si inserisce nell’ambito di un iter processuale con regole sue proprie, ad essa soggiace, con la conseguenza che l’aliud pro alio deve essere fatto valere nei limiti dell’opposizione agli atti esecutivi.

Anche in giurisprudenza si riscontrava un certo contrasto.

Nella sentenza n. 4378 del 20 marzo 2012 (Pres. Filadoro, Est. Barreca), si è affermato, in continuità con precedenti arresti della giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., Sez. III, 13 maggio 2003, n. 7294; Sez. II, 3 ottobre 1991, n. 10320) che mentre i soggetti del processo esecutivo, diversi dall’aggiudicatario, possono fare valere la diversità del bene venduto rispetto a quello staggìto soltanto con una (tempestiva) opposizione agli atti esecutivi avverso il provvedimento di aggiudicazione e gli atti successivi e conseguenti, l’acquirente aggiudicatario ha a disposizione gli stessi strumenti di tutela azionabili in caso di vendita volontaria.

In consapevole contrasto con questa pronuncia si è invece posta la sentenza n. 7708 del 2 aprile 2014, (Pres. Russo, Est. De Stefano), secondo cui l’aggiudicatario di un bene pignorato ha l’onere di far valere l’ipotesi di aliud pro alio (che si configura ove la cosa appartenga a un genere del tutto diverso da quello indicato nell’ordinanza, ovvero manchi delle particolari qualità necessarie per assolvere la sua naturale funzione economico-sociale, oppure risulti del tutto compromessa la destinazione della cosa all’uso che, preso in considerazione nell’ordinanza di vendita, abbia costituito elemento determinante per l’offerta di acquisto) con il solo rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi e quest’ultima deve essere esperita comunque - nel limite temporale massimo dell’esaurimento della fase satisfattiva dell’espropriazione forzata, costituito dalla definitiva approvazione del progetto di distribuzione - entro il termine perentorio di venti giorni dalla legale conoscenza dell’atto viziato, ovvero dal momento in cui la conoscenza del vizio si è conseguita o sarebbe stata conseguibile secondo una diligenza ordinaria.

Quest’ultimo indirizzo è stato poi confermato, seppur meglio precisato, dalla sentenza 29 gennaio 2016, n. 1669, e dalla Ordinanza n. 11729 del 11/05/2017, le quali hanno affermato che il termine di cui all’art. 617 c.p.c. “decorre dalla conoscenza del vizio o delle difformità integranti la diversità del bene aggiudicato rispetto a quello offerto, occorrendo, conseguentemente, anche fornire la prova della tempestività della relativa opposizione all’interno del processo esecutivo”.

Traendo le fila del discorso sin qui compiuto, riteniamo che se l'abuso non fosse sanabile a nostro avviso l'aliud pro alio ricorre. Se questo abuso dovesse essere stato indicato in perizia, i tempi per farlo valere sarebbero certamente decorsi. In caso contrario bisognerebbe dimostrare di aver fatto tempestiva istanza di accesso agli atti del comune. Se il decreto di trasferimento è di ottobre occorrerebbe capire quando è stata protocollata l'istanza di accesso agli atti e quando si è ricevuta formale risposta dal comune. 

oraziococlite pubblicato 09 febbraio 2022

Buongiorno, con un po' di fatica siamo riusciti a recuperare in comune il titolo abitativo per l'unità immobiliare in questione, che risulta quindi non abusiva. Tuttavia, i tecnici comunali hanno rilevato un'importante difformità urbanistica in quanto la copertura in cemento non soddisfa i requisiti antisimici e hanno chiesto la demolizione e ricostruzione a norma della copertura. In perizia il CTU non ha citato il titolo abitativo dell'unità immobiliare in questione e riportava solo difformità minori:

"Non ci sono difformità sugli alloggi.

Le uniche difformità sono relative ad una modifica interna ed esterna nell’unità ad uso garage e  deposito, mappale 13 sub 1 e 2. La modifica consiste nella realizzazione di un bagno all’interno della  eposito sub 2 e nel tamponamento della porta di ingresso sul muro esterno. Nell’unità ad uso rimessa  ub 1, le modifiche consistono nella realizzazione di una porta di collegamento con l’unità sub 2 e nella realizzazione di una pavimentazione con un gradino che non consente di utilizzarla come garage, inoltre è stata installata una vetrina al posto del portone da garage"

  e   "Le difformità di carattere minore, sono sanabili con una pratica edilizia, il cui costo è già stato  computato all’interno del valore degli immobili"  

Al contrario, tra interventi edilizi e spese professionali il costo per sanare la difformità si aggireranno intorno ai 20.000 euro. Alla luce di quanto esposto ci sono gli estremi per rivalersi sul CTU?  

Grazie

robertomartignone pubblicato 09 febbraio 2022

In via teorica si , in pratica non la vedo molto semplice .

inexecutivis pubblicato 12 febbraio 2022

Difficile dare una risposta precisa senza uno studio approfondito degli atti.

La domanda formulata richiede una risposta articolata.

A norma dell’art. 173-bis disp. att. c.p.c., nell’elaborato peritale l’esperto stimatore è tenuto a riportare (tra l’altro):

- “La verifica della regolarità edilizia e urbanistica del bene nonché l’esistenza della dichiarazione di agibilità dello stesso previa acquisizione o aggiornamento del certificato di destinazione urbanistica previsto dalla vigente normativa”;

- “In caso di opere abusive, il controllo della possibilità di sanatoria ai sensi dell’art. 36 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e gli eventuali costi della stessa; altrimenti, la verifica sull’eventuale presentazione di istanze di condono, indicando il soggetto istante e la normativa in forza della quale l’istanza sia stata presentata, lo stato del procedimento, i costi per il conseguimento del titolo in sanatoria e le eventuali oblazioni già corrisposte o da corrispondere; in ogni altro caso, la verifica, ai fini della istanza di condono che l’aggiudicatario possa eventualmente presentare, che gli immobili pignorati si trovino nelle condizioni previste dall’art. 40, comma 6, della legge 28 febbraio 1985, n. 47 ovvero dall’art. 46, comma 5 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, specificando il costo per il conseguimento del titolo in sanatoria”;

- “L’informazione sull’importo annuo delle spese fisse di gestione o di manutenzione, su eventuali spese straordinarie già deliberate anche se il relativo debito non sia ancora scaduto, su eventuali spese condominiali non pagate negli ultimi due anni anteriori alla data della perizia, sul corso di eventuali procedimenti giudiziari relativi al bene pignorato”.

Una perizia completa evita possibili future contestazioni e incentiva all'acquisto, poiché un paniere informativo ampio soddisfa la fondamentale esigenza di qualunque potenziale offerente di conoscere nel modo più dettagliato possibile ciò che si accinge ad acquistare. Emblematica, sul punto, Cass. 2 aprile 2014, n. 7708, secondo la quale “il bando di vendita – e, prima di esso, l’ordinanza del giudice che pone in vendita il bene, a sua volta fondata sulla descrizione datane nel pignoramento prima e nella relazione dell’esperto poi – corrisponde a quella che, nella vendita volontaria, sarebbe una proposta contrattuale di compravendita”

L’aggiudicatario di un immobile il quale si avveda che il bene acquistato presenta vizi occulti, non conoscibili con l’ordinaria diligenza, non può agire per la risoluzione della vendita o ottenere la riduzione del prezzo, oppure ancora il risarcimento del danno nei confronti della procedura. Ad impedirlo è l’art. 2922 c.c., il quale esclude esplicitamente che nella vendita esecutiva trovi applicazione la disciplina della garanzia per i vizi della venduta.

Questo tuttavia non vuol dire che egli sia sprovvisto in assoluto di rimedi.

Infatti, egli potrà eventualmente agire nei confronti del perito stimatore, il quale soggiace alle regole generali in tema di responsabilità civile, e dunque all’art. 2043 c.c., che impone l'obbligo del risarcimento del danno a colui che compie un fatto illecito con dolo o colpa.

Secondo la giurisprudenza “L'esperto nominato dal giudice per la stima del bene pignorato è equiparabile, una volta assunto l'incarico, al consulente tecnico d'ufficio, sicché è soggetto al medesimo regime di responsabilità ex art. 64 c.p.c., senza che rilevi il carattere facoltativo della sua nomina da parte del giudice e l'inerenza dell'attività svolta ad una fase solo prodromica alla procedura esecutiva. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di condanna dell'ausiliare, che aveva proceduto a stima viziata, per difetto, nel computo della superficie dell'immobile, al risarcimento dei danni in favore di coloro cui era stata revocata, in conseguenza di tale errore, l'aggiudicazione in sede esecutiva)”. (Cass., 18.9.2015, n. 18313).

Nello stesso solco si è collocata, per altro recentemente, Cass., 23.6.2016, n. 13010, la quale ha affermato che “Il perito di stima nominato dal giudice dell'esecuzione risponde nei confronti dell'aggiudicatario, a titolo di responsabilità extracontrattuale, per il danno da questi patito in virtù dell'erronea valutazione dell'immobile staggito, solo ove ne sia accertato il comportamento doloso o colposo nello svolgimento dell'incarico, tale da determinare una significativa alterazione della situazione reale del bene destinato alla vendita, idonea ad incidere causalmente nella determinazione del consenso dell'acquirente. (Nella specie, la S.C. ha escluso la responsabilità del perito in relazione ai costi sostenuti dall'aggiudicatario per la regolarizzazione urbanistica dell'immobile acquistato, maggiori rispetto a quelli indicati in perizia, evidenziando come gli stessi fossero ricollegabili ad una disattenzione dell'acquirente, che non aveva considerato la mancanza, pur rappresentata dall'ausiliario nel proprio elaborato, di alcuni documenti importanti ai fini della valutazione di tali oneri)”.

Recentemente, una pronuncia di merito ha ribadito che è applicabile allo stimatore la speciale limitazione di responsabilità di cui all’art. 64 c.p.c., per cui lo stesso, in caso di erronea esecuzione degli atti che gli sono richiesti, può essere ritenuto responsabile solo laddove la condotta sia connotata da “colpa grave”, e quindi esclusivamente nelle ipotesi in cui egli abbia espletato l’incarico con grave ed inescusabile negligenza oppure in modo imperito (trib. Torino, 11.9.2020, n. 2946. Negli stessi termini anche Trib. Verona, 19.3.2013).

Quella dello stimatore, è una obbligazione di mezzi, e dunque la diligenza dovuta è quella di cui all’art. 1176, comma secondo, c.p.c.; se poi nello svolgimento dell’incarico egli è stato chiamato a svolgere di prestazioni di particolare difficoltà, la sua diligenza dovrà essere valutata secondo i criteri di cui all’art. 2236 c.c.. In questi termini si è pronunciata Cass. 2.2.2010, n. 2359, con riferimento al caso in cui lo stimatore aveva erroneamente determinato la superficie di un immobile pignorato, la quale aveva determinato una alterata determinazione del prezzo base.

Il tema della responsabilità dello stimatore è ripreso, da ultimo, da Cass. SezIII, 20.10.2020, n. 22854 riguardante il caso del proprietario di un bene acquistato in seno ad una procedura esecutiva immobiliare il quale conveniva in giudizio, tra gli altri, lo stimatore, per ottenere la restituzione di una parte del prezzo versato, sull'assunto che il bene acquistato aveva una superficie complessivamente inferiore a quella indicata nella relazione di stima, ed in base alla quale era stato determinato il prezzo base di vendita. La domanda, rigettata in primo e secondo grado, con decisione confermata in cassazione.

La Corte di legittimità ricorda in primo luogo che in sede di merito era stato accertato che l'aggiudicatario aveva avuto la possibilità di rendersi conto della effettiva dimensione del cespite erroneamene misurato (giardino pertinenziale dell’unità immobiliare) avendo visitato personalmente l'immobile prima della gara ed avendo preso visione della relazione di stima, cui era allegata una planimetria dalla quale emergeva ictu oculi che la sua superficie era all'incirca pari a quella dell'appartamento e non quattro volte superiore, come risultava invece dall'indicazione palesemente erronea espressa in metri quadrati nella relazione stessa.

Aggiunge poi che, sebbene il prezzo base dell'immobile fosse stato determinato anche in relazione alla superficie erroneamente quantificata, la gara aveva visto la partecipazione di una pluralità di offerenti, i cui rilanci avevano condotto ad un prezzo di aggiudicazione circa doppio rispetto a quello base, così disvelando che l'erronea determinazione del prezzo base da parte dell'esperto non aveva determinato, in concreto, l'aggiudicazione dell'immobile ad un prezzo superiore a quello per il quale esso sarebbe stato aggiudicato nel caso in cui il prezzo base fosse stato determinato nell'importo inferiore corrispondente a quello derivante dalla corretta indicazione della superficie.

oraziococlite pubblicato 14 febbraio 2022

Grazie per la dettagliata risposta. Immagino quindi che il punto sia capire se il difetto nella perizia costiuisca "colpa grave" e quindi si applichi l'art. 64 c.p.c.

D'altronde mi sembra che dalla giurisprudenza citata i casi in cui sia stata data ragione all'aggiudicatario non siano tantissimi

inexecutivis pubblicato 17 febbraio 2022

esatto

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