A nostro avviso la risposta alla domanda impone di distinguere le diverse situazioni prospettate.
La disciplina dell’offerta minima, introdotta in seno alle vendite esecutive dal d.l. n. 83/2015, è strettamente connessa all’istituto dell’assegnazione, che tradizionalmente non torva applicazione in seno alle vendite fallimentari (se non, riteniamo, in particolarissime ipotesi), con la conseguenza in sede di liquidazione dell’attivo fallimentare al prezzo base non può accompagnarsi la offerta minima.
Per la stessa ragione riteniamo che la disciplina dell’offerta minima non trovi applicazione nei giudizi di divisione “ordinaria”, vale a dire nei giudizi di scioglimento della comunione che non trovano la loro origine nel pignoramento della quota, ma esclusivamente nel diritto soggettivo di ciascun condividente di chiedere in ogni momento lo scioglimento della comunione. In questi giudizi l’istanza di assegnazione è disciplinata dall’art. 720 c.c., e si configura come diritto soggettivo del condividente del tutto sganciata dalla disciplina dell’assegnazione di cui agli artt. 506, 506, 588 e 589 c.p.c., in ragione del fatto per cui l’art. 720 riconosce questa prerogativa ai comproprietari, laddove l’istituto dell’assegnazione di cui alle richiamate norme del codice di procedura civile è pensato per i creditori.
A conclusioni diverse, riteniamo, debba giungersi con riferimento alla applicabilità dell’istituto della assegnazione ai giudizi di divisione endoesecutiva. Qui, invero, da un lato non vi sono ostacoli sistematici che impediscono l’applicazione dell’istituto; dall’altro, la giurisprudenza (Cass. civ., sez. III, 18 aprile 2012, n. 6072) ha affermato che “In tema di espropriazione di beni indivisi, il giudizio con cui si procede alla divisione (cd. divisione endoesecutiva), pur costituendo una parentesi di cognizione nell'ambito del procedimento esecutivo, dal quale rimane soggettivamente ed oggettivamente distinto, tanto da non poterne essere considerato né una continuazione né una fase, è, tuttavia, ad esso funzionalmente correlato. Ne consegue che il giudizio di divisione dei beni pignorati non può essere iniziato e, se iniziato, non può proseguire ove venga meno in capo all'attore la qualità di creditore e, con essa, la legittimazione e l'interesse ad agire, a meno che a tale deficienza - originaria o sopravvenuta - non si rimedi con una valida domanda di scioglimento della comunione formulata dal debitore convenuto, da altro creditore munito di titolo esecutivo, o, ancora, da alcuno dei litisconsorti necessari indicati nell'art. 1113, terzo comma, cod. civ..”.
Se dunque tra la procedura esecutiva ed il giudizio di divisione che da essa promana esiste siffatto collegamento “funzionale”, (laddove siffatta funzionalità deve essere riferita alla tutela del credito) siamo del parere che tutte le regole che questa “funzionalità” assicurano debbano trovare applicazione, ivi compresa quella relativa alla disciplina dell’offerta minima.