A nostro avviso la risposta ipotizzata nella domanda non è scontata, poiché a questo fine occorrerebbe procedere ad una lettura complessiva degli atti che sono stati oggetto di pubblicità ai sensi dell'art. 490 c.p.c., ed in primo luogo dell'ordinanza di vendita pronunciata dal giudice dell'esecuzione ai sensi dell'art. 569 c.p.c., per verificare se anche nell'ordinanza era contenuto il medesimo errore oppure no.
Riteniamo che la soluzione più corretta dovrebbe essere quella di un annullamento dell'intero esperimento di vendita, con una ripetizione del medesimo, poiché le non corrette informazioni contenute nell'avviso di vendita hanno indotto in errore (scusabile) alcuni potenziali aggiudicatari.
Il nostro convincimento nasce dall'idea per cui gli atti della procedura esecutiva sono tali (proprio perché provenienti da un ufficio giudiziario) da formare in capo al lettore il convincimento in ordine alla regolarità degli stessi e quindi sono idonei a determinare il legittimo affidamento dell'offerente in ordine alla veridicità di quanto in essi contenuto, a meno che l'errore non sia riconoscibile anche da un soggetto mediamente o scarsamente informato.
Interessanti spunti di riflessione provengono, in argomento, dalla vicenda affrontata da Cass. civ., sez. III, 18 luglio 2011, n. 15729.
Il caso esaminato dai giudici di legittimità traeva origine da un ricorso in opposizione agli atti esecutivi con cui il debitore esecutato aveva impugnato il provvedimento di aggiudicazione asserendo che lo stesso era inficiato da nullità, essendo nulli sia l’avviso di vendita predisposto dal notaio, sia le attività pubblicitarie successive, a causa dell’errata indicazione della superficie del terreno subastato, individuata in mq. 102,70, invece che in mq. 102.270. Con sentenza del 5 maggio 2008 il Tribunale di Roma rigettava l’opposizione.
Nell’unico motivo di ricorso si denunciava la violazione dell’art. 490 c.p.c., sostenendosi che il Giudice di merito avrebbe fatto malgoverno della predetta disposizione, non avendo considerato che la mancata ottemperanza all’obbligo di dare pubblicità all’avviso di vendita è riscontrabile anche nell’ipotesi in cui la pubblicità stessa sia gravata da vizi e non sia intervenuta nei termini prescritti dalla legge, con conseguente nullità dell’atto di vendita, nullità opponibile all’aggiudicatario, non operando, in parte qua, la norma di cui all’art. 2929 cod. civ.
La Cassazione ritiene le censure infondate.
Osserva che il Giudice di primo grado ha ritenuto giuridicamente irrilevante l’erronea indicazione dell’estensione del terreno staggìto nell’avviso d’asta predisposto dal notaio in quanto:
- la pubblicità apparsa sul quotidiano era stata bene eseguita, essendo ivi stata correttamente indicata la consistenza del bene;
- sulla pagina internet era stata pubblicata la perizia integrale;
- conseguentemente, in definitiva, l’errore materiale verificatosi nell’avviso non poteva realmente ingannare i partecipanti all’incanto, essendo facilmente riconoscibile sia in base alle risultanze della consulenza tecnica, sia in base a criteri di elementare buon senso, essendo evidente che una superficie di mq. 102,70 non poteva andare all’asta a un prezzo base di più di un milione di Euro;
- il prezzo di aggiudicazione era stato superiore a quello di stima.
Ciò significa, secondo la Corte, che il Giudice di merito ha addotto, a sostegno della scelta operata in dispositivo, la riconoscibilità dell’errore, quale elemento consustanziale alla sua emersione sul piano giuridico.
In definitiva, una informazione riconoscibile come imprecisa, perché contraddittoria, non è suscettibile di essere considerata affidabile da un potenziale offerente, il quale se cinonostante decide di formulare una offerta di acquisto non può successivamente dolersi di alcunchè, in quanto gli errori in cui è incorso erano riconoscibili.
In questa medesima direzione è possibile riportare quanto affermato da Cass. civ., sez. III, 2 aprile 2014, n. 7708, secondo la quale “l’atto riguardo al quale l’aggiudicatario forma il suo consenso o deve potere fare affidamento per formarlo, anche in quanto proveniente da un ufficio giudiziario all’esito di un’attività che si presume la più corretta - oltre che imparziale - possibile, siccome disinteressatamente volta alla attuazione oggettiva di un diritto per esigenze superiori di corretto funzionamento dello schema di trasformazione di un cespite del patrimonio del debitore nel denaro necessario al soddisfacimento dei suoi debiti.
Risulta naturale allora che la formazione della volontà stessa dell’aggiudicatario, cioè la sua determinazione ad offrire alla vendita forzata, non deve essere viziata, vale a dire non dipendere da ciò, che egli sarebbe stato indotto senza sua colpa in errore sulla struttura o sulla natura stesse della cosa oggetto del trasferimento, per causa dipendente da atti della procedura espropriativa, quali la sua descrizione nel bando".