Per offrire una compiuta risposta all’interrogativo posto occorre, a nostro avviso, partire dalla lettura dell’art. 3 l. 9 dicembre 1998, n. 431, recante la disciplina delle locazioni ad uso abitativo.
Secondo l’art. 2 di detta legge i contratti di locazione ad uso abitativo non possono avere una durata inferiore ai 4 anni, e si rinnovano di ulteriori quattro anni salvo che il conduttore invii disdetta. Alla prima scadenza il locatore ha facoltà di negare il rinnovo solo alle condizioni di cui al successivo art. 3 della medesima legge.
In particolare, il locatore può, alla prima scadenza, rifiutare il rinnovo:
a) quando intenda destinare l'immobile ad uso abitativo, commerciale, artigianale o professionale proprio, del coniuge (cui va equiparato il convivente di una unione civile), dei genitori, dei figli o dei parenti entro il secondo grado;
b) quando, se persona giuridica, società o ente pubblico o comunque con finalità pubbliche, sociali, mutualistiche, cooperative, assistenziali, culturali o di culto, intenda destinare l'immobile all'esercizio delle attività dirette a perseguire le predette finalità ed offra al conduttore altro immobile idoneo e di cui il locatore abbia la piena disponibilità;
c) quando il conduttore abbia la piena disponibilità di un alloggio libero ed idoneo nello stesso comune;
d) quando l'immobile sia compreso in un edificio gravemente danneggiato che debba essere ricostruito o del quale debba essere assicurata la stabilità e la permanenza del conduttore sia di ostacolo al compimento di indispensabili lavori;
e) quando l'immobile si trovi in uno stabile del quale è prevista l'integrale ristrutturazione, ovvero si intenda operare la demolizione o la radicale trasformazione per realizzare nuove costruzioni, ovvero, trattandosi di immobile sito all'ultimo piano, il proprietario intenda eseguire sopraelevazioni a norma di legge e per eseguirle sia indispensabile per ragioni tecniche lo sgombero dell'immobile stesso;
f) quando, senza che si sia verificata alcuna legittima successione nel contratto, il conduttore non occupi continuativamente l'immobile senza giustificato motivo;
g) quando intenda vendere l'immobile a terzi e non abbia la proprietà di altri immobili ad uso abitativo oltre a quello eventualmente adibito a propria abitazione. In tal caso al conduttore è riconosciuto il diritto di prelazione, da esercitare con le modalità di cui agli articoli 38 e 39 della legge 27 luglio 1978, n. 392.
La norma prevede espressamente che il diniego di rinnovo deve essere comunicato al conduttore con preavviso di almeno sei mesi, ed in applicazione dei principi comuni in materia di atti recettizi (artt. 1334 e 1335 c.c.), l’efficacia del diniego si produce nel momento in cui perviene a conoscenza del conduttore.
L’art. 3, comma 2, esige inoltre che nella comunicazione del locatore sia enunciato espressamente, a pena di nullità, il motivo, fra quelli tassativamente indicati nel primo comma, sul quale la disdetta è fondata. In altri termini, la disdetta, se non enuncia il motivo che la legittima, non è efficace, poiché tale omissione impedisce la verifica ex post dell’effettiva attuazione del motivo enunciato e quindi l’eventuale erogazione delle relative sanzioni.
È pressochè unanime in dottrina il convincimento per cui detta facoltà, proprio in ragione della cause tassative entro cui è ammessa, sia di natura eccezionale, né si ritiene ammissibile pattuire, in favore dello stesso locatore, il ricorso ad un recesso ancor più anticipato rispetto alla prima scadenza; una clausola di tal fatta, pertanto, ove prevista sarebbe radicalmente nulla, così come nulla (ai sensi del terzo comma dell’art. 13) sarebbe una rinuncia preventiva del conduttore al rinnovo della locazione alla prima scadenza, giacché derogativa dei limiti di durata del sinallagma, mentre secondo taluni sarebbe valida la rinunzia pattuita successivamente, nel corso del rapporto e dopo la consegna della cosa locata.
La dichiarazione di volontà del locatore di “diniego del rinnovo” costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale di rilascio, e deve quindi necessariamente essere precedente alla stessa; ciò si ricava dall’art. 30, L. 27.7.1978, n. 392 (richiamato dall’art. 3, 4° co., L. 9.12.1998, n. 431), il quale prevede che solo quando sia «avvenuta la comunicazione di cui al 3° co. dell’articolo 29» il locatore possa «convenire in giudizio il conduttore».
Così riassunto il quadro normativo di riferimento, riteniamo che se la disdetta è stata inviata per negare la proroga del contratto in occasione della prima scadenza e non ricorrono le condizioni di cui abbiamo appena detto (oppure, sebbene ricorrano) le stesse non siano state esplicitate nella disdetta medesima, il contratto non potrà essere risolto, e laggiudicatario subentrerà nel contratto di locazione stipulato dall’esecutato.
Peraltro, è altresì dubbio che il custode possa intimare il recesso alla prima scadenza nei casi di cui all’art. 3. Le uniche ipotesi in cui egli potrebbe efficacemente procedere in luogo del conduttore sono quelle di cui alle lettere c), d), e), f) e g) (a proposito di quest’ultima previsione il custode potrebbe indicare l’esigenza, dettata dalla esistenza del pignoramento, di vendere l’immobile) poiché si tratta di situazioni che possono essere invocate anche dal custode giudiziario.
In conclusione, pertanto, ove non sia stata inviata una disdetta con specifica indicazione di una delle motivazioni che abbiamo indicato, il contratto non potrà che ritenersi rinnovato per ulteriori quattro anni.