Rispondiamo alla domanda formulata osservando in primo luogo che è compito precipuo del curatore quello di consegnare il bene all’aggiudicatario, poiché anche nelle vendite fallimentari trova applicazione la previsione di cui all’art. 1477 c.c.
In giurisprudenza sul punto si è condivisibilmente osservato che Nella vendita forzata, pur non essendo ravvisabile un incontro di consensi, tra l'offerente ed il giudice, produttivo dell'effetto transattivo, essendo l'atto di autonomia privata incompatibile con l'esercizio della funzione giurisdizionale, l'offerta di acquisto del partecipante alla gara costituisce il presupposto negoziale dell'atto giurisdizionale di vendita; con la conseguente applicabilità delle norme del contratto di vendita non incompatibili con la natura dell'espropriazione forzata, quale l'art. 1477 cod.civ. concernente l'obbligo di consegna della cosa da parte del venditore (Cassazione civile, sez. I 17 febbraio 1995, n. 1730; Cass. 30/06/2014, n. 14765).
Il problema che allora si pone è se anche in ambito fallimentare il Giudice delegato possa emettere l’ordine di liberazione dell’immobile (previsto e disciplinato dall’art. 560, commi terzo e quarto, c.p.c.).
La giurisprudenza di merito (senso, Tribunale, Reggio Emilia, sez. fallimentare, sentenza 26/10/2013) lo ammette quando la vendita si svolge secondo le prescrizioni del codice di procedura civile (cioè ai sensi dell’art. 107, comma secondo, l.fall.).
Più recentemente (Trib. Mantova, 13 ottobre 2016) si è aggiunto che anche quando la vendita si sia svolta mediante procedure competitive (cioè ai sensi dell’art. 107, comma primo. L.fall.) questa possibilità deve ammettersi. A questo proposito si è osservato che sebbene sia il curatore che sceglie, con il programma di liquidazione, le modalità di vendita dei beni, optando - ai sensi del comma 1 o del comma 2 dell'art. 107 l.fall. - per le procedure competitive ovvero per la liquidazione in base alle norme del codice di procedura civile, la scelta per l’una o l’altra modalità non incide sulla natura delle vendite medesime, trattandosi comunque di vendite coattive, attuate contro la volontà del fallito, con la conseguenza che nell’uno e nell’altro caso deve ritenersi ammissibile la possibilità di adottare l’ordine di liberazione.
Ciò detto, l'interpretazione offerta dell'art .47 l.fall. all'interno del bando a nostro avviso è errata.
L'espressione contenuta nella norma, a mente della quale "La casa di proprietà del fallito, nei limiti in cui è necessaria all'abitazione di lui e della sua famiglia, non può essere distratta da tale uso, fino alla liquidazione delle attività", non può essere intesa nel senso che il diritto di abitazione deve essere garantito fino al momento della vendita, bensì nel senso che esso va riconosciuto fino a quando non abbia inizio il procedimento di liquidazione.
In questo senso si esprime la giurisprudenza di merito, secondo la quale La locuzione «fino alla liquidazione delle attività», contenuta nell’art. 47, comma 2, legge fall., la quale segna il termine prima del quale non è possibile distrarre la casa del fallito da tale uso deve essere interpretata nel senso che l’ordine di liberazione dell’immobile non possa essere emesso fino a che non abbia inizio la liquidazione delle attività della procedura (trib. Pescara, 3 giugno 2016, e nella stessa direzione la citata pronuncia del Tribunale di Reggio Emilia).
Del resto, diversamente opinando, si determinerebbe una irragionevole disparità di trattamento tra la disciplina della liquidazione fallimentare e quella dell'esecuzione individuale contro il fallito avente ad oggetto i medesimi beni.
In definitiva, della liberazione dell'immobile e della sua consegna all'aggiudicatario deve occuparsi il curatore.
Peraltro, infine, andrebbe anche verificato se il fallimento della società ha coinvolto o meno anche il socio, dovendosi rilevare che se è stato dichiarato il fallimento di una società di capitali, il fallimento non si estende ai soci, e dunque la norma invocata non trova applicazione.