Cerchiamo di rispondere separatamente a ciascuna delle domande formulate.
Con riferimento alla prima per rispondere correttamente al quesito formulato è necessario partire dalla previsione di cui all’art. 5, comma primo, D.M. 10 marzo 2014, n. 55, recante i criteri di determinazione dei compensi per la professione forense, il quale dispone che “Nella liquidazione dei compensi a carico del soccombente, il valore della causa — salvo quanto diversamente disposto dal presente comma — è determinato a norma del codice di procedura civile”.
Occorre allora avere riguardo, per le procedure esecutive, all’art. 17 c.p.c., il quale dispone che il valore delle cause di opposizione all’esecuzione forzata si determina in ragione del credito per cui si procede, tenendo comunque presente che l’ultimo capoverso dell’art. 5 dispone che “In ogni caso si ha riguardo al valore effettivo della controversia, anche in relazione agli interessi perseguiti dalle parti, quando risulta manifestamente diverso da quello presunto a norma del codice di procedura civile o alla legislazione speciale”.
Ciò detto, nel caso di opposizione all’esecuzione, se il debitore contesta il diritto del creditore procedente ad agire esecutivamente nei suoi confronti, riteniamo che, questo essendo l’oggetto della domanda, il valore della controversia vada determinato avendo riguardo all’importo indicato nel precetto o nel pignoramento.
Se invece si contesta la procedura nel suo complesso, occorre avere riguardo al “peso” economico complessivo delle contestazioni mosse e, dunque, dell’oggetto del contendere, secondo quanto stabilito dall’ultimo capoverso del citato art. 5 e dalla stessa giurisprudenza, la quale ha avuto modo di osservare che “appare incontestabile e sostanzialmente pacifico che in linea generale, per stabilire il valore delle cause ai fini della liquidazione delle spese di causa, si debba far riferimento al "peso" economico della controversia (o, in altri termini, al corrispondente in denaro dell'oggetto del contendere) e che … si debbano a tal fine applicare (quando è possibile, e nei limiti in cui è possibile) criteri di valutazione di tale "peso" ricavabili dalle norme dettate dal legislatore in tema di competenza per valore con riferimento alla materia di volta in volta in questione (od a materia assimilabile);”sotto questo profilo, prosegue la sentenza, l’art. 17 c.p.c. sarebbe “espressione ed applicazione del principio generale sopra esposto” (Cass., sez. III, 24 maggio 2006, n. 12354).
Sempre la citata sentenza ha precisato quanto segue:
“Individuati i beni oggetto dell'espropriazione forzata, appare possibile (almeno nei limiti e con le avvertenze che verranno esposte) procedere all'indagine in ordine al sopra citato "peso" economico del singolo atto esecutivo oggetto di opposizione; ed è quindi conforme ai principi giuridici sopra citati privilegiare (ai fini in questione) detto "peso" rispetto al mero importo del credito per cui si procede; infatti, quest'ultimo può essere ben maggiore del valore dei beni oggetto di esecuzione e dell'entità delle implicazioni economiche dell'atto esecutivo oggetto di opposizione; e sarebbe ad es. non realistico (e non conforme ai sopra citati principi) se il credito è mille ed il bene ha un valore cento ritenere la causa di valore mille. Una effettiva e reale possibilità di pervenire all'individuazione del valore de quo certamente sussiste allorquando siano concretamente determinabili gli effetti economici dell'accoglimento o del rigetto dell'opposizione agli atti esecutivi (effetti che certamente dipendono non solo dal valore del bene in questione ma anche dalla natura e dall'oggetto dell'atto esecutivo con riferimento al quale viene proposta l'opposizione). Deve peraltro ritenersi sussistente anche quando l'accoglimento od il rigetto non producano effetti economici ben identificatoli (ad es. quando l'eventuale accoglimento comporti semplicemente l'annullamento di un atto e la sua ripetizione; il che implica un mero ritardo dei tempi del processo); infatti in tal caso è comunque possibile far riferimento al valore del bene (o dei beni) oggetto dell'esecuzione. Sempre al fine di rispettare l'intento del legislatore di far sì che tutto il procedimento (in tutti i suoi aspetti e quindi anche per ciò che concerne la determinazione del valore della causa ai fini della liquidazione delle spese) avanzi avendo sempre rigoroso riguardo al "peso" economico effettivamente e realmente in questione;
e quindi al fine di basarsi sull'effettivo e concreto "peso" economico dello specifico atto esecutivo oggetto di opposizione ex art. 617 c.p.c., allorquando si procede alla valutazione in questione, ciascuno dei valori sopra indicati (importo corrispondente agli effetti economici dell'accoglimento o del rigetto dell'opposizione agli atti esecutivi; importo corrispondente al valore del bene oggetto dell'esecuzione; ed importo del credito per cui si procede) deve costituire il limite massimo dell'importo in questione; nel senso che il valore della causa di opposizione agli atti esecutivi ai fini della liquidazione delle spese non può comunque mai essere superiore al minore tra tali importi. Infatti un atto esecutivo con effetti economici comunque modesti non può essere considerato di "peso" economico rilevante solo perché è rilevate il valore del credito per cui si procede; ed è altresì facile constatare che un atto esecutivo avente ad oggetto un bene di valore ingente non ha in concreto implicazioni economiche particolarmente elevate se il credito per cui si procede è molto modesto (se non altro in conseguenza di una prevedibile riduzione del pignoramento). Più precisamente, nella fase successiva all'inizio dell'esecuzione, ferma restando la necessità di far riferimento ai criteri predetti (e cioè, nell'ordine, all'importo di denaro corrispondente agli effetti economici dell'accoglimento o del rigetto dell'opposizione agli atti esecutivi; ovvero, qualora ciò non sia concretamente possibile, al criterio sussidiario del valore del bene oggetto dell'esecuzione) comunque il valore della causa (ai fini della liquidazione delle spese) non può essere ritenuto superiore all'importo totale dei crediti per cui si procede (e cioè all'importo del credito vantato dal soggetto che ha iniziato l'esecuzione più l'importo dei crediti vantati dai creditori intervenuti).
Le considerazioni che precedono non sono valide solo in un caso: qualora l'opposizione agli atti esecutivi abbia ad oggetto esclusivamente l'intervento di un creditore. È infatti palese che in tal caso il credito in questione (e cioè l'oggetto dell'opposizione agli atti esecutivi) costituisce solo una parte del credito totale per cui si procede all'esecuzione (ed è addirittura ben possibile che detto intervento abbia luogo per un credito di importo molto inferiore a quello di detto credito totale ed al valore dei beni oggetto dell'esecuzione); per cui (sempre al fine di rispettare il sopra citato intento del legislatore) va rilevato che sarebbe ad es. non realistico, se il credito per cui avviene l'intervento è cento ed i beni oggetto dell'esecuzione hanno un valore mille (in relazione alla circostanza che il credito complessivo di tutti i creditori procedenti ha questo ordine di grandezza), ritenere la causa di opposizione concernente detto intervento di valore mille (e non di valore cento)”.
È ben vero che la pronuncia richiamata si riferiva ad un caso di opposizione agli atti esecutivi ed è dunque partita dalla impossibilità di una applicazione diretta dall’art. 17 c.p.c., posto che questa norma si riferisce alle cause di opposizione all’esecuzione; tuttavia: da un lato la sentenza precisa che il citato art. 17 può considerarsi espressivo di un principio generale evocativo del concetto di peso economico della lite; dall’altro, il riferimento al peso complessivo della lite è comunque imposto dall’art. 5 della tariffa forense, sicché ove dall’esame complessivo dell’oggetto della domande e delle dirette conseguenze economiche che ne derivano risulta che il “valore effettivo” della controversia è diverso da quello che risulterebbe dalla meccanica applicazione dell’art. 17 citato, quest’ultimo deve essere derogato.
Con riferimento alla seconda domanda, riteniamo che in caso di accoglimento “parziale” della domanda nei termini formulati della domanda, riteniamo che le spese di lite vadano, secondo il principio della soccombenza, così distribuite: creditore dovrà essere condannato al pagamento delle spese di lite in favore dell’opponente, essendosi accertato che il primo non aveva diritto di agire esecutivamente nei suoi confronti, mentre l’opponente dovrà essere condannato al pagamento delle spese di lite nei confronti degli intervenuti, poiché soccombente nei riguardi di costoro.