Validità decreto di trasferimento

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  • Ultimo messaggio 04 maggio 2020
eupliopalermo pubblicato 29 aprile 2020

Buonasera a tutti. Vi ringrazio in anticipo e vado a spiegarvi il mio dubbio che spero qualcuno aiuti a sbrogliare. Nel 1997 veniva messa all'asta una vecchia casa di mia madre a copertura di un debito. Nel 2011, dopo 14 anni di aste deserte, ho la possibilità di parteciparvi e me l'aggiudico. Ovviamente con decreto di trasferimento e relative comunicazioni ai vari enti per la rettifica della titolarità dell'immobile. Oggi, 2020, vorrei ristrutturare quella casa per poterci vivere dopo il matrimonio e aprire un mutuo per farlo, ma la banca mi ha detto che il Decreto di trasferimento è passibile di nullità praticamente per sempre in quanto non prescrittibile. La motivazione è stata che ci può essere il rischio di accordo fraudolento fra me e mia madre e pertanto il creditore potrà in qualunque momento della sua vita opporsi e chiedere di annullare l'atto pertanto l'immobile non è valido come garanzia. Quindi la mia domanda è : Dopo 14 anni di aste e dopo 9 anni dal Decreto di trasferimento è possibile che io non sia sicuro di essere il proprietario della casa? È vero che un decreto di trasferimento è inprescrittibile? Eventualmente, come posso comportarmi con l'ufficio legale della banca per sistemare la questione? P. S. Il creditore è stato soddisfatto. Vi ringrazio ancora e spero in un Vs aiuto. Un caloroso saluto

inexecutivis pubblicato 04 maggio 2020

A nostro avviso la risposta che le ha fornito la banca è errata.

 

Cerchiamo di spiegare le ragioni del nostro convincimento.

A norma degli artt. 571 e 579 c.p.c., “ognuno, tranne il debitore” è ammesso ad offrire.

La ratio del divieto è stata variamente qualificata in dottrina. Taluni ritengono che il debitore non possa presentare offerte di acquisto perché è proprio nei suoi confronti che si agisce ; altri  sostengono che l’impedimento si ancori al fatto che il debitore non può acquistare la cosa propria, oppure ancora che la partecipazione di costui alla vendita scoraggerebbe potenziali interessati e gli consentirebbe di liberarsi dall’obbligazione con mezzi diversi da quelli stabiliti dalla legge .

Quale che sia la ricostruzione dogmatica della proibizione (che deve ritenersi estesa anche agli eredi del debitore, poiché essi subentrano nella stessa posizione giuridica del loro decuius, a meno che non abbiano rinunciato all’eredità) non muta il dato, pacifico, della sua natura eccezionale rispetto alla regola dell’autonomia negoziale, e dunque del divieto di applicazione analogica ex art. 14 prel. Da qui l’affermazione per cui l’art. 571 c.p.c. non interessa i parenti ed il coniuge del debitore esecutato, a meno che non si possa provare l’esistenza di un mandato ad acquistare, e ciò anche in caso di comunione legale.

In questi termini si esprime la giurisprudenza.

Secondo Cass. civ., sez. III, 2 febbraio 1982, n. 605, “In tema di espropriazione forzata immobiliare, la previsione dello art. 579 cod. proc. civ. denegativa per il debitore esecutato dalla legittimazione di fare offerte all’incanto - che non integra un divieto dell’acquisto da parte del debitore - costituendo norma eccezionale rispetto alla “regola” stabilita dallo stesso art. 579 per la quale la legittimazione all’offerta compete ad “ognuno”, non può trovare applicazione analogica per altre ipotesi od a altri soggetti non considerati in detta norma, neppure con riguardo al coniuge del debitore - ancorché sussista tra i coniugi il regime di comunione legale dei beni previsto dagli artt. 177 e segg. cod. civ. - sicché questi rientrando nell’ampia e onnicomprensiva categoria delineata dal richiamato art. 579 cod. proc. civ., è ammesso a fare offerte per l’incanto ed offerta di aumento del sesto dopo la aggiudicazione, senza che rilevi il fatto che, per volontà della legge, l’effetto traslativo del bene - operato direttamente soltanto in capo a lui quale offerente aggiudicatario - si ripercuota per la metà nel patrimonio del debitore esecutato”.

Nella medesima direzione sembra muoversi Cass. civ., sez. III, 16 maggio 2007, n. 11258., la quale ha ribadito che “In tema di espropriazione forzata immobiliare, la previsione contenuta nell’art.579 cod. proc. civ. (che inibisce al debitore esecutato la legittimazione di fare offerte all’incanto), costituendo norma eccezionale rispetto alla regola generale stabilita dallo stesso art. 579, non può trovare applicazione analogica rispetto ad altri soggetti non considerati in detta norma, salvo che non ricorra un’ipotesi di interposizione fittizia o che si configuri, in caso di accordo fra debitore esecutato e terzo da lui incaricato di acquistare per suo conto l’immobile, un negozio in frode alla legge”.

Ciò posto, riteniamo che nel suo caso l’acquisto sia ormai incontestabile.

Invero, se un creditore avesse voluto eccepire l’esistenza di un accordo fraudolento tra lei e sua madre avrebbe dovuto farlo nel termine di 20 giorni dalla pronuncia del decreto di trasferimento a norma dell’art. 617 c.p.c. Invero, Cass. civ., sez. III, 2 aprile 2014, n. 7708, affrontando il caso in cui un aggiudicatario aveva chiesto l’annullamento della vendita in quanto il bene da lui acquistato era radicalmente diverso da quello descritto negli atti della procedura ed assolutamente inidoneo all’uso ivi indicato, ha stabilito che (semplifichiamo) i rimedi contrattuali riconosciuti all’acquirente vanno fatti valere secondo le regole che disciplinano il procedimento giurisdizionale all’interno del quale quella vendita (particolare, perché prescinde dal consenso del venditore) si è realizzata.

Anche nella sentenza n. 23140 dell’11 ottobre 2013 la Corte di Cassazione ha osservato che l’abusivo frazionamento dell’immobile, in contrasto con la disciplina urbanistica, può essere fatto valere dal debitore esecutato non oltre la formazione dei lotti, “superata la quale il debitore esecutato non ha più titolo per far valere il suddetto vizio, né con le opposizioni esecutive, né con l'azione generale di nullità”.

Se questo vale per l’aggiudicatario(che secondo questa sentenza diventa parte processuale e quindi deve muoversi secondo le regole del processo cui partecipa)  e per il debitore vale anche per il creditore, il quale pertanto se vuole dolersi della invalidità di taluni atti della procedura, deve farlo nei termini e secondo le regole scandite per quella procedura medesima.

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