inexecutivis
pubblicato
09 luglio 2019
La norma di riferimento è rappresentata dall’art. 560, ultimo comma, c.p.c., la quale prevede che gli interessati a presentare l’offerta di acquisto hanno diritto di esaminare i beni in vendita entro quindici giorni dalla richiesta. La norma specifica che la richiesta è formulata mediante il portale delle vendite pubbliche e non può essere resa nota a persona diversa dal custode, aggiungendo che la disamina dei beni deve svolgersi con modalità idonee a garantire la riservatezza dell’identità degli interessati e ad impedire che essi abbiano contatti tra loro.
Questa previsione, introdotta nel corpo dell’art. 560 c.p.c. sin dalla legge n. 80/2005 è figlia dell’idea per la quale la vendita forzata sarebbe stata tanto più efficiente quanto più avrebbe avuto la capacità di porsi sullo stesso piano delle vendite che si svolgono sul libero mercato. Sotto questo profilo, dunque, si è considerato che nelle vendite esecutive l’acquisto non potesse avvenire “a scatola chiusa”, poiché questo le avrebbe fortemente disincentivate.
La norma, pertanto, da un lato ha riconosciuto al potenziale acquirente un vero e proprio diritto di visita, e dall’altro ha imposto al custode il compito di adoperarsi affinché questo diritto possa essere esplicato.
La disposizione codicistica richiamata prevede che il custode debba “adoperarsi” affinché gli interessati “esaminino” il bene posto in vendita, e l’esegesi della norma sembra richiedere al custode un comportamento attivo, propositivo, che gli richiede di attivarsi al fine di consentire all’interessato una informazione capace di soddisfare le legittime aspettative informative di questi.
Se si nutre il sospetto che il custode possa violare queste prescrizioni è bene diffidarlo formalmente (a mezzo pec) ad attenersi ad esse, segnalando la cosa al giudice.
Aggiungiamo infine che, a seconda di come il rifiuto è opposto, potrebbe configurarsi il reato di cui all’art. 353 c.p., a mente del quale “Chiunque, con violenza o minaccia, o con doni, promesse, collusioni o altri mezzi fraudolenti, impedisce o turba la gara nei pubblici incanti o nelle licitazioni private per conto di pubbliche Amministrazioni, ovvero ne allontana gli offerenti, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni e con la multa da euro 103 a euro 1.032”.