Con l. 24 aprile 2020, n. 27 è stato introdotto, nel corpo del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, l’art. 54-ter, il quale dispone che “Al fine di contenere gli effetti negativi dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, in tutto il territorio nazionale è sospesa, per la durata di sei mesi a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, ogni procedura esecutiva per il pignoramento immobiliare, di cui all'articolo 555 del codice di procedura civile, che abbia ad oggetto l'abitazione principale del debitore”.
Una delle innumerevoli difficoltà interpretative poste da questa disposizione attiene alla individuazione del concetto, non precisato dal legislatore, di “abitazione principale”.
Invero, diversamente dalla rubrica dell’articolo, in cui è richiamata la “prima casa” contenuta nella rubrica, il testo della norma parla di “abitazione principale del debitore” espressione che non necessariamente identifica la “prima casa”.
Invero, l’art. 10, comma 3-bis del T.U. delle imposte sui redditi (d.P.R. n. 22 dicembre 1986, n. 917), nel disciplinare gli “oneri deducibili”, definisce abitazione principale “quella nella quale la persona fisica, che la possiede a titolo di proprietà o altro diritto reale, o i suoi familiari dimorano abitualmente”, con la precisazione dell’irrilevanza della “variazione della dimora abituale se dipendente da ricovero permanente in istituti di ricovero o sanitari, a condizione che l'unità immobiliare non risulti locata”. Negli stessi termini si esprime il successivo art. 15, comma 1, lett. b), in materia di “detrazioni per oneri”.
La stessa declinazione del concetto di abitazione principale ritorna nell’art. 13 d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, recante “Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici”, convertito con modifiche dalla l. 22 dicembre 2011, n. 214, laddove si afferma che “Per abitazione principale si intende l'immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente”, e nell’art. 8, comma 2, d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504 (in materia di ICI), secondo cui rileva la casa in cui “il contribuente […] e i suoi familiari dimorano abitualmente” ed ivi abbia la residenza anagrafica.
Le disposizioni normative in parola consentono di trarre una prima conclusione, nel senso che l’art. 54-ter citato opera in relazione a quelle abitazioni in cui il debitore abbia la sua dimora abituale.
Ciò detto, e venendo alla rilevanza del certificato di residenza, ricordiamo che a norma dell’art .43 c.c. “La residenza è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale”, per cui se non v’è dimora abituale all’interno di un determinato luogo non può esservi residenza.
Ed infatti, a norma dell’art. 13, comma 2, D.P.R. 30 maggio 1989, n. 223, la dichiarazione di variazione di residenza deve essere fatta nel termine di 20 giorni dal verificarsi del fatto che l’ha determinata, il che significa che prima deve avvenire il cambio di dimora e solo dopo, nel termine di 20 giorni, si può formalmente trasferire al residenza.
Si aggiunga che a mente dell’art. 18-bis del medesimo d.P.R. l'ufficiale d'anagrafe, entro quarantacinque giorni dalla ricezione delle dichiarazioni di variazione di residenza accerta la effettiva sussistenza dei requisiti previsti dalla legislazione vigente per la registrazione della variazione per il tramite (così prevede il successivo art. 19) della i polizia municipale o di altro personale comunale che sia stato formalmente autorizzato.
Il procedimento e la nozione di residenza non consentono dunque di affermare, senza possibilità di equivoco che un soggetto che abbia la residenza all’interno di un determinato immobile vi dimori abitualmente. Ed infatti, secondo la Corte di Cassazione “le risultanze anagrafiche rivestono un valore presuntivo circa il luogo di residenza effettiva e possono essere superate da prova contraria, desumibile da qualsiasi fonte di convincimento e suscettibile di apprezzamento riservato alla valutazione del giudice di merito” (Cass. 17 aprile 2018, n. 9429; Cass., 21 giugno 2017, n. 15444).
Le conseguenze del ragionamento sin qui svolto consentono di affermare che la sola acquisizione del certificato di residenza non è affatto sufficiente ad affermare che il debitore abbia in quell’abitazione la sua dimora abituale, dovendo il custode accertare, tramite uno o eventualmente più accessi, ove la situazione gli appaia meritevole di approfondimenti, che le risultanze di quella certificazione corrispondano alla reale situazione dei luoghi.
Peraltro, va aggiunto, la situazione abitativa presa in considerazione dalla disposizione deve esser venuta ad esistenza in data anteriore al pignoramento. Depongono in questo senso: a) il tenore letterale della disposizione; b) la circostanza che è con il pignoramento che sorge il vincolo di devoluzione effettiva del patrimonio del debitore al soddisfacimento del creditore, essendo, quindi, inopponibili le situazioni cristallizzatesi dopo tale momento (Trib. Napoli Nord, 25 maggio 2020).