Ai sensi dell’art. 51 l.fall. (oggi art. 150 del codice della crisi d'impresa e dell’insolvenza), salvo diversa disposizione di legge, dal giorno della dichiarazione di fallimento (oggi, "dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale") nessuna azione individuale esecutiva o cautelare, anche per crediti sorti durante il fallimento può essere iniziata o proseguita sui beni compresi nel fallimento.
Il divieto è funzionale alla tutela degli interessi della massa dei creditori concorsuali, nel senso che esso consente l’attrazione di tutti i beni appartenenti al fallito alla massa fallimentare, la liquidazione dell’attivo ai sensi degli artt. 104 ss. l.fall., (oggi artt. 211 e ss del codice della crisi d'impresa e dell’insolvenza) e dunque la ripartizione del ricavato nel rispetto della par condicio creditorum.
Il “precipitato” processuale dell’art. 51 (oggi art. 150 del codice della crisi d'impresa e dell’insolvenza) si rinviene nell’art. 107, comma 6, l.fall. (oggi art. 216, comma 10 del codice della crisi d'impresa e dell’insolvenza), ai sensi del quale se alla data di dichiarazione di fallimento sono pendenti procedure esecutive, il curatore può subentrarvi, ed in tal caso si applicano le disposizioni del codice di procedura civile; altrimenti su istanza del curatore il Giudice dell’esecuzione dichiara l’improcedibilità dell’esecuzione.
La norma attribuisce al curatore un vero e proprio potere di scelta tra la prosecuzione della vendita in sede esecutiva individuale ovvero la richiesta al Giudice dell’esecuzione di dichiarare l’improcedibilità della stessa, fatti salvi, ovviamente, i casi di cui all’art. 51 l.fall..
Non è chiaro in dottrina, e non esistono specifici precedenti di legittimità sul punto, se l’arresto della procedura sia conseguenza automatica della dichiarazione di fallimento o richieda l’esercizio di una scelta da parte del curatore (prima delle modifiche dell’art. 107 intervenute nel 2005 la giurisprudenza era decisamente orientata a ritenere che il subentro del curatore operasse di diritto. Così Cass. civ., sez. VI, ord. 2 dicembre 2010, n. 24442, secondo cui “nell’ipotesi in cui, prima della dichiarazione di fallimento, sia stata iniziata da un creditore l’espropriazione di uno o più immobili del fallito, a norma dell’art. 107 legge fall., il curatore si sostituisce al creditore istante, e tale sostituzione opera di diritto, senza che sia necessario un intervento da parte del curatore o un provvedimento di sostituzione da parte del giudice dell’esecuzione; ove il curatore ritenga di attuare altre forme di esecuzione, la procedura individuale, non proseguita, per sua scelta, dal curatore, né proseguibile, ai sensi dell’art. 51 legge fall., dal creditore istante, diventa improcedibile, ma tale improcedibilità non determina la caducazione degli effetti sostanziali del pignoramento (tra cui quello, stabilito dall’art. 2916 cod. civ., in base al quale nella distribuzione della somma ricavata dall’esecuzione non si tiene conto delle ipoteche, anche se giudiziali, iscritte dopo il pignoramento), purché però, nel frattempo, non sia sopravvenuta una causa di inefficacia del pignoramento stesso, la quale, benché non dichiarata dal giudice dell’esecuzione all’epoca della dichiarazione di fallimento, opera “ex tunc” ed automaticamente”.
Quale che sia la scelta che si intende seguire, riteniamo comunque che se il curatore opta per la improseguibilità dopo l’intervenuta aggiudicazione troverà applicazione l’art. 187bis disp. att. c.p.c.. Il G.E. emetterà il decreto di trasferimento ed il ricavato della vendita sarà rimesso alla procedura fallimentare.
In definitiva, se si aggiudicherà il bene, la nostro giudizio la sua aggiudicazione rimarrà salva.