Il tema dei rapporti tra le misure di prevenzione patrimoniale e le procedure esecutive (individuali e concorsuali), costituisce ancora oggi uno dei nodi gordiani dell’esecuzione forzata, costituendo fonte di contrasti sia in dottrina che in giurisprudenza (anche tra le sezioni civili e penali del Giudice di legittimità).
Centro nevralgico del dibattito è quello di ricercare un punto di equilibrio tra l'interesse dello Stato a perseguire le finalità pubblicistiche sottese al provvedimento penale, e quello dei terzi creditori a realizzare sui beni del debitore (o comunque oggetto del provvedimento giudiziario penale) la loro garanzia patrimoniale ai sensi degli artt. 2740 e ss c.c.
Sul punto è intervenuta (senza tuttavia chiarire le possibili interferenze tra procedura esecutiva e le varie ipotesi di sequestro preventivo e confisca) la Corte di cassazione a sezioni unite con la sentenza 7 maggio 2013, n. 10532, la quale è stata chiamata a pronunciarsi su tre questioni:
a) Se ed a quali condizioni la confisca di un bene immobile gravato da ipoteca, disposta ai sensi della L. n. 575 del 1965, sia opponibile al terzo creditore ipotecario;
b) Se la controversia tra lo Stato che ha confiscato un immobile ipotecato ed il creditore ipotecario, avente ad oggetto l'opponibilità dell'ipoteca, debba essere decisa dal giudice civile (nelle forme dell'opposizione all'esecuzione di cui all'art. 615 c.p.c.) o da quello penale (nelle forme dell'incidente di esecuzione di cui all'art. 665 c.p.p.);
c) Se sia onere del terzo titolare di ipoteca sul bene confiscato ai sensi della legislazione antimafia dimostrare la propria buona fede, ovvero spetti all'amministrazione provarne la mala fede.
Nel caso sottoposto al suo esame la corte di cassazione ha affermato che “Nel conflitto tra l'interesse del creditore a soddisfarsi sull'immobile ipotecato e quello dello Stato a confiscare i beni, che siano frutto o provento di attività mafiosa, deve prevalere il secondo, onde è inopponibile allo Stato l'ipoteca iscritta su di un bene immobile confiscato, ai sensi della legge 31 maggio 1965, n. 575, prima che ne sia stata pronunciata l'aggiudicazione nel procedimento di espropriazione forzata, in virtù della norma di diritto transitorio prevista dall'art. 1, comma 194, della legge 24 dicembre 2012, n. 228”, aggiungendo poi che competente a decidere la controversia sia il Giudice penale, ed in particolare il Giudice che ha adottato la misura di prevenzione, e che sarà onere del creditore dimostrare la sua buona fede.
Come si vede, le sezioni unite sono intervenute a disciplinare i rapporti tra il sequestro (e la confisca) operato ai sensi del codice antimafia (decreto legislativo 6.9.2011 n. 159) e l'esecuzione, con specifico riferimento alle procedure di confisca iniziate prima del 13 ottobre 2011, data di entrata in vigore del nuovo codice antimafia, per le quali operano le disposizioni di cui alla legge 24 dicembre 2012, n. 228, commi 194 – 205, le quali a loro volta dettano una disciplina diversa a seconda che il provvedimento di confisca sia stato emesso o no alla data del 1.1.2013.
Rimangono pertanto fuori tutte le altre ipotesi di confisca, laddove occorrerà operare una distinzione tra 1) confisca quale misura di sicurezza reale; 2) confisca quale misura di prevenzione patrimoniale, distinguendo poi all’interno di queste due macro aree le diverse tipologie previste dal legislatore.
Peraltro, subito dopo la pronuncia appena citata, la sezione terza civile della corte di cassazione (sentenza n. 22814 del 07/10/2013) ha affermato che alla confisca prevista dall'art. 12-sexies del d.l. 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modif., dalla 1. 7 agosto 1992, n. 356 (articolo introdotto, a sua volta, dall'art. 2, comma primo, del d.l. 20 giugno 1994, n. 399, convertito, con modificazioni, dalla 1. 8 agosto 1994, n. 501) si estendono i principi affermati per la confisca c.d. di prevenzione dal d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (come interpretati da Cass. Sez. Un. 7 maggio 2013, nn. 10532, 10533 e 10534), poiché “la prevalenza delle esigenze pubblicistiche penali sulle ragioni del creditore del soggetto colpito dalle misure di sicurezza patrimoniali, anche se il primo sia assistito da garanzia reale sul bene, costituisce principio generale dell'ordinamento”.
Sul versante della giurisprudenza penale, va poi registrata (comunque nella medesima direzione degli arresti sin qui richiamati) Cass. Pen., 01.3.2016, n. 23907, secondo la quale “Il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente, prevista dall'art. 322 ter cod. pen., prevale sui diritti di credito vantati sul medesimo bene per effetto della dichiarazione di fallimento, attesa la obbligatorietà della misura ablatoria alla cui salvaguardia è finalizzato il sequestro”; detta pronuncia, se si pone in linea di continuità con l’indirizzo giurisprudenziale (Sez. 6, n. 31890 del 04/03/2008, , e Sez. 1, n. 16783 del 07/04/2010, Sez. 6, n. 19051 del 10/01/2013) in forza del quale la prevalenza della confisca sul fallimento (e, dunque, aggiungiamo noi, sull’esecuzione forzata) deriva dalla natura obbligatoria o meno della stessa, contrasta con altro (e maggioritario) indirizzo, secondo il quale ciò che conta al fine di stabilire la insensibilità o meno al fallimento della confisca è la natura della res. (Sez. 3, n. 20443 del 02/02/2007, Sez. 1, n. 20216 del 01/03/2013, Sez. 2, n. 31990 del 14/06/2006, Sez. 5, n. 33425 del 08/07/2008, sez. 5 n. 48804 del 09/10/2013).
Precedentemente, Cass., Sez. Un. pen., n. 9/1999 aveva affermato che la confisca prevista dall'art. 240 c.p. non travolge i diritti reali di garanzia dei terzi che provino di trovarsi in una situazione di buona fede e di affidamento incolpevole.
Ancora, con riferimento al sequestro preventivo finalizzato alla confisca, anche per equivalente, ex artt. 19 e 53, D.Lgs. n. 231 del 2001 Cass. S.u. 25.9.2014, n 11170 ne ha statuito l’insensibilità alla dichiarazione di fallimento.
Va ancora ricordato, sull’argomento, che la tesi della prevalenza del provvedimento di confisca sull’esecuzione sembra progressivamente affermarsi in seno alla giurisprudenza penale. Da ultimo, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1390 del 12 gennaio 2017 ha ribadito (riaffermando quanto precedentemente stabilito da Sez. 2, n. 10471 del 05/03/2014) che - in caso di sequestro preventivo disposto su un bene gravato da pegno o da ipoteca - il terzo creditore titolare del diritto reale di garanzia non è legittimato a chiedere la revoca della misura cautelare, non essendo la sua posizione giuridica assimilabile a quella del titolare del diritto di proprietà, né tanto meno può farlo mentre il processo è pendente, in quanto il diritto di sequela, in cui la sua posizione consiste, non esclude l'assoggettabilità del bene a vincolo, essendo destinato a trovare soddisfazione solo nella successiva fase della confisca. Ha ricordato la sentenza che non è discussione il fatto che il creditore ipotecario non può essere pregiudicato dalla confisca penale eseguita su quei beni (secondo quanto statuito dalle SSUU n. 9/1999) e che a questo fine egli deve dimostrare sia la titolarità del suo diritto, il cui titolo deve essere costituito da un atto di data certa anteriore alla confisca e - nel caso in cui questa sia stata preceduta dalla misura cautelare reale ex art. 321 c.p.p., comma 2 - anteriore al sequestro preventivo, sia la sua buona fede.
In questo quadro si è recentemente inserita la sentenza penale n. 51043 del 9.11.2018, nella quale la Corte di Cassazione ha affrontato il caso in cui era stato aggiudicato un bene oggetto sequestro preventivo (come sequestro del profitto del reato in relazione al reato di cui all'art. 11 d.lgs 74/2000 in materia di reati tributari) intervenuto prima del pignoramento ma dopo l'iscrizione ipotecaria da parte dei creditori.
Nello stabilire la inopponibilità all'aggiudicatario del sequestro, e quindi della successiva confisca, i giudici di legittimità hanno affermato che "in tema di rapporto tra sequestro e confisca in sede penale e procedimento immobiliare in sede civile con riferimento alla posizione dei terzi acquirenti, difettando specifiche disposizioni che lo disciplinino, deve ritenersi che il legislatore abbia considerato ed ammesso la possibilità di una contemporanea pendenza dei due procedimenti, cui consegue la possibilità di rinvenire un punto di coordinamento nel principio secondo il quale la confisca diretta del profitto, che nel caso in esame è individuato negli immobili con riferimento al reato di cui all'art. 11 d.lgs 74/2000, non può attingere beni appartenenti a persone estranee al reato".
Hano poi aggiunto che al fine di risolvere il conflitto in parola è necessario tener conto del disposto dell'art. 2915 c.c., per cui "l'opponibilità del vincolo penale al terzo acquirente in sede esecutiva dipende dalla trascrizione del sequestro (ex art. 104 disp. att. c.p.p.) che deve essere antecedente a quella del pignoramento immobiliare, venendo così a rappresentare il presupposto per la confisca anche successivamente all'acquisto. Diversamente, se la trascrizione del sequestro è successiva, il bene deve ritenersi appartenente al terzo "pleno iure" con conseguente impossibilità della confisca posteriore all'acquisto".
Questo elemento non può essere superato, ha infine precisato la Corte, dal fatto che la presenza del sequestro sia stata indicata nel bando di vendita, "poiché esso non è elemento idoneo ad escludere la buona fede, e consentire conseguentemente la confisca, poiché la buona fede deve essere valutata rispetto al reato e non alle vicende del processo".
In definitiva, stando a questa ultima pronuncia della Suprema Corte, il suo acquisto dovrebbe ritenersi impregiudicato da un successivo provvedimento di confisca.