rifiuto consegna chiavi

  • 548 Viste
  • Ultimo messaggio 11 luglio 2020
ritaturano@hotmail.it pubblicato 09 luglio 2020

Buongiorno, 

sono custuode e delegato alla vendta di un immobile ad uso commerciale dove prima veniva svolta attività di ristorazione, mentre oggi è completamente inutilizzato anche se all'interno vi sono ancora tavoli, sedie ecc di proprietà di un terzo.

Ho effettuato il primo sopralluogo, ma il debitore non ha voluto consegnare le chiavi.

Vorrei chiedere come deve procedere in qauesto caso il custode...

Grazie

inexecutivis pubblicato 11 luglio 2020

La risposta all’interrogativo formulato risiede nella lettura dell’art. 560 c.p.c.

Il primo comma della disposizione in parola prescrive che il debitore e il terzo nominato custode debbono rendere il conto a norma dell'articolo della gestione a norma dell’art. 593 c.p.c..

Il terzo comma aggiunge che (solo) il debitore e i familiari che con lui convivono non perdono il possesso dell'immobile e delle sue pertinenze sino al decreto di trasferimento, salvo quanto previsto dal sesto comma, il quale a sua volta dispone che il giudice dell’esecuzione ordina la liberazione dell’immobile:

qualora sia ostacolato il diritto di visita di potenziali acquirenti;

quando l'immobile non sia adeguatamente tutelato e mantenuto in uno stato di buona conservazione, per colpa o dolo del debitore e dei membri del suo nucleo familiare;

quando il debitore viola gli altri obblighi che la legge pone a suo carico;

quando l'immobile non è abitato dal debitore e dal suo nucleo familiare.

Non resta dunque che chiedere al giudice la pronuncia dell’ordine di liberazione chiedendo istruzioni in ordine alle modalità di attuazione dello stesso.

A proposito di queste ultime occorre spendere qualche puntualizzazione.

È noto che con la riforma del 2005 l’ordine di liberazione era stato inserito nel novero dei titoli esecutivi di formazione giudiziale, con la conseguenza che occorreva eseguirlo per il tramite di una ordinaria esecuzione per rilascio ex art. 605 ss c.p.c..

L’ottica del legislatore è successivamente mutata con la riforma del 2016, il quale con il d.l. 3 maggio 2016 n. 59 (art. 4, comma 1, lett. d), nn. 01), 1) e 2) convertito in l. 30 giugno 2016 n. 119, nel ridisegnare la disciplina dell’ordine di liberazione riscrivendo i commi terzo e quarto dell’art. 560 aveva previsto che l’ordine di liberazione fosse “attuato dal custode secondo le disposizioni del giudice dell'esecuzione immobiliare, senza l'osservanza delle formalità di cui agli articoli 605 e seguenti”, aggiungendo che “per l'attuazione dell'ordine il giudice può avvalersi della forza pubblica e nominare ausiliari ai sensi dell'articolo 68”. Stabiliva, inoltre, che esso fosse “impugnabile per opposizione ai sensi dell’art. 617” i cui termini decorrevano, “per il terzo che vanta la titolarità di un diritto di godimento opponibile alla procedura ... dal giorno in cui si è perfezionata nei [suoi] confronti … la notificazione del provvedimento”.

La norma era evidentemente ispirata da una esigenza di efficientamento della procedura esecutiva, volta com’era a ricondurre l’attuazione dell’ordine di liberazione nel recinto dell’esecuzione immobiliare per sottoporla al controllo del giudice di questa e per liberarla dai vincoli processuali e dai costi dell’esecuzione per rilascio.

La riscrittura dell’art. 560 ad opera dall’art. 4, comma 2 d.l. n. 135/2018, convertito, con modificazioni, con l. n. 12/2019, avendo cancellato con un tratto di penna il procedimento attuativo semplificato scritto nel 2016, ha riproposto il problema delle modalità di attuazione/esecuzione dell’ordine di liberazione, poiché a differenza di quanto avvenuto sino a quel momento, in quest’ultimo intervento manipolativo il legislatore non ha affrontato l’argomento, facendo riaffiorare i dubbi interpretativi che si erano posti prima della modifica dell’ormai lontano 2006.

Gli scenari ipotizzabili erano essenzialmente due.

Il primo era quello di considerare l’ordine di liberazione titolo esecutivo per rilascio ai sensi dell’art. 474 c.p.c., da eseguire dunque con le forme prescritte dagli artt. 605 ss. c.p.c., in ragione del fatto che il legislatore del 2019 aveva espunto dall’ordito normativo il procedimento semplificato introdotto nel 2016.

A questa opzione ricostruttiva si era obiettato: il fatto che, a differenza della versione del 2006, l’art. 560 non individuava più il soggetto che avrebbe dovuto fungere da creditore, e che dunque sul piano processuale avrebbe dovuto essere titolare della legittimazione ad agire; il principio della tassatività dei titoli esecutivi giudiziali ricavabile dall’art. 474, comma 2, n. 1) c.p.c., il quale annovera tra i titoli idonei a fondare un’esecuzione forzata “gli altri atti ai quali la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva”, con ciò richiedendo un’esplicita volontà legislativa in tal senso; il pregiudizio che una esecuzione per rilascio avrebbe determinato sul piano della ragionevole durata del processo, pregiudizio che aveva contribuito a suggerire il cambio di rotta segnato con la riforma del 2016.

Altri avevano osservato che la impossibilità di qualificare l’ordine di liberazione come titolo esecutivo deriverebbe inoltre dal fatto che la sua pronuncia segue ad un accertamento sommario che si svolge in modo del tutto deformalizzato, privo di attitudine decisoria (e quindi di capacità di costituire cosa giudicata) che possa consentirgli di produrre effetti al di fuori della procedura medesima; quindi, la natura di titolo esecutivo andava esclusa indipendentemente dal fatto che la riforma del 2019 avesse eliminato quella parte dell’art. 560 c.p.c. in cui veniva precisato che l’ordine di liberazione era “attuato”  non già “eseguito” senza l’osservanza delle formalità di cui agli articoli 605 e seguenti c.p.c., anche in ragione del fatto che quelle disposizioni non erano presenti neppure, prima della riforma del 2005, e ciononostante non si riteneva che l’ordine di liberazione dovesse trovare attuazione nelle forme di cui agli artt. 605 e ss c.p.c.

Esclusa, per tutte le ragion sin qui richiamate, la possibilità di concepire un ordine di liberazione da eseguirsi per il tramite di una autonoma esecuzione per rilascio, non restava che immaginare ad un ordine di liberazione come ad un provvedimento ordinatorio alla cui attuazione provvede il giudice dell’esecuzione, avvalendosi dei suoi poteri di direzione ex art. 484 c.p.c., per il tramite del custode, eventualmente mediante l’ausilio della forza pubblica, nelle forme di cui all’art. 669-duodecies c.p.c.

Queste condivisibili conclusioni devono oggi fare il conto con l’ennesimo intervento normativo che ha avuto di mira l’art. 560 c.p.c.

L’art. 18-quater comma 1 della l. 28 febbraio 2020, n. 8, di conversione, con modificazioni, del d.l. 30 dicembre 2019, n. 162 ha aggiunto all’art. 560, comma sesto, i seguenti periodi:

A richiesta dell’aggiudicatario, l’ordine di liberazione può essere attuato dal custode senza l’osservanza delle formalità di cui agli articoli 605 e seguenti; il giudice può autorizzarlo ad avvalersi della forza pubblica e nominare ausiliari ai sensi dell’articolo 68. Quando nell’immobile si trovano beni mobili che non debbono essere consegnati, il custode intima alla parte tenuta al rilascio di asportarli, assegnando ad essa un termine non inferiore a trenta giorni, salvi i casi di urgenza da provarsi con giustificati motivi. Quando vi sono beni mobili di provata o evidente titolarità di terzi, l’intimazione è rivolta anche a questi ultimi con le stesse modalità di cui al periodo precedente. Dell’intimazione è dato atto nel verbale. Se uno dei soggetti intimati non è presente, l’intimazione gli è notificata dal custode. Se l’asporto non è eseguito entro il termine assegnato, i beni mobili sono considerati abbandonati e il custode, salva diversa disposizione del giudice dell’esecuzione, ne dispone lo smaltimento o la distruzione. Dopo la notifica o la comunicazione del decreto di trasferimento, il custode, su istanza dell’aggiudicatario o dell’assegnatario, provvede all’attuazione del provvedimento di cui all’articolo 586, secondo comma, decorsi sessanta giorni e non oltre centoventi giorni dalla predetta istanza, con le modalità definite nei periodi dal secondo al settimo del presente comma.

Inoltre, il comma 2 del medesimo art. 18-quater ha previsto che “In deroga a quanto previsto dal comma 4 dell’articolo 4 del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 febbraio 2019, n. 12, (il quale prevedeva che: “le disposizioni introdotte con il presente articolo non si applicano alle esecuzioni iniziate anteriormente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”) le disposizioni introdotte dal comma 2 del predetto articolo 4 si applicano anche alle procedure di espropriazione immobiliare pendenti alla data di entrata in vigore della citata legge n. 12 del 2019 nelle quali non sia stato pronunciato provvedimento di aggiudicazione del bene”.

Orbene, tralasciando il coacervo di questioni di diritto intertemporale che la norma pone, l’opinione più accreditata riferisce che le novità del 2020 segnano decisamente un ritorno al passato, poiché prepotentemente riecheggia, nel novellato testo dell’art. 560 c.p.c., lo schema procedimentale voluto dal legislatore con il d.l. 59/2016. Non paiono dunque sussistere dubbi in ordine al fatto che anche alla luce dell’ennesimo rimaneggiamento dell’art. 560 le modalità di attuazione dell’ordine di liberazione prescindono dal rinvio agli artt. 605 e ss c.p.c., attuandosi in via breve a cura del custode e sotto la direzione del giudice dell’espropriazione immobiliare, secondo lo schema procedimentale tracciato dal legislatore nel 2016.

Close