In realtà non ci sembra affatto di essere andati fuori strada, e per vero il concetto da noi espresso non è sostanzialmente diverso rispetto a quello da lei esplicitato.
Come avrà notato, anche noi abbiamo affermato, a proposito del custode, che “Egli, inoltre, ai sensi dell’art. 67, comma secondo, c.p.c. è tenuto al risarcimento dei danni cagionati alle parti, se non esercita la custodia da buon padre di famiglia.
Quindi, certamente, il custode può essere chiamato a rispondere del danno arrecato alla cosa in custodia, se non l’ha esercitata con la diligenza del buon padre di famiglia”.
Ciò che abbiamo aggiunto, confortati sul punto dalla prevalente dottrina e dalla pressoché unanime giurisprudenza, è che la responsabilità del custode per danni alla cosa postula, a prescindere da come la si voglia incastonare “che egli possa esercitare di fatto un potere di controllo sul bene, potere che viene meno allorquando il debitore permane nella disponibilità dell’immobile (a meno che, ovviamente, ciò non si verifichi per colpa del custode medesimo). In questi casi ci sembra corretta la prevalente opinione dottrinaria, secondo la quale i danni arrecati all’immobile dal debitore che occupi il medesimo non possono ascriversi alla responsabilità del custode, in quanto non è identificabile il capo a questi una condotta esigibile, capace di prevenire tali condotte. Detto altrimenti, è difficile ipotizzare quale iniziativa il custode avrebbe potuto adottare per evitare che il debitore, nel lasciare l’immobile, lo danneggi”.
Aggiungiamo infine che, l’affermazione della natura extracontrattuale della responsabilità del custode ai sensi dell’art. 67 c.p.c. non è affatto pacifica in dottrina, poiché mentre taluni qualificano la responsabilità coniata da questa norma come di tipo aquiliano, altra dottrina dottrina ritiene che si tratterebbe di una responsabilità contrattuale, con tutte le conseguenze che questo determina in punto di prescrizione, riparto dell’onere della prova, ecc., essendosi ulteriormente specificato, da altri, che si dovrebbe parlare di responsabilità contrattuale da contatto sociale qualificato, la quale implicherebbe l’assunzione dei c.d. doveri di protezione, di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., che deriverebbero direttamente dagli obblighi e dai divieti imposti al custode dalla legge o dal Giudice.
Anche in giurisprudenza sono state affacciate entrambe le prospettazioni. Secondo un primo orientamento (Cass. 17/02/1995, n. 1730) si sarebbe in presenza di una responsabilità contrattuale: in particolare, con riguardo alla responsabilità del curatore fallimentare (custode ex lege dei beni del fallito) nei confronti dell’aggiudicatario si è richiamato espressamente il principio generale in tema di inadempimento delle obbligazioni posto dall’art. 1218 c.c.
Altra giurisprudenza ha sostenuto in passato la tesi della natura extracontrattuale della responsabilità del custode verso le parti del processo, affermando – con riferimento al custode di cose sequestrate in sede penale ai sensi dell'art. 344 c.p.p. abrogato e degli artt. 65, 66 e 67 c.p.c., ma sancendo un principio estendibile al custode dell’immobile pignorato – che opera esclusivamente per conto del giudice al cui controllo è sottoposto come suo ausiliario (così Cass. 24/05/1997, n. 4635).