La domanda richiede una risposta articolata su più fronti.
L’estensione dell’ipoteca agli interessi è disciplinata dall’art. 2855, commi 2 e 3, c.c. a mente dei quali “qualunque sia la specie d’ipoteca, l’iscrizione di un capitale che produce interessi fa collocare nello stesso grado gli interessi dovuti, purché ne sia enunciata la misura nell’iscrizione. La collocazione degli interessi è limitata alle due annate anteriori e a quella in corso al giorno del pignoramento, ancorché sia stata pattuita l’estensione a un maggior numero di annualità; le iscrizioni particolari prese per altri arretrati hanno effetto dalla loro data.
L’iscrizione del capitale fa pure collocare nello stesso grado gli interessi maturati dopo il compimento dell’annata in corso alla data del pignoramento, però soltanto nella misura legale e fino alla data della vendita”.
Sulla base di questa norma la prelazione ipotecaria comprende:
- gli interessi corrispettivi al tasso convenzionale maturati nell’anno in corso al momento del pignoramento e nel biennio anteriore, se enunciati nell’iscrizione (rectius nella nota di iscrizione dell’ipoteca) e nei limiti di quanto enunciato;
- gli interessi legali maturati successivamente all’anno in corso e sino al decreto di trasferimento;
- eventuali interessi eccedenti i tre anni, ma solo se oggetto di separata ed autonoma iscrizione ipotecaria effettuata successivamente alla scadenza degli interessi.
Restano pertanto esclusi gli interessi maturati anteriormente al biennio, salvo che vi sia stata per questi una successiva e distinta iscrizione ipotecaria specificamente fatta per essi.
Quindi, gli interessi convenzionali prodotti dal credito ipotecario nell’anno in corso alla data del pignoramento e nelle due annualità precedenti godono dello stesso privilegio del capitale. Stesso privilegio è riconosciuto agli interessi maturati nell’annualità successiva alla data del pignoramento, e fino al decreto di trasferimento, ma nella misura legale.
L’art. 2855 a proposito della estensione degli interessi dispone che l’iscrizione di un capitale che produce interessi fa collocare nello stesso grado gli interessi dovuti per le due annualità anteriori al pignoramento e per l’annualità in corso, purché ne sia enunciata la misura nell’iscrizione, e che l’iscrizione del capitale fa pure collocare nello stesso grado gli interessi maturati dopo il compimento dell’annata in corso alla data del pignoramento, e fino alla vendita, ma nella misura legale.
La norma pone una deroga alla regola generale della estensibilità dell’ipoteca agli accessori, regola che a sua volta è in connessione con il principio di specialità dell’ipoteca, principio per il quale, come è noto, la garanzia va riferita a beni specificamente indicati mentre, quanto al credito, si richiedono la sua determinatezza e l’indicazione della somma iscritta (Così Cass. civ., sez. I, 1 febbraio 1995, n. 1116, in motivazione).
La misura degli interessi deve essere specificatamente indicata nella nota d’iscrizione, o comunque devono essere indicati elementi oggettivi che ne consentano la determinazione sulla base di mere operazioni di calcolo (Corte App. Genova, 28 aprile 1990). Se invece la misura degli interessi non si ricava dalla nota di trascrizione o in essa sono indicati elementi che lasciano margini di apprezzamento discrezionale all’interprete, o comunque sono suscettibili di condurre a risultati diversi, l’estensione dell’ipoteca agli interessi è nulla. Così, ad esempio, si ritiene nulla l’inclusione nella garanzia ipotecaria di interessi genericamente quantificati con riferimento al “tasso variabile”, anche se in dottrina si è ritenuto in questo caso sarebbe sufficiente indicare il parametro finanziario che forma la base di calcolo degli interessi.
Ciò posto, si tratta di stabilire se la somma iscritta rappresenti il limite massimo della garanzia anche per gli interessi, nel senso che l’ammontare di questi non può superare l’entità di quella, o se invece gli accessori in questione sono garantiti ipotecariamente indipendentemente dalla somma iscritta.
La tesi restrittiva è stata sostenuta in dottrina, traendo argomento principalmente dagli artt. 2838 e 2839 n. 4 c.c.
La prima norma dispone che se la somma di danaro non è determinata negli atti in base ai quali l’iscrizione è eseguita o in atto successivo, essa è determinata dal creditore nella nota per l’iscrizione e che, qualora tra la somma enunciata nell’atto e quella enunciata nella nota vi sia divergenza, l’iscrizione ha efficacia per la somma minore.
L’art. 2839 n. 4 stabilisce che la nota deve contenere l’indicazione della somma per la quale l’iscrizione è presa.
Le due disposizioni, ed in particolare la seconda, nella quale è evidente il mutamento di formulazione rispetto alla corrispondente norma del codice abrogato, nel quale si faceva riferimento alla “somma dovuta” (art. 1978, n. 4), dimostrerebbero, secondo i sostenitori di questa tesi, la fondatezza della stessa nel senso che l’indicazione contenuta nella norma sopra menzionata appare giustificata soltanto riconoscendo che il limite della garanzia è segnato, non dall’ammontare del credito, bensì dalla somma indicata nell’iscrizione e che anche per gli interessi di cui all’art. 2855 c.c. questo limite non può essere superato.
Altra opinione, invece, ritiene che l’estensione della garanzia ipotecaria agli interessi oltre il limite della somma iscritta sia propria della estensione ope legis della garanzia ipotecaria agli interessi con una deroga sia al requisito della determinatezza che a quello della specialità.
La tesi restrittiva non è stata condivisa da Cass. civ., sez. III, 11 aprile 2008, n. 9674. Secondo la quale non è consentito desumere dalle disposizioni di cui agli 2838 e 2839 n. 4 c.c., concernenti la disciplina dell’iscrizione, un principio destinato ad incidere in un ambito diverso. Secondo i giudici di legittimità “l’art. 2838 in correlazione con il principio di specialità dell’ipoteca prevede il caso in cui la determinazione della somma di danaro che si vuole garantire non risulta al momento dell’iscrizione, e consente, per evitare dannose lungaggini, che la somma venga fissata dal creditore (ma in tale situazione il debitore è tutelato attraverso il rimedio della riduzione di cui all’art. 2874); quanto all’art. 2839 n. 4, esso indica uno dei requisiti della nota del quadro della regolamentazione delle formalità, necessarie per l’iscrizione. Ma, proprio perché, l’indicazione della somma per la quale l’iscrizione e, presa non può, garantire gli interessi non ancora venuti ad esistenza, si è resa necessaria la previsione di cui all’art. 2855 per effetto della quale la garanzia ipotecaria si estende ad essi anche al di là dei limiti della somma iscritta”.
Negli stessi termini si era già pronunciata la citata Cass. civ., sez., I 1 febbraio 1995, n. 1116 e, più recentemente, Sez. VI, 6 marzo 2012, n. 3494.
Il problema ulteriore che si pone è di verificare se sia possibile, in luogo della semplice indicazione che il capitale garantito da ipoteca è produttivo di interessi (con l’indicazione del tasso), anche la diretta iscrizione di una somma globale corrispondente alle tre annualità di legge, e se in tal caso il limite iscritto possa o meno essere superato.
La risposta della dottrina e della giurisprudenza è stata favorevole (Cass. civ., sez. I, 29 agosto 1998, n. 8657; sez. I, 20 marzo 1998, n. 2925 e, da ultimo, la già citata, sez. III, 6 marzo 2012, n. 3494). Infatti se la ratio della norma di cui al secondo comma dell’art. 2855 c.c., nella parte in cui richiede che sia indicato il tasso di interesse, è quella di permettere agli altri creditori o al terzo proprietario di calcolare quale sia il credito per interessi garantito dall’ipoteca, ove detta determinazione sia effettuata direttamente in sede di iscrizione, con l’individuazione di una somma specifica, viene maggiormente salvaguardata la finalità della norma.
A proposito della estensione dell’ipoteca alle spese, osserviamo quanto segue.
Anche qui la norma che regola tali profili è l’art. 2855 c.c., il quale afferma che l’iscrizione del credito fa collocare nello stesso grado anche le spese ad essa relative.
Com’è stato osservato in dottrina, l’estensione dell’ipoteca alle spese comporta che l’ipoteca iscritta per un determinato credito garantisce anche i crediti aventi ad oggetto le spese dell’atto di costituzione di ipoteca, le spese di iscrizione e rinnovazione, le spese del processo esecutivo.
Schematizzando, sono dunque compresi nel credito ipotecario:
- il capitale iscritto nei limiti del credito effettivamente esistente (la iscrizione può anche essere maggiore del credito), comprensivo degli interessi maturati sino al momento dell’iscrizione;
- le spese per l’atto di costituzione di ipoteca volontaria (non però quelle del mutuo eventualmente concesso contestualmente: in tal caso si dovrà determinare la parte di spese imputabile alla concessione di ipoteca);
- le spese di iscrizione (imposta ipotecaria, spese per copie ecc.) e rinnovazione;
- le spese ordinarie per l’intervento nel processo di esecuzione (e cioè le spese legali del processo esecutivo liquidate dal Giudice).
Non sono comprese:
- le spese relative alla formazione dell’atto costitutivo del credito (es. contratto di concessione di mutuo), salvo patto espresso contrario e autonoma iscrizione
- le spese per l’emissione e la registrazione del decreto ingiuntivo o della sentenza (trattasi di spese di accertamento del credito), salvo che vi sia specifica iscrizione per esse;
- le spese per l’atto da cui sia derivata l’eventuale ipoteca legale (es. compravendita).
L’unico punto sul quale potrebbero esservi dei dubbi riguarda le spese di precetto.
Secondo alcuni esse godrebbero del privilegio in quanto il precetto è propedeutico all’esecuzione, ovvero in rapporto di strumentalità necessaria con l’azione esecutiva.
A parere di una opposta ricostruzione invece il precetto non crea un vincolo di destinazione sui beni del debitore, per cui esso non giova che al creditore che lo notifica.
Per risolvere la questione occorre indagare sulla funzione del pignoramento, vista per così dire ex post, cioè ad esecuzione ormai iniziata.
Infatti, se è vero che il precetto non crea vincoli sui beni del debitore, e se è parimenti vero che la notifica del precetto serve ad avvertirlo del fatto che se non adempie si procederà ad esecuzione forzata (tanto che ai sensi dell’art. 482 c.p.c. tra la notifica del precetto e l’inizio dell’esecuzione devono intercorrere almeno dieci giorni) è altrettanto vero che, una volta iniziata l’esecuzione, il creditore che voglia agire esecutivamente contro il debitore per soddisfare la sua pretesa, nel momento in cui spiega l’intervento si giova del pignoramento già eseguito, essendo dispensato dalla necessità di eseguirne uno ulteriore, e quindi trae beneficio anche del precetto già notificato.
Quanto appena affermato trova indiretta conferma nella pronuncia resa da Cass. civ. sez. III, 11 dicembre 2012, n. 22645 la quale ha affermato (in motivazione) che “non è mai previsto… in linea generale e salve specifiche disposizioni (dettate da esigenze particolari, connesse a peculiari necessità pubblicistiche di tutela del debitore in funzione delle attività esercitate e della destinazione del bene staggito, come nel sottosistema delle espropriazioni in danno di pubbliche amministrazioni non economiche: Cass. 18 aprile 2012, n. 6067), che l’intervento debba essere preceduto da precetto”.