Per rispondere alla sua domanda riteniamo di dover muovere dalla lettura dell’art. 41, comma quarto, TUB, a norma del quale Con il provvedimento che dispone la vendita o l’assegnazione il Giudice dell’esecuzione prevede, indicando il termine, che l’aggiudicatario o l’assegnatario, che non intendano avvalersi della facoltà di subentrare nel contratto di finanziamento, versino direttamente alla banca la parte del prezzo corrispondente al complessivo credito della stessa. L’aggiudicatario o l’assegnatario che non provvedano al versamento nel termine stabilito sono considerati inadempienti ai sensi dell’art. 587 del codice di procedura civile”.
È affermazione oggi condivisa in dottrina e giurisprudenza quella secondo cui detta previsione attribuisce al creditore fondiario un privilegio di carattere meramente processuale.
Una efficace sintesi delle ragioni che suffragano questo assunto si rinviene in Cass. civ., sez. I, 17 dicembre 2004, n. 23572 (nello stesso senso Cass. 17368/2012 e Cass. 18227/2014), ove si è affermato che l’art. 42 del R.D. 16 luglio 1905, n. 646 (medesime deduzione valgono per l’attuale art. 41 TUB), la cui applicazione è fatta salva dall’art. 51 della legge fallimentare, nel consentire all’istituto di credito fondiario di iniziare o proseguire l’azione esecutiva nei confronti del debitore dichiarato fallito, configura un privilegio di carattere meramente processuale, che si sostanzia nella possibilità non solo di iniziare o proseguire la procedura esecutiva individuale, ma anche di conseguire l’assegnazione della somma ricavata dalla vendita forzata dei beni del debitore nei limiti del proprio credito, senza che l’assegnazione e il conseguente pagamento si debbano ritenere indebiti e senza che sia configurabile l’obbligo dell’istituto procedente di rimettere immediatamente e incondizionatamente la somma ricevuta al curatore.
Ulteriore risconto sembra rinvenirsi sia nel nuovo terzo comma dell’art. 52 l. fall. (a mente del quale “Le disposizioni del secondo comma si applicano anche ai crediti esentati dal divieto di cui all’articolo 51”) che nel periodo aggiunto al primo comma dell’art. 110 l. fall. (“Nel progetto sono collocati anche i crediti per i quali non si applica il divieto di azioni esecutive e cautelari di cui all’articolo 51”), introdotti dal d.lgs. n. 169/2007.
Tali modifiche sono state lette come la declinazione normativa dell’idea per cui anche il creditore fondiario che in pendenza di fallimento ha coltivato l’azione individuale è tenuto ad insinuarsi al passivo, solo così potendosi operare il conguaglio tra quanto percepito nell’esecuzione e quanto gli compete in ambito fallimentare, essendo il suo un mero privilegio processuale non sottratto né al concorso formale (ammissione al passivo) né a quello sostanziale (collocazione nel riparto).
In questi stessi termini si esprime, infine, la stessa Relazione illustrativa al citato d.lgs, dove all’art. 4 si legge che “L’aggiunta, da parte del comma 2, di un terzo comma all’art. 52 del r.d. serve a chiarire che, anche i crediti per i quali non vige il divieto di azioni esecutive e cautelari sancito dall’art. 51 r.d. sono assoggettati al “concorso formale”, per cui, al fine di essere soddisfatti in sede concorsuale, devono essere previamente accertati, come tutti gli altri crediti, dal giudice delegato. In tal modo, viene ad acquistare valore normativo il principio di elaborazione giurisprudenziale Secondo cui tali crediti possono trovare soddisfazione solo nell’ambito della procedura concorsuale. Tenuto conto di ciò non è stata accolta l’osservazione del Senato con cui si chiedeva la soppressione di tale modifica”. Nella stessa direzione il successivo art. 8, a mente del quale “Il comma 1 reca modifiche all’art. 110 del r.d. Nell’art. 110, comma 1, l’aggiunta di un periodo, dopo il primo, serve a chiarire - in parallelo con quanto dispone il nuovo comma 3 dell’art. 52 del r.d. - che i crediti esentati dal divieto di azioni esecutive e cautelari fruiscono di un privilegio puramente processuale (il potere di iniziare o proseguire l’espropriazione pur in pendenza del fallimento del debitore), ma non sono esentati dal ‘concorso sostanziale’: come tutti gli altri crediti devono essere ammessi al passivo (‘concorso formale’) e poi devono essere collocati nei riparti (‘concorso sostanziale’) per poter trattenere in via definitiva quanto è stato ricavato dall’espropriazione singolare da loro compiuta”.
Che questa sia la lettura del novellato ordito normativo è convincimento anche della giurisprudenza, dove si legge che “l’insinuazione al passivo fallimentare va vista come onere per la banca mutuante al fine dell’esercizio del diritto di trattenere definitivamente quanto percepito (Sez. 1, n. 23572/2004; conf. Sez. 1, n. 17368/2012), sì che i privilegi processuali mantenuti per i crediti fondiari si risolvono in una mera “anticipazione di valuta” in favore delle banche erogatrici di finanziamenti fondiari, “nel senso, cioè, di consentire alle stesse di disporre di quanto loro spettante ma non di importi superiori in via anticipata rispetto al momento nel quale si determina, con la conclusione dell’attività di liquidazione e con l’esecuzione del piano di riparto, il quantum spettante a ciascun creditore concorrente”. La lettura offerta dalla giurisprudenza di legittimità, peraltro, è stata ora codificata dalla riforma della legge fallimentare, con la previsione espressa (la L. Fall., nuovo art. 52, u.c.) dell’onere di insinuazione anche per i creditori esentati dal divieto di cui alla L. Fall., art. 51 e dalla previsione, nel progetto delle somme da ripartire “nel fallimento”, anche dei “crediti per i quali non si applica il divieto di azioni esecutive” di cui alla medesima norma (L. Fall., nuovo art. 110, comma 1, come modificato dal D.Lgs. correttivo)” (Cass. 6377/2015).
Così ricostruito il panorama normativo di riferimento, e venendo alla questione prospettata, è evidente che le spese "prededucibili" devono essere scorporate dall'intero prezzo di aggiudicazione, e non solo dal 20% che residua.