Il suggerimento che ci sentiamo di offrire è quello di diffidare il custode (meglio a mezzo di raccomandata a.r., e meglio ancora se sottoscritta da un legale) ad adempiere al suo obbligo di consegna del bene libero da persone e cose.
Infatti, "Nella vendita forzata, pur non essendo ravvisabile un incontro di consensi, tra l'offerente ed il giudice, produttivo dell'effetto transattivo, essendo l'atto di autonomia privata incompatibile con l'esercizio della funzione giurisdizionale, l'offerta di acquisto del partecipante alla gara costituisce il presupposto negoziale dell'atto giurisdizionale di vendita; con la conseguente applicabilità delle norme del contratto di vendita non incompatibili con la natura dell'espropriazione forzata, quale l'art. 1477 cod.civ. concernente l'obbligo di consegna della cosa da parte del venditore. Ne deriva che, in relazione allo "ius ad rem" (pur condizionato al versamento del prezzo), che l'aggiudicatario acquista all'esito dell'"iter"esecutivo, è configurabile un obbligo di diligenza e di buona fede dei soggetti tenuti alla custodia e conservazione del bene aggiudicato, così da assicurare la corrispondenza tra quanto ha formato l'oggetto della volontà dell'aggiudicatario e quanto venduto. Pertanto, qualora l'aggiudicatario lamenti che l'immobile aggiudicato sia stato danneggiato prima del deposito del decreto di trasferimento, il giudice è tenuto a valutare la censura dell'aggiudicatario medesimo, diretta a prospettare la responsabilità del custode (nella specie, della curatela fallimentare che aveva proceduto alla vendita forzata), in base ai principi generali sull'adempimento delle obbligazioni (art. 1218 cod. civ.), per inadeguata custodia del bene posto in vendita, fino al trasferimento dello stesso (Cassazione civile, sez. I 17 febbraio 1995, n. 1730).
Peraltro, il comportamento del custode potrebbe anche avere una rilevanza penale.
Invero, la sua condotta potrebbe inquadrarsi, a nostro avviso, nella fattispecie penale di cui all’art. 388, comma quinto, c.p., a mente del quale “Il custode di una cosa sottoposta a pignoramento ovvero a sequestro giudiziario o conservativo che indebitamente rifiuta, omette o ritarda un atto dell'ufficio è punito con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino a cinquecentosedici euro”.
Siffatta norma corrisponde in toto al comma introdotto nel vecchio testo dell'art. 388 dall'art. 87, L. 24.11.1981, n. 689.
Si tratta, secondo avveduta dottrina di una fattispecie speciale rispetto al reato di cui all’art. 328 (a nostro avviso di tratta di un rapporto di specialità per specificazione).
La previsione conia, com’è facile intuire, un reato proprio ed esclusivo, poiché può essere commesso soltanto dal custode di una cosa sottoposta a pignoramento ovvero a sequestro giudiziario o conservativo, la cui condotta consiste nel rifiutare, omettere o ritardare indebitamente un atto dell'ufficio. Ciascuno di questi comportamenti dunque è sufficiente a perfezionare il delitto. Vediamo di chiarirne, sinteticamente, il contenuto precettivo.
Rifiutare un atto significa esplicitare la volontà di non compierlo;
omettere un atto significa non compierlo entro il previsto termine perentorio, pure senza manifestare esplicitamente e formalmente la volontà omissiva;
ritardare l'atto significa rinviare il compimento dell'atto oltre il termine ordinatorio prescritto.
Queste condotte devono essere poste in essere “indebitamente”, vale a dire in modo contrario ai doveri di ufficio.
In giurisprudenza, conformemente all’opinione che qui intendiamo esprimere, si è pronunciata Cass. sez. I, 19.1.1998, la quale ha affermato che la mancata consegna, da parte del custode, di beni sottoposti a pignoramento è punibile ai sensi dell'art. 388, comma quinto, c.p.c., dovendosi escludere, per converso, la inquadrabilità di detta condotta nell'ambito delle previsioni di cui all'art. 328.
Si è parimenti statuito che rientra nel fuoco di questa prescrizione il comportamento del proprietario custode dei beni pignorati che non si renda reperibile il giorno dell'accesso fissato dall'ufficiale giudiziario per la sostituzione del custode dei beni pignorati e l'asporto di essi, trattandosi di un’omissione da parte del custode che si sottrae all'obbligo di mettere a disposizione del nuovo custode le cose pignorate (Cass. sez. VI, 16.3.2001; Cass. sez. VI, 22.10.1999).
Quanto ai tempi di restituzione del fondo spese, osserviamo che se già ricevuto il decreto di trasferimento vuol dire che tutte le spese ad esso relative e gravanti sull’aggiudicatario sono state versate, sicché il professionista delegato è in grado di eseguire assai agevolmente il calcolo di quanto le deve essere restituito.
L’unico margine di incertezza potrebbe essere determinato dalla quota parte di compenso del professionista delegato che deve essere posta a carico dell’aggiudicatario ai sensi dell’art. 2 D.M. Giustizia 15 ottobre 2015, n. 227, il quale appunto prevede che siano posti a carico dell’aggiudicatario la metà del compenso relativo alla fase di trasferimento della proprietà e delle le relative spese generali, nonché le spese effettivamente sostenute per l'esecuzione delle formalità di registrazione, trascrizione e voltura catastale.
Orbene, poiché il compenso spettante al professionista delegato viene liquidato dal Giudice ai sensi dell’art. 179 bis, comma 2 c.p.c., (il quale così recita: “Il compenso dovuto al professionista è liquidato dal giudice dell'esecuzione con specifica determinazione della parte riguardante le operazioni di vendita e le successive che sono poste a carico dell'aggiudicatario. Il provvedimento di liquidazione del compenso costituisce titolo esecutivo”) in linea teorica (ma solo in linea teorica) fino a quando il decreto di liquidazione non verrà emesso il professionista delegato non è in grado di conoscere qual'è l’importo a lui dovuto dall’aggiudicatario.
Infine, a proposito della possibile opposizione all'ordine di rilascio, la domanda ci sembra troppo generica per ipotizzare una risposta.