La questione prospettata nella domanda non è di agevole soluzione, poiché si registrano nella giurisprudenza orientamenti parzialmente difformi.
In linea generale è consolidato il principio per cui il mancato dell’obbligo che il contribuente ha di trasferire la residenza nell’immobile nel termine di 18 mesi, come previsto dall’art. 1, nota II-bis, della Tariffa, Parte I, allegata al D.P.R. n. 131/1986, dovuto a causa di forza maggiore, non comporta decadenza dai benefici.
In particolare, “la realizzazione dell'impegno di trasferire la residenza, che rappresenta un elemento costitutivo per il conseguimento del benefìcio richiesto e solo provvisoriamente concesso dalla legge al momento della registrazione dell'atto, costituisce, quindi, un vero e proprio obbligo del contribuente verso il fisco, nella cui valutazione non può, però, non tenersi conto - proprio perché non inerente ad un suo comportamento - della sopravvenienza di un caso di forza maggiore, e cioè di un ostacolo all'adempimento dell'obbligatorio, caratterizzato dalla non imputabilità alla parte obbligata, e dall'inevitabilità ed imprevedibilità dell'evento, dovendo, in conseguenza, affermarsi il principio secondo cui il mancato stabilimento nel termine di legge della residenza nel comune ove è ubicato l'immobile acquistato con l'agevolazione ‘prima casa’ non comporta la decadenza dall'agevolazione qualora tale evento sia dovuto ad una causa di forza maggiore, sopraggiunta in un momento successivo rispetto a quello di stipula dell'atto di acquisto dell'immobile stesso” (Cass. 17.7.2013, n. 17442).
È dubbio se invece possa rientrare nella nozione di forza maggiore la circostanza dell’occupante che rifiuti di rilasciare l’immobile.
Secondo una prima opinione (Cass. 17.12.2015, n. 25437) “In tema di benefici fiscali cosiddetti "prima casa", la forza maggiore idonea ad impedirne la decadenza dell'acquirente di un immobile ubicato in un comune diverso da quello di sua residenza, qualora egli non abbia trasferito ivi quest'ultima nel perentorio termine di diciotto mesi dall'acquisto, deve consistere in un evento non prevedibile, che sopraggiunge inaspettato e sovrastante la volontà del contribuente di abitare nella prima casa entro il termine suddetto”. (Nella specie, la S.C., nel rigettare il ricorso, ha ritenuto la sussistenza di forza maggiore negli ostacoli frapposti dall'inquilina all'esecuzione per rilascio in tre diversi accessi, con differimento di circa dieci mesi nell'acquisizione del possesso dell'immobile).
A giudizio di una diversa tesi giurisprudenziale, invece, il mancato trasferimento della residenza all’interno dell’immobile acquistato per causa di forza maggiore determina comunque decadenza dal beneficio, poiché si tratta di un requisito non richiesto dall’art. 1, nota II-bis, della Tariffa, Parte I, allegata al D.P.R. n. 131/1986, che invece richiede semplicemente che il contribuente trasferisca la residenza all’interno del comune. In questi termini si è pronunciata Cass. Sez. 5, con la sentenza n. 13346 del 28/06/2016, (che ha confermato la pronuncia resa dalla Commissione Tributaria Regionale della Toscana) la quale ha in proposito osservato che “la fattispecie all'esame non contempla quale suo elemento costitutivo quello del tempestivo trasferimento della residenza nella prima casa, bensì che la prima casa si trovi nel Comune di residenza o in alternativa che il trasferimento di residenza nel Comune avvenga entro diciotto mesi dall'acquisto” (in termini identici si è espressa cass. Sez. 5, 3 febbraio 2017, n. 2896)
Negli stessi termini si è pronunciata la Commissione Tributaria Regionale per la Lombardia - Milano Sez. IV, 01 settembre 2017, n. 3481 che ha affrontato e risolto, in senso negativo per il contribuente, il caso in cui l’immobile era stato acquistato in sede esecutiva ed il debitore esecutato, che lo occupava, non lo aveva rilasciato nel termine di 18 mesi decorrenti dalla pronuncia del decreto di trasferimento. Si tratta, tuttavia di una sentenza che non ci sentiamo di condividere poiché essa si fonda sulla considerazione per cui nel decreto di trasferimento non era indicato il termine entro il quale il debitore doveva lasciare l’immobile, senza considerare che l’apposizione di un termine non era necessaria in quanto l’obbligo di rilascio dell’immobile a seguito del decreto di trasferimento è immediatamente esecutivo.
Infine, secondo una terza posizione (Cass. sez. trib. n. 2616 del 2016; Cass. sez. trib. n. 4321 del 2009) poiché il tempestivo trasferimento di residenza consiste in un elemento costitutivo del diritto all'agevolazione, il contribuente dovrebbe perdere il beneficio anche nelle ipotesi in cui il ridetto tempestivo trasferimento di residenza nel Comune sarebbe impedito in modo assoluto da fatti esterni sopravvenuti e imprevedibili. E quindi anche quando il comportamento che il contribuente avrebbe dovuto tenere, appunto il tempestivo trasferimento di residenza nel Comune, sarebbe in effetti obbiettivamente inesigibile. E cioè anche in caso di forza maggiore. Questa tesi si fonda su di una duplice considerazione. Da un lato si sostiene che l'operatività della forza maggiore debba soltanto riguardare i diritti che conseguono ad un rapporto obbligatorio, negandosi in particolare che il diritto all'agevolazione in parola comporti un'obbligazione a carico del fisco, con la conseguenza che il mancato tempestivo trasferimento di residenza dovrebbe comportare la perdita del beneficio perché trattasi invece di un elemento costitutivo della fattispecie non realizzatosi. Da altro lato si sostiene inoltre che trattandosi di un termine prescritto a pena di decadenza, quello appunto che stabilisce il trasferimento di residenza nel Comune entro i diciotto mesi, la sua proroga sarebbe vietata dall'art. 2966 c.c.
A nostro giudizio la tesi che si va da ultimo affermando in giurisprudenza (e che conferma la decadenza dal beneficio nei casi in cui l’occupante non rilasci l’immobile) non può essere condivisa, per lo meno in sede esecutiva.
In primo luogo, la previsione per cui il contribuente per accedere ai benefici fiscali della prima casa non deve trasferire la residenza all’interno dell’immobile acquistato, bensì (solo) all’interno del comune in cui esso è ubicato, costituisce una previsione che si pone quale dell’originario beneficio, pensata al fine di allargarne le maglie, con la conseguenza che in questa ottica deve essere letta; ottica contro la quale ci si porrebbe ove si affermasse (come in verità fa la Corte di Cassazione con un ragionamento cui però va riconosciuta perfetta aderenza al dato normativo) se si affermasse che il contribuente perde il beneficio se non riesce a trasferire la residenza nell’immobile acquistato poiché la norma non lo richiede. Invero, in analoga situazione nel vigore del previgente regime il requisito sarebbe stato mantenuto poiché quell’obbligo esisteva.
In secondo luogo, ai sensi dell’art. 650, comma terzo, c.p.c., l’immobile deve essere liberato, al più tardi, nel momento in cui il Giudice procede all’aggiudicazione, e dunque in un momento precedente a quello in cui viene emesso il decreto di trasferimento.
Com’è noto, alla liberazione dell’immobile, ove l’occupante non provveda spontaneamente, procede il custode, il quale svolge i suoi compiti nell’esercizio di una funzione pubblicistica, tanto è vero che lo stesso è pacificamente qualificato pubblico ufficiale.
L’acquirente, pertanto, è legittimato a fare affidamento non tanto sul fatto di un terzo qualunque, quanto piuttosto sulla efficienza di un organo della procedura, le cui disfunzioni non possono pregiudicare il contribuente dinanzi alla pubblica amministrazione medesima.