Rispondiamo alla domanda muovendo da una premessa.
Dal tenore del quesito formulato ci sembra di comprendere che lei è interessato (ovviamente) ad ottenere la disponibilità dell’immobile.
Fatta questa premessa, osserviamo che a questo fine non è necessario procedere in forza del decreto di trasferimento (che, appunto, ai sensi dell’art. 586 c.p.c., costituisce titolo esecutivo per il rilascio).
Infatti, lo stesso risultato può essere conseguito (e per di più con oneri a carico della procedura), mediante la attuazione dell’ordine di liberazione adottato dal Giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art. 560, commi terzo e quarto.
Tale ultima disposizione prevede, in particolare, che l’odine di liberazione “è attuato dal custode secondo le disposizioni del giudice dell'esecuzione immobiliare, senza l'osservanza delle formalità di cui agli articoli 605 e seguenti, anche successivamente alla pronuncia del decreto di trasferimento nell'interesse dell'aggiudicatario o dell'assegnatario se questi non lo esentano”, con la conseguenza che lei potrebbe chiedere anche al custode di provvedere alla liberazione dell’immobile.
Fatta questa premessa, e tornando al nocciolo della sua domanda, osserviamo che per conseguire la disponibilità dell’immobile il decreto di trasferimento andrà notificato all’occupante.
Invero, la disponibilità del bene attraverso il decreto di trasferimento si consegue dando inizio ad una esecuzione per rilascio, disciplinata dagli artt. 605 e seguenti c.p.c.
Orbene, poiché scopo dell’esecuzione per rilascio è quella di conseguire la disponibilità materiale del bene sottraendolo a colui che quella disponibilità materiale ha, è evidente che l’azione andrà intrapresa contro quest’ultimo.
Peraltro, sebbene l’assunto sia assai criticato in dottrina, la giurisprudenza è ferma nel ritenere che sebbene l’ingiunzione di rilasciare l’immobile di cui all’art. 586, terzo comma, c.p.c., sia rivolta al debitore ed al custode, il titolo al rilascio può essere legittimamente portato a esecuzione nei confronti di chiunque si trovi nella materiale disponibilità del bene, ossia ha efficacia erga omnes.
La Corte di Cassazione a questo proposito ha più volte affermato che “Nell’espropriazione forzata immobiliare, il decreto di trasferimento di cui all’art. 586 c.p.c. costituisce titolo esecutivo per il rilascio dell’immobile espropriato, in favore dell’aggiudicatario al quale l’immobile è stato trasferito, non solo nei riguardi del debitore esecutato ma anche nei confronti di chi si trovi nel possesso o nella detenzione
dell’immobile medesimo, senza che vi corrisponda una situazione di diritto soggettivo (reale o personale) già opponibile al creditore pignorante ed ai creditori intervenuti e in quanto tale opponibile anche all’aggiudicatario cui l’immobile è stato trasferito iussu iudicis (Cass. civ, 6 maggio 1986, n. 3024; Cass. civ, 1 dicembre 1998, n. 12174; Cass. 4 luglio 2006, n. 15268; cass. civ. 14 ottobre 2011, n 21224).
Ovviamente questo non implica che il terzo sia sprovvisto, sempre e comunque, di ogni forma di tutela.
Egli, infatti potrà reagire contro l’esecuzione promossa in suo danno con lo strumento dell’opposizione all’esecuzione, ai sensi dell’art. 615 c.p.c..
A questo proposito si è per esempio affermato che l’opposizione all’esecuzione, cui è legittimato il possessore del bene, può essere proposta per far accertare che il bene oggetto della vendita forzata non apparteneva al soggetto che ha subito l’espropriazione, ma, in forza di titolo opponibile al creditore pignorante ed agli intervenuti, apparteneva all’opponente e che perciò l’acquirente non ha diritto di procedere all’esecuzione (Cass. civ, 10 novembre 1993, n. 11090; conformi Cass. civ., 2aprile 1997, n. 2869; Cass. civ. 1 dicembre 1998, n. 12174).