Morte del creditore procedente in esecuzione immobiliare sospesa per procedimento di endo divisione

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  • Ultimo messaggio 23 aprile 2022
dott.seminara pubblicato 20 aprile 2022

Buongiorno, 

assisto un crediotore procedente nell'ambito di una esecuzione immobiliare che ad oggi risulta sospesa 

in quanto il Giudice ha disposto la divisione del bene con introduzione del relativo giudizio che è stato regolarmente

iscritto a ruolo ed all'interno del quale è stata già disposta la vendita del bene.

Il creditore mio assistito è deceduto di recente. 

Ho intenzione di depositare comparsa di prosecuzione nel procedimento endo divisionale in favore dei figli quali unici eredi.

Il dubbio riguarda il fascicolo dell'esecuzione che allo stato attuale risulta sospeso in attesa della conclusione del procedimento divisorio. Secondo Voi è necessario procedere in modo contestuale al deposito della comparsa di prosecuzione anche nel fascicolo dell'esecuzione oggi sospeso? O riassumere solo il fascicolo endo divisonale?

inexecutivis pubblicato 23 aprile 2022

Ai sensi dell’art. 600 c.p.c. la così detta "divisione endoesecutiva" costituisce l’esito necessario dell'udienza di comparizione delle parti quando sia stata verificata l'impossibilità giuridico economica di procedere alla separazione della quota o di venderla ad un prezzo almeno pari al valore di stima, nonché l'indisponibilità degli altri quotisti a liquidare l'esecutato.

Attraverso questo giudizio si procede allo scioglimento della comunione, similmente a quanto accadrebbe in un ordinario giudizio divisorio, con attribuzione all'esecutato di una porzione del ricavato dalla vendita di valore uguale al valore della quota di proprietà di cui era titolare, e sulla quale è stato trascritto il pignoramento.

A proposito della domanda di scioglimento della comunione, l'opinione che si va affermando è quella per cui essa è già contenuta nell'atto di pignoramento, il quale essendo trascrivibile (e trascritto) consente di rispettare il disposto degli artt. 2646, comma secondo, e 2685 c.c. (che impongono la trascrizione della domanda di divisione). Invero, la previsione di cui all'art. 600 c.p.c. consente di affermare che l'atto di pignoramento di quota contiene in se' l'implicita domanda di adozione dei provvedimenti previsti da questa norma, tra cui anche quello dello scioglimento della comunione.

Peraltro, poiché la trascrizione deve avvenire anche a favore e contro degli altri comproprietari, e considerato che a tal fine è necessario preliminarmente la notifica della domanda, è da ritenere che questa (seconda) trascrizione potrà avvenire solo dopo la notifica dell'avviso a comparire o dopo l'integrazione del contraddittorio eventualmente disposto dal giudice ex art. 181, comma secondo, disp. att. c.p.c., quando non tutti i comproprietari siano comparsi all'udienza di cui all'art. 600.

È facile osservare che si tratta di un meccanismo affatto lineare, che ha indotto molti uffici giudiziari a disporre che il giudizio di scioglimento della comunione fosse introdotto con atto di citazione, da notificare e trascrivere. Sennonché questa prassi non è stata validata dalla giurisprudenza di legittimità, la quale ha stabilito che "Il giudizio di divisione endoesecutivo è ritualmente introdotto con la pronuncia (o la notifica nel caso in cui sia necessario integrare il contraddittorio con le parti assenti all'udienza fissata ex art. 600 cpc) dell'ordinanza del giudice dell'esecuzione che la dispone, di modo che non è necessaria la notificazione e iscrizione a ruolo di un distinto atto di citazione; nondimeno, ove il giudice dell'esecuzione oneri le parti di tale incombente, la relativa ordinanza - se non opposta con la dimostrazione di una conseguente lesione del proprio diritto di difesa - non dà luogo a nullità, e ad essa va prestata ottemperanza, sebbene dalla sua inosservanza non possano farsi discendere, per la parte onerata, conseguenze di definizione in rito del processo deteriori rispetto a quelle derivanti dall'inosservanza delle minori forme sufficienti" (Cass. sez. III, 20 agosto 2018, n. 20817).

A proposito della natura del giudizio divisorio incidentale, la giurisprudenza di legittimità è ormai consolidata nel ritenere che la divisione endoesecutiva sia una parentesi di cognizione nell’ambito del procedimento esecutivo, autonoma e distinta da questo, sì da non poterne essere considerata una continuazione o una fase (Cfr., Cass. civ., sez. III, 18 aprile 2012, n. 6072; Cass., Sez. III, 20 agosto 2018, n. 20817; Sez. U, 7 ottobre 2019, n. 20521). Ne costituisce la prova provata il fatto che durante lo scioglimento della comunione, l'esecuzione è sospesa, ai sensi dell'art. 601, comma primo, c.p.c.. Dall’autonomia di questo giudizio deriva peraltro che davanti al giudice della divisione non possono essere introdotte – o, se comunque introdotte, non possono essere esaminate e decise – opposizioni esecutive avverso i provvedimenti del giudice dell’esecuzione (Cass., sez. Sez. III, 4 agosto 2021, n. 22210).

Tuttavia, tra i due giudizi esiste uno strettissimo collegamento funzionale, tale per cui si ammette che possa essere presentata istanza di conversione del pignoramento, o che il giudizio si estingua, per sopravvenuta carenza di interesse ad agire, quando il titolo esecutivo del creditore procedente sia venuto meno, sempre che le altre parti del giudizio non chiedano che si prosegua comunque (cfr la citata Cass. n. 6072/2012).

Questa stretta connessione ha fatto anche ritenere alla giurisprudenza che "la notifica dell'ordinanza che dispone il giudizio di divisione è legittimamente eseguita al procuratore di uno dei litisconsorti che si sia già costituito nell'esecuzione forzata, in quanto il relativo mandato, in mancanza di un'espressa limitazione dei poteri del difensore, deve presumersi conferito anche ai fini dell'espletamento della difesa della parte nel corso del giudizio di cognizione divisionale che costituisce normale epilogo dell'espropriazione"(Cass. n. 20817/2018, cit.).

Concluso, il giudizio di divisione endoesecutiva, l'esecuzione forzata deve essere riassunta ex art. 627 c.p.c. nel termine perentorio fissato dal giudice della divisione.

È stata assai discussa in passato la questione dei rimedi esperibili avverso gli atti della divisione endoesecutiva.

La questione ha richiesto l'intervento delle Sezioni unite della Corte di Cassazione, che con la sentenza 29 luglio 2013, n. 18185 hanno ritenuto esperibili i rimedi oppositivi tipici della procedura esecutiva, affermando quanto segue:

La finalità del procedimento di vendita dei beni immobili non è diversa nel giudizio divisorio o nel processo esecutivo: si deve convertire in controvalore monetario il bene oggetto di comunione, sicché vi è una esigenza di coerente semplificazione e uniformazione dello strumento giuridico.

Le scelte legislative degli ultimi lustri (…) e l’esplicito insistito rinvio alle norme sulla espropriazione forzata sono la manifestazione di un richiamo ad esse che va inteso come sistematico. Non avrebbe senso infatti scandire il procedimento di vendita con i passi del processo esecutivo e sovrapporgli un apparato rimediale del tutto diverso, privo di quell’efficacia e di quella celerità che deriva sia dalla tipologia di opposizioni, sia dal meccanismo della sanatoria processuale".

La intima funzionalizzazione del giudizio divisorio al procedimento esecutivo che l'ha partorito induce poi a ritenere applicabile al primo l'istituto della chiusura anticipata dell'esecuzione per infruttuosità di cui all’art. 164 bis disp. att c.p.c la quale condurrà ad una declaratoria di cessazione della materia del contendere per sopravvenuta carenza di interesse ad agire.

Tanto premesso, riteniamo che, nonostante l’intima funzionalizzazione della divisione all’esecuzione, la formale autonomia dei duce giudizi conduca a ritenere, quantomeno per via solo prudenziale, che la comparsa di costituzione degli eredi vada depositata in entrambe le procedure, anche perché a norma dell’art. 626 c.p.c. quando l’esecuzione è sospesa (come accade in pendenza di divisione endoesecutiva) nessun atto può essere compiuto, salvo diversa disposizione del giudice dell’esecuzione, al quale il debitore potrebbe chiedere di dichiarare l’estinzione della procedura per intervenuto decesso del creditore.

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