Com’è noto, al momento del deposito in cancelleria del decreto di trasferimento si produce l’effetto traslativo (Cass. 16.4.2003, n. 6272; 20.5.2015, n.10251).
Quindi, da quel momento l’aggiudicatario consegue il diritto alla consegna del bene in applicazione delle regole generali sulla compravendita.
Così si esprime anche la giurisprudenza, secondo la quale Nella vendita forzata, pur non essendo ravvisabile un incontro di consensi, tra l'offerente ed il giudice, produttivo dell'effetto transattivo, essendo l'atto di autonomia privata incompatibile con l'esercizio della funzione giurisdizionale, l'offerta di acquisto del partecipante alla gara costituisce il presupposto negoziale dell'atto giurisdizionale di vendita; con la conseguente applicabilità delle norme del contratto di vendita non incompatibili con la natura dell'espropriazione forzata, quale l'art. 1477 cod.civ. concernente l'obbligo di consegna della cosa da parte del venditore (Cassazione civile, sez. I 17 febbraio 1995, n. 1730; Cass. 30/06/2014, n. 14765).
Del resto, lo stesso vale anche nelle vendite ordinarie, laddove si è detto che “Nella vendita ad effetti reali, un volta concluso il contratto, l'acquirente consegue immediatamente, e senza necessità di materiale consegna, non solo la proprietà ma anche il possesso giuridico ("sine corpore") della "res vendita", con l'obbligo del venditore di trasferirgli il possesso materiale ("corpus"), che si realizza con la consegna e che, quanto al tempo della sua attuazione, ben può essere regolato dall'accordo dell'autonomia delle parti”. (Cass. n. 569 del 11/01/2008).
Sulla scorta di queste premesse è teoricamente possibile ipotizzare una responsabilità del custode da ritardata consegna.
Quanto alla incidenza della emergenza epidemiologica in atto, osserviamo quanto segue.
È fatto notorio che il Paese sta attraversando un momento storico di assoluta gravità, che ha recentemente inciso in modo assai penetrante sull’ordinario svolgimento dell’attività giurisdizionale.
Invero il decreto legge 8 marzo 2020, n. 11 pubblicato in pari data sulla sulla G.U. n. 60 aveva previsto, all’art. 1 comma primo, che “A decorrere dal giorno successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto [e dunque dal 9 marzo] e sino al 22 marzo 2020 le udienze dei procedimenti civili e penali pendenti presso tutti gli uffici giudiziari, con le eccezioni indicate all’articolo 2, comma 2, lettera g), sono rinviate d’ufficio a data successiva al 22 marzo 2020”, aggiungendo al successivo comma 2 che fino al 22 marzo 2020 “sono sospesi i termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti indicati al comma 1, ferme le eccezioni richiamate”.
A 9 giorni di distanza, l’acuirsi dell’emergenza sanitaria ha determinato l’emanazione del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, recante “Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19” (pubblicato sulla G.U. Serie Generale n. 70 del 17 marzo 2020), che con l’art. 83 ha (sostanzialmente) prorogato al 15 aprile 2020 il rinvio d'ufficio delle udienze civili e penali, nonché la sospensione dei termini processuali (commi primo e secondo) prima fissata al 22 marzo dal d.l n. 11/2020 citato, disponendo che i capi degli uffici potranno adottare disposizioni che prevedano, tra l’altro, il rinvio delle udienze a data successiva al 30 giugno 2020.
Infine, questo termine è stato prorogato all’11 maggio con l’art. 36 del d.l. 8 aprile 2020, n. 23
Pertanto, i termini processuali sono ad oggi sospesi dal 9 marzo al 15 aprile, e dunque per 64 giorni.
A questa sospensione fanno eccezione, secondo quanto previsto dal comma terzo del citato art. 83, una serie di procedimenti, tra cui “tutti i procedimenti la cui ritardata trattazione può produrre grave pregiudizio alle parti. In quest’ultimo caso, la dichiarazione di urgenza è fatta dal capo dell’ufficio giudiziario o dal suo delegato in calce alla citazione o al ricorso, con decreto non impugnabile e, per le cause già iniziate, con provvedimento del giudice istruttore o del presidente del collegio, egualmente non impugnabile.
Parimenti, l’art. 103 comma sesto prescrive che “L’esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, anche ad uso non abitativo, è sospesa fino al 30 giugno 2020”.
È allora necessario chiedersi se, e come, queste norme alterano il fisiologico divenire delle procedure esecutive.
A nostro giudizio deve muoversi dalla premessa per cui i termini processuali soggiacciono, per effetto delle disposizioni emergenziali surrichiamtate, ad un regime di sospensione i cui effetti non sono dissimili, sebbene più ampi, di quelli determinati dalla l. 7 ottobre 1969, 742 (pur essendo radicalmente diversa la scaturigine delle norme) che i termini processuali sospende durante il periodo feriale.
Depone in questa direzione sia il dato letterale della norma (che al comma secondo, dopo aver previsto che “dal 9 marzo 2020 al 15 aprile 2020 è sospeso il decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali”, ha poi specificato al successivo periodo che “si intendono pertanto sospesi, per la stessa durata, i termini stabiliti per la fase delle indagini preliminari, per l’adozione di provvedimenti giudiziari e per il deposito della loro motivazione, per la proposizione degli atti introduttivi del giudizio e dei procedimenti esecutivi, per le impugnazioni e, in genere, tutti i termini procedurali”) che, soprattutto, la sua ratio, meglio esplicitata nella relazione illustrativa disegno di legge di conversione del d.l. n. 11/2020, laddove si afferma che essa ha lo scopo di determinare la “sospensione di tutti i termini per il compimento di qualsiasi attività processuale, ivi inclusi gli atti di impugnazione”, nonché nella relazione illustrativa del d.l. n. 18/2020, nella quale si rappresenta la necessità di rimediare al “fiorire di dubbi interpretativi e prassi applicative sostanzialmente elusive del contenuto della previsione o comunque non adeguatamente sensibili rispetto all’evidente dato teleologico della norma, costituito dalla duplice esigenza di sospendere tutte le attività processuali allo scopo di ridurre al minimo quelle forme di contatto personale che favoriscono il propagarsi dell’epidemia, da un lato, e di neutralizzare ogni effetto negativo che il massivo differimento delle attività processuali disposto al comma 1 avrebbe potuto dispiegare sulla tutela dei diritti per effetto del potenziale decorso dei termini processuali, dall’altro”
Si tratta, in ogni caso e come è stato subito osservato dai primissimi commentatori, di “una sospensione sui generis, che, benché riferita testualmente ai soli termini processuali, comprende in concreto tutte le attività processuali tout court e quelle connesse, nel loro complesso”.
Viene da chiedersi, infine, se la sospensione delle esecuzioni per rilascio prevista dal citato art. 103, comma 6, d.l. n. 18 del 2020 riguardi anche l’attuazione degli ordini di liberazione.
Secondo una prima opinione la sospensione non riguarda l’attuazione degli ordini di liberazione, poiché la sospensione riguarda le “esecuzioni” per rilascio, laddove invece l’ordine di liberazione viene “attuato” (così la riforma dell’art. 560 ad opera del d.l. 59/2016) dal custode sotto la direzione del giudice dell’esecuzione immobiliare, non dando luogo ad una autonoma procedura esecutiva. Quindi, si dice, poiché il citato art. 103 comma 6 costituisce disposizione eccezionale contenuta in una normativa speciale, come tale, è insuscettibile di applicazione analogica pena la violazione dell’art. 14 delle preleggi. Essa dunque non dovrebbe riguardare la “attuazione” dell’ordine di liberazione.
Tuttavia, come abbiamo detto, ai sensi del comma 2 dell’art. 83 “sono sospesi i termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti”, con la conseguenza per c ui si potrebbe ritenere che anche l’attuazione dell’ordine di liberazione rimane congelata e rinviata a dopo il 30 giugno.
Ed allora, in conclusione, ove il custode non volesse procedere oltre il consiglio che si può offrire è quello di chiedere al Presidente del Tribunale, con apposita istanza, che venga dichiarata l’urgenza, consentendo così la prosecuzione delle attività di liberazione.