Liberazione immobile DL59/16

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  • Ultimo messaggio 09 aprile 2018
gabry pubblicato 03 ottobre 2016

Sto cercando di avere il possesso dell'immobile acquistato e il mio avvocato, nonostante gli abbia chiesto di usare la nuova legge, si sta avvalendo dell'ufficiale giudiziario. Finora sono passati 2 mesi solo per il precetto. Adesso ci troviamo al primo accesso fissato tra oltre 1 mese (salvo rinvii). Poi ci sarebbero ulteriori accessi e quindi a questo punto visti i tempi assurdi se ne parlerà per febbraio/marzo 2017. La casa è vuota e l'occupante è andato via da tempo e lui e l'esecutato si rifiutano di consegnare le chiavi. Ovviamente saranno denunciati e mi pagheranno tutti i danni per ogni mese di mancato uso dell'immobile + condominio + spese legali (al momento già siamo arrivati a 4000 euro).

Ho richiesto di agire senza Ufficiale Giudiziario sfruttando le modifiche all'art.560cpc, il mio avvocato si era quasi convinto ma poi dopo aver parlato con il custode delegato hanno ritenuto opportuno continuare con l'ufficiale giudiziario.

Mi conviene usare la nuova legge ? Cosa posso fare per sfruttarla ? Devo cambiare avvocato ?

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inexecutivis pubblicato 05 ottobre 2016

 Nel rispondere alla sua domanda dobbiamo partire dalla premessa per cui le nuove modalità di esecuzione dell’ordine di liberazione previste dall’art. 560, comma quarto, c.p.c. (modalità che non prevedono l’avvio di una procedura esecutiva ex art. 605 e ss c.p.c. ma consentono una esecuzione diretta a cura del custode) si applicano, a norma dell’art. 4, co. 4, d.l. 59/2016, agli ordini di liberazione disposti successivamente al decorso del termine di 30 giorni dalla data di entrata in vigore delle legge di conversione del predetto decreto legge, e dunque a partire dal 2 agosto 2016.

Da questo consegue che l’utilizzo del nuovo procedimento non è rimesso all’apprezzamento discrezionale del custode. Se si tratta di ordine di liberazione emesso prima della data sopra indicata, la procedura da adottare seguirà la disciplina degli artt. 605 e ss c.p.c. se al contrario l’ordine di liberazione è successivo, le modalità esecutivo sono quelle disciplinate dal novellato quarto comma dell’art. 560.

Ciò premesso, dal tenore della domanda ricaviamo che il decreto di trasferimento in suo favore sia già stato emesso. Se così è, l’acquisizione della disponibilità dell’immobile può avvenire o attraverso l’esecuzione dell’ordine di liberazione (con le due modalità previste a seconda che esso sia stato emesso prima o dopo il 2 agosto 2016), oppure attraverso gli artt. 605 e ss c.p.c., mettendo in esecuzione il decreto di trasferimento, che ai sensi dell’art. 586, ultimo comma c.p.c., costituisce titolo esecutivo per il rilascio.

Non avendo a disposizione gli atti della procedura, non possiamo dirle se, nel suo caso è conveniente agire attraverso l’una o l’altra modalità esecutiva.

Certamente, la messa in esecuzione dell’ordine di liberazione è conveniente sotto il profilo economico, poiché ai sensi dell’art. 560, comma terzo c.p.c. essa deve avvenire con oneri a carico della procedura (ciò vale, però, solo per gli ordini di liberazioni emessi dopo il 2 agosto 2016, a meno che il Giudice non abbia disposto in tal senso con l’ordinanza di vendita). Tuttavia, se l’ordine di liberazione non è stato emesso, al fine di valutare quale strada sia più conveniente percorrere occorre comparare i tempi di richiesta ed adozione del provvedimento con quelli necessari a completare l’esecuzione che il suo legale, a quanto pare, ha già intrapreso. 

gmario pubblicato 04 aprile 2018

devo lasciare l'immobile aggiudicato all'asta.

l'avvocato mi dice che, oltre ai mobili,  posso portare via tutto cio' che è rimovibile all'interno e all'esterno della casa.

posso quindi portare via le porte, i serramenti esterni, la caldaia, gli interruttori e gli impianti elettrici, l'impianto fotovoltaico, ecc, o rischio di essere denunciato?

grazie.

inexecutivis pubblicato 09 aprile 2018

Per rispondere alla domanda formulata è necessario partire dalla lettura dell’art. 2912 c.c., a mente del quale il pignoramento si estende alle pertinenze, agli accessori ed ai frutti della cosa pignorata.

La nozione di pertinenza si ricava dall’art. 817 c.c., ai sensi del quale costituiscono pertinenze le cose destinate in modo durevole al servizio o all’ornamento di un’altra. Affinché una cosa possa dirsi pertinenza di un bene principale occorrono due requisiti: uno soggettivo, dato dall’appartenenza al medesimo soggetto della cosa principale e di quella accessoria, e dalla volontà di imporre il vincolo da parte del proprietario, ed uno oggettivo, rappresentato dalla contiguità, anche solo di servizio, e non occasionale, della destinazione, tale per cui il bene accessorio deve arrecare una “utilità” al bene principale.

Quanto agli accessori, manca nel codice una loro definizione, ed in dottrina si ritiene, generalmente, che tali possono essere sia le così dette “pertinenze improprie” (cioè cose destinate a servizio od ornamento della cosa principale in modo non duraturo, ovvero da chi non ne ha la proprietà) che e le accessioni in senso tecnico, vale a dire gli incrementi fluviali, (alluvione e avulsione), i casi di unione e commistione, le accessioni al suolo (piantagioni o costruzioni).

Cass. Pen. 19.6.2007, n. 23754 occupandosi del caso in cui un soggetto aveva asportato dall’immobile pignorato gli infissi, i termosifoni, i pavimenti, la porta blindata, la caldaia, i pannelli in cartongesso di tamponamento, una pergola pompeiana ed una vasca idromassaggio, ha ritenuto che questi beni, in forza della previsione di cui all’art. 2912 c.c., dovevano ritenersi ricompresi nel pignoramento, indentificando nelle pertinenze ed accessori “tutto ciò che concorre a definire il valore economico del bene esecutato”, identificando, in particolare, negli accessori “sia le accessioni in senso tecnico, caratterizzate da una unione materiale con la cosa principale (piantagioni, costruzioni), sia quei beni che, pur conservando la loro individualità, sono collegati a quello principale da un rapporto tanto di natura soggettiva, determinato dalla volontà del titolare del bene, quanto di natura oggettiva conseguente alla destinazione funzionale che li caratterizza e che ne fa strumento a servizio del bene cui accedono”.

Sempre secondo la Corte di Cassazione (n. 4378 del 20.3.2012) non costituiscono invece pertinenze le suppellettili, gli arredi ed i mobili che riguardano esclusivamente la persona del titolare, a meno che non siano destinati in modo durevole all’ornamento dell’immobile.

Così ricostruito il panorama normativo e giurisprudenziale di riferimento, riteniamo che nel caso da lei prospettato nessuno dei beni indicati possa essere asportato.

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