In caso di contratto opponibile, riteniamo che il Giudice debba autorizzare il custode ad agire per il rilascio, intraprendendo un procedimento di convalida dello sfratto per morosità. L’art. 560, comma quinto, c.p.c., prevede infatti espressamente che il custode esercita le azioni previste dalla legge per conseguire la disponibilità dell’immobile anche se, almeno secondo l’opinione prevalente (secondo noi condivisibile) previa autorizzazione del Giudice dell’esecuzione, in una ottica di controllo da parte del Giudice in ordine alla convenienza dell’azione giudiziaria.
Questa legittimazione processuale, con specifico riferimento alla locazione, è stata affermata dalla giurisprudenza di legittimità, secondo la quale “anche se la locazione dell’immobile pignorato è stata stipulata prima del pignoramento, la rinnovazione tacita della medesima richiede l’autorizzazione del giudice dell’esecuzione, in forza dell’art. 560, secondo comma, c.p.c.; peraltro, il custode giudiziario deve assicurare la conservazione e la fruttuosa gestione della cosa pignorata previa autorizzazione del giudice dell’esecuzione, sicché è legittimato ad inviare la disdetta e a promuovere la procedura di rilascio per finita locazione [le stesse ragioni valgono, evidentemente, per la procedura di sfratto per morosità]. La norma citata, rettamente interpretata nel senso esposto, non suscita dubbi di incostituzionalità per violazione dell’art. 3 Cost., in quanto la peculiare funzione del pignoramento nell’ambito del processo di esecuzione giustifica la particolarità della sua disciplina in cui si inquadra in modo armonico e coerente il suddetto secondo comma dell’art. 560 cod. proc. civ. (Cass. civ., 13.12.2007, n. 26238).
Quanto alla rilevanza della condotta di colui partecipa ad una gara senza poi provvedere al versamento del saldo prezzo, osserviamo quanto segue.
Ai sensi dell’art. 353 c.p., “Chiunque, con violenza o minaccia, o con doni, promesse, collusioni o altri mezzi fraudolenti, impedisce o turba la gara nei pubblici incanti o nelle licitazioni private per conto di pubbliche Amministrazioni, ovvero ne allontana gli offerenti,è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni e con la multa da euro 103 a euro 1.032”.
Nel reato di turbata libertà degli incanti, il "mezzo fraudolento" consiste in una attività ingannatoria idonea ad alterare il regolare funzionamento e pregiudicare la libera partecipazione alla gara. (In applicazione del suddetto principio, la S.C. ha escluso che la presentazione, ai sensi dell'art. 584 cod. proc. civ., di offerte in aumento del sesto successive alla aggiudicazione del bene, non seguite dal versamento della somma nel termine, con l'effetto di far prolungare la gara e l'intento di aggiudicarsi il bene messo all'asta, possa qualificarsi come "mezzo fraudolento", ove tale facoltà non ridondi in abuso. Cass. Sez. 6, n. 8020 del 11/11/2015).
In senso parzialmente diverso, si è detto che “Il delitto di turbata libertà degli incanti (art. 353 cod. pen.) può essere commesso, oltre che con violenza, minaccia, doni, promesse, collusioni, anche attraverso "altri mezzi fraudolenti", categoria nella quale rientra ogni genere di artificio, inganno, menzogna usati per alterare il regolare funzionamento e la libera partecipazione alla gara. (Nella specie, la Corte ha riconosciuto sussistente il delitto nel caso di soggetti che, nell'ambito della procedura esecutiva per la vendita all'asta dei beni ricompresi nel fallimento dei genitori, sistematicamente procedevano, dopo ciascuna aggiudicazione provvisoria, ad offrire l'aumento del sesto sul prezzo determinato, facendo schizzare in alto il prezzo medesimo, con conseguente ritiro degli aggiudicatari provvisori, salvo poi non provvedere a saldare il prezzo, così determinando l'inizio di una nuova gara a prezzi ribassati). (Sez. 6, n. 20211 del 15/05/2012 - dep. 25/05/2012).
Ancora, si è detto che “Nel reato di turbata libertà degli incanti, il "mezzo fraudolento" consiste in qualsiasi attività ingannevole che, diversa dalle condotte tipiche descritte dalla norma incriminatrice, sia idonea ad alterare il regolare funzionamento della gara, anche attraverso anomalie procedimentali, quali il ricorso a prestanomi o l'indicazione di informazioni scorrette ai partecipanti, e a pregiudicare l'effettività della libera concorrenza, la quale presuppone la possibilità per tutti gli interessati di determinarsi sulla base di un corretto quadro informativo”. (Sez. 6, n. 42770 del 11/07/2014 - dep. 13/10/2014).
Fatta questa premessa, è difficile dire se la partecipazione dell’aggiudicatario che poi non abbia versato il saldo integri il reato. Invero, nulla esclude che il partecipante non abbia provveduto al versamento perché semplicemente non è riuscito a farlo.