l’art. 103 comma sesto d.l. 18/2020 (convertito, con modificazioni, con 24 aprile 2020, n. 27) prescrive che “L’esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, anche ad uso non abitativo, è sospesa fino primo settembre 2020”.
Ora, secondo una prima opzione ricostruttiva, poiché la norma parla di esecuzione, mentre l’ordine di liberazione viene attuato, l’art. 103 non interferirebbe con l’art. 560 c.p.c.. e quindi l’attuazione dell’ordine di liberazione emesso dal giudice dell’esecuzione non potrebbe essere sospeso da questa previsione normativa, di carattere certamente eccezionale e dunque insuscettibile di applicazione analogica a mente dell’art. 14 delle preleggi.
A questa tesi i contrappone l’affermazione per cui la ratio della norma non giustificherebbe una siffatta ricostruzione, e dunque dovrebbe ritenersi che il termine «esecuzione» sia stato utilizzato dal legislatore in senso atecnico.
Un ulteriore argomento a suffragio di questa impostazione è anche quello per cui se si individua per gli ordini di liberazione un diverso regime si porrebbero seri dubbi di legittimità costituzionale, atteso che sul piano degli effetti concretamente prodotti dall’attuazione dell’ordine di liberazione e dall’esecuzione dei provvedimenti di rilascio sono identici, salvo a volerli analizzare dal punto di vista degli interessi a tutela dei quali i due provvedimenti sono preposti, e che sono identificabili nel sollecito svolgimento della procedura e nella salvaguardia delle ragioni del ceto creditorio, da un lato, e nel diritto alla consegna del bene da parte dell’avente titolo, dall’altro.
Il suggerimento che dunque ci sentiamo di offrire è quello di chiedere l’attuazione dell’ordine di liberazione (sulla base degli argomenti che abbiamo appena esposto) o di impugnare il provvedimento di sospensione dell’ordine di liberazione che fosse stato emesso in forza dell’art. 103, comma sesto, citato.
Quanto alle cnseguenza del mancato trasferimento della residenza a causa della mancata disponibilità dell'immobile, osserviamo che è consolidato il principio per cui il mancato assolvimento all’obbligo che il contribuente ha di trasferire la residenza nell’immobile nel termine di 18 mesi, come previsto dall’art. 1, nota II-bis, della Tariffa, Parte I, allegata al D.P.R. n. 131/1986, dovuto a causa di forza maggiore, non comporta decadenza dai benefici.
In particolare, “la realizzazione dell'impegno di trasferire la residenza, che rappresenta un elemento costitutivo per il conseguimento del benefìcio richiesto e solo provvisoriamente concesso dalla legge al momento della registrazione dell'atto, costituisce, quindi, un vero e proprio obbligo del contribuente verso il fisco, nella cui valutazione non può, però, non tenersi conto - proprio perché non inerente ad un suo comportamento - della sopravvenienza di un caso di forza maggiore, e cioè di un ostacolo all'adempimento dell'obbligatorio, caratterizzato dalla non imputabilità alla parte obbligata, e dall'inevitabilità ed imprevedibilità dell'evento, dovendo, in conseguenza, affermarsi il principio secondo cui il mancato stabilimento nel termine di legge della residenza nel comune ove è ubicato l'immobile acquistato con l'agevolazione ‘prima casa’ non comporta la decadenza dall'agevolazione qualora tale evento sia dovuto ad una causa di forza maggiore, sopraggiunta in un momento successivo rispetto a quello di stipula dell'atto di acquisto dell'immobile stesso” (Cass. 17.7.2013, n. 17442; negli stessi termini Sez. 6 - 5, 8/11/2019, n. 28838).
Infine, rispondendo a gennaro, il suggerimento che ci sentiamo di offrire è quello di chiedere al giudice di essere nominato custode del compendio pignorato, se non fosse stato ancora emesso il decreto di trasferimento. In caso contrario, essendo già divenuto proprietario, suggeriamo di diffidare il custode alla consegna dell'immobile poichè questo, non essendo occupato da nessuno, non soggiace alal sospensione di cui all'art. 103, comma sesto, citato.