La risposta alla domanda formulata risiede nell’art. 41 comma quarto del d.lgs. n. 385/1993, il quale dispone che “Con il provvedimento che dispone la vendita o l’assegnazione il Giudice dell’esecuzione prevede, indicando il termine, che l’aggiudicatario o l’assegnatario, che non intendano avvalersi della facoltà di subentrare nel contratto di finanziamento, versino direttamente alla banca la parte del prezzo corrispondente al complessivo credito della stessa. L’aggiudicatario o l’assegnatario che non provvedano al versamento nel termine stabilito sono considerati inadempienti ai sensi dell’art. 587 del codice di procedura civile”.
Ai sensi del secondo comma del richiamato art. 41 TUB l’esecuzione per credito fondiario, in deroga all’art. 51 l.fall., prosegue anche in caso di fallimento del debitore, salva la possibilità di intervento del curatore. La somma ricavata dall’esecuzione, eccedente la quota che in sede di riparto risulta spettare alla banca, viene attribuita al fallimento.
Quindi, in presenza di un credito fondiario, la procedura esecutiva non solo prosegue, ma il credito della banca viene comunque soddisfatto, assegnandosi alla curatela solo la somma che sopravanza all’assegnazione (la prosecuzione della procedura, è stato precisato, avviene a meno che in sede fallimentare sia già stata ordinata la vendita prima che questa sia stata disposta dal Giudice dell’esecuzione, Cfr Cass. civ., sez. I, 8 settembre 2011, n. 18436).
In passato si è discusso se, in caso di fallimento del debitore esecutato, l’esercizio del diritto all’assegnazione della somma ricavata dalla vendita riconosciuto al creditore fondiario imponesse o meno che questi risultasse insinuato al passivo (cosa che, nel caso di specie, ad oggi non è avvenuta in quanto la prima udienza di verifica dello stato passivo non si è ancora celebrata).
Il primo problema può oggi dirsi parzialmente superato, atteso che la giurisprudenza si è ormai consolidata nel senso di ritenere che l’insinuazione al passivo sia necessaria. In particolare, secondo Cass. civ., sez. I, 17 dicembre 2004, n. 23572, “L’art. 42 del R.D. 16 luglio 1905, n. 646 (applicabile “ratione temporis”, pur essendo stato abrogato dal testo unico 1 settembre 1993, n. 385, a far data dal 1 gennaio 1994), la cui applicazione è fatta salva dall’art. 51 della legge fallimentare, nel consentire all’istituto di credito fondiario di iniziare o proseguire l’azione esecutiva nei confronti del debitore dichiarato fallito, configura un privilegio di carattere meramente processuale, che si sostanzia nella possibilità non solo di iniziare o proseguire la procedura esecutiva individuale, ma anche di conseguire l’assegnazione della somma ricavata dalla vendita forzata dei beni del debitore nei limiti del proprio credito, senza che l’assegnazione e il conseguente pagamento si debbano ritenere indebiti e senza che sia configurabile l’obbligo dell’istituto procedente di rimettere immediatamente e incondizionatamente la somma ricevuta al curatore. Peraltro, poiché si deve escludere che le disposizioni eccezionali sul credito fondiario - concernenti solo la fase di liquidazione dei beni del debitore fallito e non anche quella dell’accertamento del passivo - apportino una deroga al principio di esclusività della verifica fallimentare posto dall’art. 52 della legge fallimentare, e non potendosi ritenere che il rispetto di tali regole sia assicurato nell’ambito della procedura individuale dall’intervento del curatore fallimentare, all’assegnazione della somma disposta nell’ambito della procedura individuale deve riconoscersi carattere provvisorio, essendo onere dell’istituto di credito fondiario, per rendere definitiva la provvisoria assegnazione, di insinuarsi al passivo del fallimento, in modo tale da consentire la graduazione dei crediti, cui è finalizzata la procedura concorsuale, e, ove l’insinuazione sia avvenuta, il curatore che pretenda in tutto o in parte la restituzione di quanto l’istituto di credito fondiario ha ricavato dalla procedura esecutiva individuale ha l’onere di dimostrare che la graduazione ha avuto luogo e che il credito dell’istituto è risultato, in tutto o in parte, incapiente”. (Negli stessi termini anche Cass. civ., sez. I, 11 ottobre 2012, n. 17368 e Cass., sez. I, 30 marzo 2015, n. 6377).
Un tema affine a quello appena declinato si incentra nello stabilire se l’ammissione al passivo sia requisito per ottenere, già in seno all’esecuzione individuale, l’assegnazione provvisoria del ricavato dalla vendita, quante volte la dichiarazione di fallimento preceda questa fase.
In argomento occorre preliminarmente rammentare come Cass., sez. III, 28 settembre 2018, n. 23482 abbia affermato che l’insinuazione al passivo è necessaria anche al fine del versamento della somma in pro del creditore fondiario, sebbene (ed il dato non sembra trascurabile ai fini che qui interessano) il caso sottoposto all’attenzione del giudice nomofilattico riguardasse una fattispecie in cui l’istituto del versamento diretto non aveva trovato applicazione (per ragioni che dalla motivazione della pronuncia non è dato cogliere), sicché tutto il contenzioso si è sviluppato in sede di riparto. La pronuncia aggiunge che ove il procedimento di accertamento del passivo sia pendente ma non si sia ancora concluso, il giudice dell’esecuzione, prima di dichiarare definitivo il progetto di distribuzione, dovrà preliminarmente accertarsi del fatto che il creditore fondiario abbia ritualmente avanzato istanza di ammissione al passivo, e quindi a tal’uopo rinvierà l’udienza di approvazione del piano di riparto ad una data successiva a quella in cui è stata fissata l’udienza di verifica del passivo fallimentare per accertare che il credito sia stato ammesso, seppur in via provvisoria.
Tali ultime conclusioni non paiono tuttavia idonee a risolvere il caso prospettato.
Ed invero, i precipitati che la citata pronuncia ricava dall’assunto – condivisibile – dell’esistenza di un onere del creditore fondiario di insinuarsi al passivo del fallimento, si tradurrebbero, nel caso di specie, nella imposizione della (non prevista) regola processuale per cui in caso di fallimento il versamento della quota parte di saldo prezzo in favore del creditore fondiario è subordinato al previo deposito della domanda di insinuazione al passivo del fallimento, deposito che consentirebbe di “congelare” il riparto endoesecutivo in attesa degli esiti dell’udienza di verifica del passivo.
La soluzione prospettata materializzerebbe infatti, nel caso posto dalla domanda, un rischio di alterazione del fisiologico divenire della procedura esecutiva.
In primo luogo, la dichiarazione di fallimento potrebbe intervenire in un momento in cui la procedura esecutiva individuale è (come nella presente situazione) “matura” per procedere all’assegnazione provvisoria in favore del creditore fondiario, e purtuttavia costui non sia ancora nella materiale condizione di insinuarsi al passivo del fallimento, poiché la relativa fase non si è ancora aperta, non avendo ricevuto l’avviso di cui all’art. 92, l.fall. (contenente, tra l’altro, l’indirizzo di posta elettronica certificata cui l’istanza di insinuazione al passivo deve essere trasmessa a norma del successivo art. 93).
In secondo luogo, richiedere il previo esaurimento del procedimento di verifica del passivo (seppure in relazione alla sola fase che si conclude con la pronuncia del decreto di cui all’art. 96 l.fall.) vorrebbe dire imporre alla procedura esecutiva la necessità di attendere i variabili tempi (esposti come sono ad imponderabili alterazioni processuali) dell’accertamento del passivo fallimentare, con ogni conseguenza in punto di contenimento dei tempi del processo (esecutivo) e quindi di ragionevole durata del processo.
In terzo luogo lascia irrisolto il caso del creditore fondiario che non si sia insinuato al passivo del fallimento per cause a lui non imputabili, o più semplicemente poiché il termine di cui all’art. 101 l.fall. non è ancora spirato.
Poste queste premesse, l’orientamento giurisprudenziale surrichiamato può essere precisato nel senso che il creditore fondiario partecipa alla distribuzione anche se non si è insinuato al passivo quante volte non sia ancora in grado di poterlo fare perché il fallimento è stato appena dichiarato.