Imposta dovuta per acquisto da asta fallimentare di fabbricato in costruzione

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massimo.cunico pubblicato 02 settembre 2020

buongiorno, la presente per meglio capire quale sia l’imposta dovuta in caso di acquisto come privato di immobile ad asta fallimentare a titolo di seconda casa, considerando le seguenti informazioni:

1) specifico che l’immobile e’ rappresentato da un cantiere in costruzione (senza ultimazione lavori che sono quindi da completare, l’attuale categoria catastale è ’ Infatti  F3)

2) gli ultimi lavori effettuati nel cantiere risalgono all’anno 2008 , mentre la procedura fallimentare e’ del 06/2015 

3) trattasi di acquisto come privato a titolo di seconda casa

sottopongo il quesito, perché sarei convinto di dover versare l’imposta di registro al 9%, ma il soggetto delegato alla vendita mi parla di IVA, ma senza sapermene specificare la %.

Infine mi domando: cambierebbe l’imposta , con ricalcolo della stessa, se procedessi a una vendita, anche parziale,  delle unità immobiliari in argomento prima dei 5 anni dall’aggiudicazione ?

escluderei poi la possibilità, in caso sia confermata l’imposta di registro, di poter applicare  il meccanismo del prezzo valore (rendita castatale x126) dal momento che essendo categoria F3 (immobile in costruzione) la rendita catastale non e’ presente. Potrei in prospettiva effettuare il ricalcolo una volta attribuita la rendita e chiedere la restituzione della maggior imposta precedentemente versata, ossia in % sul valore di aggiudicazione ?

ringrazio anticipatamente per un cortese riscontro

Massimo

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inexecutivis pubblicato 03 settembre 2020

 

In base all’art. 10 primo comma, n. 8-bis), del d.P.R. n. 633 del 1972, come modificato dal decreto-legge n. 83 del 2012, le cessioni di fabbricati o di porzioni di fabbricato diversi da quelli strumentali sono soggette al regime “naturale” di esenzione da IVA, ad eccezione delle seguenti ipotesi:

1) cessioni effettuate dalle imprese costruttrici o di ripristino degli stessi entro 5 anni dall’ultimazione della costruzione o dell’intervento;

2) cessioni poste in essere dalle stesse imprese anche successivamente, nel caso in cui nel relativo atto il cedente abbia espressamente manifestato l’opzione per l’imposizione;

3) cessioni di fabbricati abitativi destinati ad alloggi sociali per le quali nel relativo atto il cedente abbia manifestato espressamente l’opzione per l’imposizione.

Per quanto attiene al calcolo del quinquennio, è chiaro che bisogna considerare due date: quella della cessione e quella della ultimazione dei lavori.

Quanto alla cessione, in base ai criteri previsti dall’art. 6 del d.P.R. n. 633 del 1972, le cessioni di beni immobili si considerano effettuate all’atto della stipula del contratto ovvero, qualora prima della stipula sia pagato in tutto o in parte il corrispettivo o sia emessa la fattura, l’operazione si considera effettuata, limitatamente all’importo pagato o fatturato, alla data della fattura o a quella del pagamento del corrispettivo. Traslando questi concetti alla vendita immobiliare, riteniamo che debba essere considerato il momento del versamento del saldo prezzo.

Per quanto concerne, invece la data di ultimazione dei lavori, con la circolare n. 12/E dell’1/3/2007 l’Agenzia delle Entrate ha precisato che il concetto di ultimazione della costruzione o dell'intervento di ripristino dell'immobile, al quale si ricollega il regime impositivo dell'operazione, debba essere individuato con riferimento al momento in cui l'immobile sia idoneo ad espletare la sua funzione ovvero sia idoneo ad essere destinato al consumo. Pertanto, come già precisato con circolare n. 38/E del 12 agosto 2005 in materia di accertamento dei requisiti "prima casa", si deve considerare ultimato l'immobile per il quale sia intervenuta da parte del direttore dei lavori l'attestazione della ultimazione degli stessi, che di norma coincide con la dichiarazione da rendere in catasto ai sensi degli artt. 23 e 24 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. Inoltre, ha aggiunto, si deve ritenere "ultimato" anche il fabbricato concesso in uso a terzi, con i fisiologici contratti relativi all'utilizzo dell'immobile, poiché lo stesso, pur in assenza della formale attestazione di ultimazione rilasciata dal tecnico competente, si presume che, essendo idoneo ad essere immesso in consumo, presenti tutte le caratteristiche fisiche idonee a far ritenere l'opera di costruzione o di ristrutturazione completata.

Nel caso di specie, pertanto, riteniamo che la cessione sarà da assoggettare ad IVA, con base imponibile rappresentata dal prezzo di aggiudicazione.

 

Quanto all'aliquota, se non ricorrono le condizioni prima casa, essa sarà applicata nella misura del 22%, tranne che non si tratti di fabbricati "Tupini" tali essendo quelli identificati dall’art. 13 della L. n. 408/1949, nonché dal combinato disposto dall’articolo 1 della L. n.1493/1962 e dall’articolo unico della L. n. 1212/1967.

L’art. 13 li definisce come le “(…) case di abitazione, anche se comprendono uffici e negozi, che non abbiano il carattere di abitazione di lusso (…)”, mentre l'art. 1 della l. n. 1493/1962 stabilisce che “(…) le agevolazioni fiscali previste per le case di abitazione non di lusso dalle leggi 2 luglio 1949, n. 408, (…) sono applicabili anche ai locali destinati ad uffici e negozi, quando, a questi ultimi, sia destinata una superficie non eccedente il quarto di quella totale nei piani sopra terra (…)”.

Queste norme sono state oggetto di interpretazione autentica da parte della l. n. 1212/1967, la quale ha esplicitato che è necessario e sufficiente che ricorrano, congiuntamente, due condizioni:

a) almeno il 50% più uno della superficie totale dei piani sopra terra sia destinata ad abitazioni;

b) non più del 25% della superficie totale dei piani sopra terra sia destinato a negozi.

massimo.cunico pubblicato 05 settembre 2020

Grazie mille tutto molto completo ed esaustivo: quindi in caso si trattasse di fabbricati “tupini”, invece del 22% che aliquota si applicherebbe?

 

inexecutivis pubblicato 07 settembre 2020

L'aliquota del 10%; in effetti avevamo omesso di specificarlo.

momy78 pubblicato 01 maggio 2021

Riprendendo il quesito precedentemente posto, potrebbe gentilmente chiarire se, in una situazione assolutamente analoga e non ricorrendo le condizioni prima casa, l'IVA applicabile sia pari al 10% o al 22% nel caso in cui l'immobile venga successivamente adibito esclusivamente ad abitazione (seconda casa), con previsione di futuro accatastamento in A/2 o A/7?

Infatti, non conoscendo la definizione di fabbricati "Tupini", non capisco se gli stessi comprendano esclusivamente immobili da adibire parzialmente ad abitazione e parzialmente a negozi oppure, come nel caso da me prospettato, anche immobili da adibire esclusivamente ad abitazione.

Grazie

inexecutivis pubblicato 04 maggio 2021

A norma dell’art. 1 della Tariffa, parte prima, allegata al TUR. Come modificato dall’art. 10 del d.lgs 14 marzo 2011, n. 23 le caratteristiche “non di lusso” sono state sostituite dalla categoria catastale, che deve essere diversa dalle categorie A/1, A/8 e A/9. Quini un A/7 può beneficiare dell'aliquota del 10%,

 

marco.leoni pubblicato 20 luglio 2021

Buongiorno, Avrei un quesito collegato all’argomento in oggetto. Vorrei partecipare all’asta di un immobile di categoria catastale F3, dove l’immobile risulta completato ma non è stata comunicata la fine lavori. Se avessi i requisiti per l’agevolazione prima casa, sarei soggetto all’imposta di registro al 2%, corretto? Come chiedeva l’utente massimo.cunico, se venisse calcolata sul prezzo di aggiudicazione, poi si potrebbe chiedere la restituzione di quanto versato in eccesso, se l’imposta di registro fosse inferiore a quella calcolata sul prezzo di aggiudicazione?Grazie molte per l’attenzione

inexecutivis pubblicato 22 luglio 2021

A nostro avviso la possibilità di applicare ex post la disciplina del prezz valoore va esclusa.

Ai sensi dell’art. 1, comma 497, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria per il 2006), la disciplina del prezzo valore si applica su richiesta della parte acquirente resa al notaio  all'atto della cessione”.

Traslando questa previsione nell’ambito delle vendite esecutive, laddove l’atto di cessione (ossia l’atto che determina il trasferimento della proprietà) è costituito dal decreto di trasferimento, si deve giungere alla conclusione per cui, a nostro avviso, fino a quando non è stato emesso il decreto di trasferimento l’opzione per l’applicazione della disciplina del prezzo valore è ancora possibile.

Se invece, come nel suo caso, il decreto di trasferimento sia già stato emesso, riteniamo ben difficilmente l’agevolazione potrà essere richiesta mediante una dichiarazione integrativa.

In questi termini si è espressa l’Agenzia delle Entrate con la risoluzione n. 145/E del 9.6.2009, la quale ha affermato che, “in ragione della formulazione letterale della norma e della finalità da essa perseguita, che consiste, tra l’altro, nel far emergere i reali corrispettivi delle contrattazioni immobiliari, si deve escludere che la dichiarazione di cui all’articolo 1, comma 497, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, possa essere contenuta in un atto integrativo successivo al negozio traslativo. Tale soluzione risponde anche alla necessità di garantire la certezza nei rapporti giuridici e di tutelare il reciproco affidamento tra il contribuente e l’Amministrazione finanziaria. La scelta compiuta all’atto del trasferimento di volersi avvalere della disciplina del prezzo-valore, produce, infatti, conseguenze immediate in ordine all’attività di controllo degli Uffici, inibendo i poteri di rettifica (articolo 52, comma 5-bis, TUR). Non è ipotizzabile, ad esempio, che l’attività di accertamento sul valore avviata dall’Ufficio, possa essere inibita dall’acquirente attraverso la presentazione di un atto integrativo diretto a chiedere l’applicazione del meccanismo del prezzo-valore”.

È vero che il caso dal quale nasce la risoluzione appena citata riguardava un trasferimento negoziale e non coattivo.

Questo fa venir meno una delle motivazioni che detta risoluzione ha indicato a giustificazione del proprio diniego, in quanto nei trasferimenti coattivi il prezzo è fissato dall’autorità giudiziaria, e dunque non sono possibili attività accertative dell’ufficio volte alla rettifica del corrispettivo.

Tuttavia, se si tratta di un immobile privo di rendita (come nel caso prospettato) la possibilità di optare per l'applicazione della disciplina del prezzo valore non è del tutto esclusa.

Infatti, come chiarito dalla Corte di Cassazione (sentenza 12 febbraio 2019, n. 4055; negli stessi termini (sentenza 18 febbraio 2020, n. 4072) l'art.12, comma d.l. 14/03/1988, n. 70, riconosce la possibilità di avvalersi del regime di valutazione secondo il valore catastale anche per gli immobili privi di rendita e per gli immobili con rendita catastale non definitivamente attribuita ma solo proposta con la procedura di cui al d.m. 19 aprile 1994, n. 701 (procedura DOCFA) alla "condizione che il contribuente dichiari nell'atto di volersi avvalere delle disposizioni del presente articolo".

Nell'ambito di tale procedura, l'ufficio dell'Agenzia delle Entrate liquida le imposte (registro, ipotecaria, catastale) sul prezzo o sul valore indicato in atto e attende che l'ufficio provinciale dell'Agenzia del Territorio attribuisca la rendita all'immobile. Qualora a quest'ultima corrisponda un valore catastale superiore a quello indicato in atto, viene emesso un avviso di liquidazione volto al recupero della maggiore imposta dovuta.

Il contribuente interessato ad avvalersi della disciplina del prezzo valore in relazione al trasferimento di immobili sprovvisti di rendita, ovvero dotati di rendita proposta deve innanzitutto dichiarare, nell'atto (e quindi deve comunicare al professionista delegato in vista della predisposizione del decreto di trasferimento) di volersi avvalere delle disposizioni di cui all'art. 12 del D.L. n. 70/1988, convertito nella L. n. 154/1988.

A questo punto, se oggetto di trasferimento è un immobile sprovvisto di rendita, l'art. 12 del D.L. n. 70/1988, prescrive che:

• il contribuente interessato deve presentare all'Ufficio provinciale dell'Agenzia del Territorio, in allegato all'istanza di voltura catastale di cui all'art. 3 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 650, la richiesta di attribuzione della rendita catastale;

• l'ufficio provinciale dell'Agenzia del Territorio è tenuto a rilasciare ricevuta dell'avvenuta presentazione dell'istanza di attribuzione della rendita catastale, in duplice esemplare;

• il contribuente interessato o il professionista che da questi abbia ricevuto mandato deve poi presentare la ricevuta al competente ufficio dell'Agenzia delle Entrate

• l'ufficio dell'Agenzia delle Entrate restituisce un esemplare della ricevuta, attestandone la relativa presentazione;

• entro dieci mesi dalla data di presentazione dell'istanza di voltura, l'ufficio provinciale dell'Agenzia del Territorio deve inviare all'ufficio dell'Agenzia delle Entrate presso il quale ha avuto luogo la registrazione un certificato catastale attestante l'avvenuta attribuzione della rendita;

Se invece si tratta di rendita proposta, vengono meno gli adempimenti posti in capo al contribuente ed agli uffici dell'Amministrazione finanziaria volti a conseguirne l'attribuzione e la sua comunicazione all'ufficio dell'Agenzia delle Entrate, sicché l'applicazione della procedura è subordinata alla sola condizione che il contribuente interessato dichiari nell'atto di volersi avvalere delle disposizioni dell'art. 12 del D.L. n. 70/1988.

emavia1973 pubblicato 07 novembre 2021

Buongiorno, nel caso di una asta giudiziaria di un immobile in categoria f3, quali sarebbero le imposte nei 2 casi, cioè come acquisto prima casa o seconda casa?

Vi ringrazio anticipatamente per la vostra attenzione

inexecutivis pubblicato 11 novembre 2021

La domanda è molto generica, per cui cerchiamo di fornire una panoramica complessiva.

IMPOSTE

Per il principio di alternatività dell’IVA rispetto all’imposta di registro, osserviamo che se non si tratta di immobile soggetto ad IVA l’imposta di registro per l’acquisto della prima casa è dovuta nella misura del 2% (ai sensi dell’art. 1, parte prima della tariffa del d.lgs. 131/1986). Se invece non si tratta di prima casa l’aliquota è del 9%.

In ogni caso, l’imposta di registro non può comunque essere inferiore ad €. 1.000, a norma dell’art. 10, comma 2 D.Lgs. 14/03/2011, n. 23, e che a mente del successivo comma terzo della medesima disposizione occorre considerare €. 50,00 per l’imposta ipotecaria ed €. 50,00 per l’imposta catastale. Dette imposte (prevede la norma citata) sostituiscono l'imposta di bollo, i tributi speciali catastali e le tasse ipotecarie.

La base imponibile è data dal prezzo di aggiudicazione.

Tuttavia, ai sensi del combinato disposto dell’art. 52, comma 4, 5 e 5b del TUR e dell’art. 1, comma 497 L. 23/12/2005, n. 266, modificato prima dal comma 21 dell'art. 35, D.L. 4 luglio 2006, n. 223 e poi dal comma 309 dell'art. 1, L. 27 dicembre 2006, n. 296, per le sole cessioni nei confronti di persone fisiche che non agiscano nell'esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali, aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo e relative pertinenze, la base imponibile è determinata dalla minor somma a tra prezzo di aggiudicazione e rendita catastale rivalutata (del 5%) e moltiplicata per uno dei seguenti coefficienti:

110 per la prima casa (e per una sola pertinenza)

120 per i fabbricati appartenenti ai gruppi catastali A e C (escluse categorie A/10 e C/1) non prima casa.

Se invece il trasferimento immobiliare è soggetto ad IVA, detta imposta sarà dovuta nella misura del 4% (se prima casa, altrimenti le aliquote possono essere del 10 o del 22%, a seconda del tipo di immobile), mentre l’imposta di registro sarà applicata nella misura fissa di €. 200,00 ai sensi 40, comma 1 del d.P.R. 131/1986. Anche l’imposta ipotecaria sarà dovuta nella misura fissa di €. 200,00 (nota all’art. 1 della tariffa del d.lgs 31.1.0.1990, n. 347) così come pure l’imposta catastale (art. 10 d.lgs 31.1.0.1990, n. 347).

COMPENSO PROFESSIONISTA DELEGATO

A questo punto va considerato il compenso dovuto al professionista delegato.

A tale proposito occorre premettere che l’art. 179 bis, comma secondo, disp. att. c.p.c. dispone che “Il compenso dovuto al professionista è liquidato dal giudice dell'esecuzione con specifica determinazione della parte riguardante le operazioni di vendita e le successive che sono poste a carico dell'aggiudicatario. Il provvedimento di liquidazione del compenso costituisce titolo esecutivo”.

Quanto alla misura, essa è disciplinata dal Decreto ministeriale 15 ottobre 2015, n. 227, il quale (art. 2) pone a carico dell’aggiudicatario, la quota parte (50%) del compenso dovuto al professionista delegato per la fase del trasferimento della proprietà del bene, il cui importo varia in relazione al prezzo di aggiudicazione, e cioè:

-       quando il prezzo di aggiudicazione è pari o inferiore a euro 100.000, il costo del compenso a carico dell’aggiudicatario è pari ad €. 550,00;

-       quando il prezzo di aggiudicazione o il valore di assegnazione è superiore a euro 100.000 e pari o inferiore a euro 500.000 il costo del compenso a carico dell’aggiudicatario è pari ad  €. 825,00;

-       quando il prezzo di aggiudicazione o il valore di assegnazione è superiore a euro 500.000 il costo del compenso a carico dell’aggiudicatario è pari ad €. 1.100,00

A questi importi vanno aggiunti il contributo previdenziale (4%) e l’IVA (ove il regime fiscale del delegato preveda il versamento dell’IVA).

Occorre infine tenere presente che l’art. 2 comma due del medesimo decreto prevede che “Quando le attività di cui al comma 1, numeri 1), 2) e 3) riguardano più lotti, in presenza di giusti motivi il compenso determinato secondo i criteri ivi previsti può essere liquidato per ciascun lotto”.

Il successivo comma 3 prevede che il giudice può aumentare l’ammontare del compenso liquidato in misura non superiore al 60%, tenuto conto della complessità delle attività svolte.

Il comma 5 prevede poi che in ogni caso l'ammontare complessivo del compenso e delle spese generali liquidato a norma del presente articolo non può essere superiore al 40 per cento del prezzo di aggiudicazione o del valore di assegnazione”.

Infine, il successivo comma 7 stabilisce che “in presenza di giustificati motivi il compenso a carico dell’aggiudicatario o dell’assegnatario può essere determinato in misura diversa da quella prevista per il periodo precedente” (a mente del quale, come detto, sono poste a carico dell'aggiudicatario o dell'assegnatario la metà del compenso relativo alla fase di trasferimento della proprietà, nonché le relative spese generali e le spese effettivamente sostenute per l'esecuzione delle formalità di registrazione, trascrizione e voltura catastale”.

COSTI DI CANCELLAZIONI FORMALITà PREGIUDIZIEVOLI

In relazione ai costi di cancellazione delle formalità pregiudizievoli, riteniamo che se nulla è detto nell’avviso di vendita esse gravano sulla procedura.

Se invece fosse precisato che gravano sull’aggiudicatario, osserviamo quanto segue.

In primo luogo va operata una distinzione:

- la cancellazione delle ipoteche volontarie è esente dall'imposta ipotecaria e dall'imposta di bollo, ai sensi dell'art. 15 d.P.R.  n. 29.9.1973, n.601, se l'ipoteca è stata iscritta a garanzia di un finanziamento a medio e lungo termine erogato da un istituto di credito, (per cui sconta solo la tassa ipotecaria di €. 35,00);

- a proposito delle altre ipoteche, la cancellazione è soggetta, oltre alla tassa ipotecaria (€. 35,00) ed all’imposta di bollo (€. 59,00), all’imposta ipotecaria nella misura dello 0,50% (ai sensi degli artt.12, 13 della tariffa del d.lgs 31.10.1990, n. 347), con un minimo di €. 200,00 (art. 18 d.lgs 31.10.1990, n. 347).

Cambia tuttavia a nostro avviso la base imponibile:

- se l'immobile sul quale si cancella l'ipoteca non è l'unico bene sul quale quella ipoteca è stata iscritta, si tratterà di una restrizione, e dunque in questo caso la base imponibile sarà costituita dalla minor somma tra l'importo del credito ed il prezzo dell'aggiudicazione, ai sensi dell'art. 3, comma 3, d.P.R. 347/1990, il quale dispone che "L'imposta dovuta sull'annotazione per restrizione di ipoteca è commisurata al minor valore tra quello del credito garantito e quello degli immobili o parti di immobili liberati determinato secondo le disposizioni relative all'imposta di registro";

- se invece l'immobile sul quale cancellare l'ipoteca è l'unico, la base imponibile sarà calcolata sull'importo del credito, poiché si tratterà di una cancellazione totale.

Osserviamo tuttavia che in senso diverso (e più favorevole all’aggiudicatario) si è espressa, con riferimento a quest’ultimo caso, l’agenzia delle Entrate con la circolare del 4.3.2015, n. 8.

In particolare, l’Agenzia delle entrate è stata chiamata a pronunciarsi sul trattamento tributario delle domande di annotazione nei registri immobiliari, presentate a seguito dell'ordine di cancellazione delle trascrizioni dei pignoramenti e delle iscrizioni ipotecarie, emesso dal giudice in sede di trasferimento del bene espropriato nel caso in cui il bene trasferito sia l'unico bene oggetto dell'ipoteca.

In particolare, si chiedeva all’Agenzia delle Entrate se in tale ipotesi, l'imposta ipotecaria da applicare per l'annotazione nei registri immobiliari dovesse essere commisurata all'ammontare del credito garantito, ai sensi dell'articolo 3, comma 1, del Testo unico delle disposizioni concernenti le imposte ipotecaria e catastale, di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 347 (TUIC), ovvero al minor valore tra quello del credito garantito e quello dell'immobile liberato, determinato secondo le disposizioni relative all'imposta di registro, ai sensi del comma 3 dello stesso articolo.

Nel rispondere al quesito l’Agenzia, muovendo dal presupposto per cui l’ordine di cancellazione emesso dal Giudice dell'esecuzione in seno al decreto di trasferimento e riferito al bene ovvero ai beni espropriati si atteggia perlomeno sotto un profilo formale - quale ordine di liberazione di tali beni dalle formalità pregiudizievoli gravanti, secondo lo schema della c.d. "cancellazione parziale", sicché è proprio la struttura intrinseca della peculiare forma di liberazione dalle ipoteche (o dal pignoramento) costituita dall'emissione del decreto di trasferimento, che qualifica la conseguente annotazione come "restrizione di beni".

La conseguenza di questo ragionamento sul piano tributario è che ai fini dell’imposta ipotecaria dovuta per la cancellazione dell’ipoteca occorra fare riferimento all'articolo 3, comma 3, del TUIC, il quale prevede che l'imposta ipotecaria dovuta sull'annotazione per restrizione di ipoteca è commisurata al minor valore tra quello del credito garantito e quello degli immobili o parti di immobili liberati, per la determinazione del quale la norma fa espresso rinvio alle disposizioni relative all'imposta di registro, e dunque all’art. 44 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (TUR), ai sensi del quale "Per la vendita di beni mobili e immobili fatta in sede di espropriazione forzata ovvero all'asta pubblica e per i contratti stipulati o aggiudicati in seguito a pubblico incanto la base imponibile è costituita dal prezzo di aggiudicazione".

Infine, l’Agenzia ha precisato che ai fini della determinazione della base imponibile non trova applicazione la disciplina del “prezzo valore” di cui all’art. 1, comma 497, della l. 23 dicembre 2005, n. 266.

Invece, i costi di cancellazione del pignoramento sono:

€.200 per l’imposta ipotecaria (art. 14 della tariffa allegata al d.lgs. 31.10.1990, n. 347);

€. 59 per l’imposta di bollo (art. 3, punto 2 bis della tariffa allegata la d.P.R. 642/1972);

€. 35 per la tassa ipotecaria (ai sensi della tabella allegata al d.lgs 31.10.1990, n. 347).

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