La precisazione da lei fornita ci offre elementi nuovi, sulla scorta dei quali possiamo essere più precisi.
Le doglianze del debitore (il quale, ci pare di capire, lamenta l’omessa notifica dell’ordinanza di vendita) potrebbero essere fondate se si trattasse di esecuzione esattoriale, cioè di esecuzione intrapresa dal concessionario della riscossione dei tributi in forza delle previsioni di cui al dpr 602/1973. Questo è il caso del quale si è occupata la Corte di cassazione nella sentenza 26930/2014. In quella pronuncia il ragionamento dei giudici di legittimità è condivisibile in quanto, nelle esecuzioni esattoriali, la notifica dell’avviso di vendita è espressamente prevista dall’art. 78, comma 2 dpr 602/1973 ed è elemento costitutivo del pignoramento.
Non è altrettanto condivisibile, a nostro avviso, giungere alle medesime conclusioni nell’ambito delle procedure esecutive “ordinarie”.
A questo proposito osserviamo, in primo luogo, che la sentenza del 2014 appena citata si limita a citare Cass. 5341/2009, la quale a sua volta recepiva il precedente costituito da Cass. 12122/2003, affermando che la mancata comunicazione dell’ordinanza di vendita aveva impedito al debitore di accedere al beneficio della conversione del pignoramento.
Sennonché, proprio l’analisi di questi precedenti, dimostra che il principio fatto proprio dalla sentenza del 2014 non può estendersi alle esecuzioni ordinarie.
In primo luogo, la sentenza 5341/2009 (la quale aveva ritenuto che l’omessa comunicazione dell’ordinanza di vendita avesse impedito al debitore esecutato di accedere alla conversione) aveva ad oggetto una fattispecie regolata dalla originaria formulazione dell’art. 495 c.p.c., secondo il quale la conversione del pignoramento poteva essere richiesta “in qualsiasi momento anteriore alla vendita” e non già “prima che sia disposta la vendita”. La modifica comporta allora che il momento ultimo entro il quale il debitore può chiedere la conversione del pignoramento è l’udienza di cui all’art. 569, con la conseguenza che la mancata comunicazione dell’ordinanza di vendita (la quale segue quella udienza) è irrilevante ai fini della conversione poiché interviene quando il diritto si è ormai estinto.
In secondo luogo, la precedente Cass. n. 12122/2003, a ben vedere, non afferma affatto il principio fatto proprio dalla Cassazione nel 2009 in quanto essa si è occupata del caso (del tutto diverso) in cui non era stata comunicata l’ordinanza con cui si fissava l’udienza dell’art. 569 e non già l’ordinanza di vendita.
Dunque, gli argomenti posti a base della pronuncia del 26930/2014, ove riferiti ad una esecuzione non esattoriale, ci sembrano, per le ragioni evidenziate, superabili.
Inoltre, occorre osservare che va sempre più affermandosi nella giurisprudenza della Corte di cassazione il principio secondo il quale il debitore (e ogni interessato) non può limitarsi a denunciare la mera violazione di una norma processuale (quale, nel caso di specie, la mancata comunicazione dell’ordinanza di vendita), dovendo altresì specificare quale pregiudizio sostanziale abbia concretamente ricevuto da quella violazione (sul punto, tra le molte, Cass. 3.2.2012, n. 1609, secondo cui “Nell'opposizione agli atti esecutivi, le ragioni per le quali la lesione del contraddittorio abbia comportato l'ingiustizia dell'atto dell'esecuzione contestato, causata dall'impossibilità di difendersi a tutela di un proprio diritto, devono essere poste a fondamento dell'impugnazione e vanno, pertanto, tempestivamente dedotte in sede di opposizione”; analogamente n. 14774 del 30/06/2014, secondo cui “In tema di espropriazione immobiliare, il giudice, pur avendo constatato un'illegittimità della procedura, non deve accogliere l'opposizione se non venga dimostrato che dalla stessa sia derivata la lesione dell'interesse del debitore a conseguire dalla vendita il maggior prezzo possibile per aver impedito ulteriori e più convenienti offerte di acquisto.
Dunque, ed in conclusione, o il debitore deduce quale specifico pregiudizio ha subito dalla mancata comunicazione dell’ordinanza di vendita (pregiudizio che non può consistere, per le ragioni esposte nella impossibilità di accedere alla conversione), oppure la doglianza (anche se fondata e tempestivamente sollevata nel termine di cui all’art. 617, va rigettata.