Con il d.l. 31 maggio 2010 n. 78, convertito con modificazioni dalla l. n. 122/2010, è stato introdotto un nuovo comma all’art. 29 della l. 27 febbraio 1985 n. 52 recante “Modifiche al libro sesto del codice civile e norme di servizio ipotecario, in riferimento all’introduzione di un sistema di elaborazione automatica nelle conservatorie dei registri immobiliari”. Successivamente è poi intervenuto il d.l. 24 aprile 2017, convertito, con modificazioni, dalla l. 21 giugno 2017, n. 96, che con l’art. 8, comma 1 bis ha aggiunto il comma 1 ter alla citata disposizione.
All’esito di questi plurimi interventi normativi, oggi detto articolo 29, rubricato “Necessità di indicazione dei confini dell’immobile di cui si chiede la trascrizione o la concessione dell’ipoteca”, così dispone:
“1. Negli atti con cui si concede l’ipoteca o di cui si chiede la trascrizione, l’immobile deve essere designato anche con l ‘indicazione di almeno tre dei suoi confini.
1-bis. Gli atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali su fabbricati già esistenti, ad esclusione dei diritti reali di garanzia, devono contenere, per le unità immobiliari urbane, a pena di nullità, oltre all’identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale. La predetta dichiarazione può essere sostituita da un’attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale. Prima della stipula dei predetti atti il notaio individua gli intestatari catastali e verifica la loro conformità con le risultanze dei registri.
1-ter. Se la mancanza del riferimento alle planimetrie depositate in catasto o della dichiarazione, resa dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, ovvero dell’attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato non siano dipese dall’inesistenza delle planimetrie o dalla loro difformità dallo stato di fatto, l’atto può essere confermato anche da una sola delle parti mediante atto successivo, redatto nella stessa forma del precedente, che contenga gli elementi omessi. L’atto di conferma costituisce atto direttamente conseguente a quello cui si riferisce, ai sensi dell’articolo 10, comma 3, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23”.
La norma appena illustrata pone l’interrogativo di stabilire se le prescrizioni in essa contenute si applichino o meno anche alle procedure esecutive, e se quindi i decreti di trasferimento debbano contenere le indicazioni sopra richiamate.
Una serie di elementi sembrano escluderlo.
In primis viene in considerazione il dato testuale. Il legislatore parla di “atti … tra vivi” imponendo al notaio il controllo “prima della stipula dei predetti atti …”. Inoltre, i primi destinatari della disposizione vengono individuati negli intestatari dei beni oggetto del trasferimento i quali nell’esecuzione forzata non operano la vendita ma la subiscono.
Sorregge poi questa conclusione l’interpretazione teleologica della norma, ovvero la sua finalità tributaria (la realizzazione dell’anagrafe tributaria integrata e la lotta all’evasione e all’elusione fiscale).
Altro elemento che depone in questa direzione è la tipologia della sanzione prevista per l’inosservanza della disposizione, qualificata come nullità civilistica, e quindi circoscritta al solo ambito negoziale.
Infine, deve essere richiamato il consolidato orientamento che emerge da una certa giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 333 del 2001; sentenza n. 113 del 1963) secondo cui l’esercizio in giudizio di un diritto sostanziale non potrebbe mai trovare ostacoli in una disciplina fiscale che persegua scopi estranei al giudizio medesimo, a pena di una sua incostituzionalità per violazione dell’art. 24 Cost.
Ciò detto, la convenienza di procedere ad una regolarizzazione andrebbe valutata caso per caso, nel contradditorio tra le parti, tenuto conto che i costi di una eventuale regolarizzazione dovrebbero essere anticipati dal creditore procedente a norma dell'art. 8 dpr 30 maggio 2002, n. 115.