Comprendiamo il rammarico di evo2020, ma la decisione del giudice ci sembra assolutamente corretta.
La questione prospettata, purtroppo, è facilmente risolvibile sul piano giuridico teorico.
Dal punto di vista teorico, infatti, la situazione è semplice: c’è un danneggiante che ha agito con dolo, e quindi si potrebbe citare in giudizio costui.
Il problema, tuttavia, sta nel fatto che il danneggiante non è stato identificato.
Sempre sul piano teorico, allora, potrebbe essere chiamato a rispondere il custode.
Ai sensi dell’art. 65 c.p.c., compito del custode è quello di conservare ed amministrare i beni sequestrati o pignorati.
Analoga disposizione si rinviene nell’art. 560, ultimo comma, c.p.c., che attribuisce al custode il compito di “amministrazione e gestione” del bene pignorato affidato alla sua custodia.
Egli, inoltre, ai sensi dell’art. 67, comma secondo, c.p.c. è tenuto al risarcimento dei danni cagionati alle parti, se non esercita la custodia da buon padre di famiglia.
Quindi, certamente, il custode può essere chiamato a rispondere del danno arrecato alla cosa in custodia, e del danno derivante dalla ritardata esecuzione dell’ordine di liberazione.
In questo senso si è espressa la giurisprudenza. Secondo la Cassazione (sez. I 17 febbraio 1995, n. 1730), infatti, "Nella vendita forzata, pur non essendo ravvisabile un incontro di consensi, tra l'offerente ed il giudice, produttivo dell'effetto transattivo, essendo l'atto di autonomia privata incompatibile con l'esercizio della funzione giurisdizionale, l'offerta di acquisto del partecipante alla gara costituisce il presupposto negoziale dell'atto giurisdizionale di vendita; con la conseguente applicabilità delle norme del contratto di vendita non incompatibili con la natura dell'espropriazione forzata, quale l'art. 1477 cod.civ. concernente l'obbligo di consegna della cosa da parte del venditore. Ne deriva che, in relazione allo "ius ad rem" (pur condizionato al versamento del prezzo), che l'aggiudicatario acquista all'esito dell'"iter"esecutivo, è configurabile un obbligo di diligenza e di buona fede dei soggetti tenuti alla custodia e conservazione del bene aggiudicato, così da assicurare la corrispondenza tra quanto ha formato l'oggetto della volontà dell'aggiudicatario e quanto venduto. Pertanto, qualora l'aggiudicatario lamenti che l'immobile aggiudicato sia stato danneggiato prima del deposito del decreto di trasferimento, il giudice è tenuto a valutare la censura dell'aggiudicatario medesimo, diretta a prospettare la responsabilità del custode (nella specie, della curatela fallimentare che aveva proceduto alla vendita forzata), in base ai principi generali sull'adempimento delle obbligazioni (art. 1218 cod. civ.), per inadeguata custodia del bene posto in vendita, fino al trasferimento dello stesso" (negli stessi termini, più recentemente, Cass. 30/06/2014, n. 14765).
Detto questo, una precisazione è di assoluto rilievo.
Affinché il custode sia chiamato a rispondere dei danni alla cosa custodita, è necessario che sia identificabile il capo a questi una condotta esigibile, capace di evitarli. Detto altrimenti occorre individuare: quali condotte avrebbero potuto scongiurare il fatto accaduto; se quelle condotte apparivano come dovute sulla base della situazione concreta; se quelle condotte erano concretamente attuabili dal custode.
A questo proposito, preliminarmente, non rileva il fatto che gli occupanti fossero stati autorizzati a permanere nell’immobile. Invero, da un lato si tratta di una situazione fisiologica, fisiologico essendo che esiste sempre un momento temporale durante il quale l’occupante di un bene vi permanga anche dopo che è stato adottato un ordine di liberazione, poiché la sua esecuzione non è mai istantanea. Inoltre, nessuno può escludere che, se fosse stato anticipato il momento ultimo entro il quale gli occupanti avrebbero dovuto lasciare l’immobile, l’incendio doloso non si sarebbe verificato. Anzi, paradossalmente, un immobile occupato è comunque meno vulnerabile di un immobile non occupato, posto che la custodia da parte del custode non può risolversi nella sua presenza fisica all’interno dello stabile.
Inoltre, i fatti dolosi hanno per loro natura la caratteristica di essere indifferenti rispetto ai sistemi di dissuasione (servizi di guardiania, sistemi di allarme eccetera), per cui: da un lato occorrerebbe fornire la prova che quei sistemi avrebbero avuto la capacità di evitare il fatto doloso; dall’altro, non si può dire che il custode aveva l’obbligo di istallarli, a meno che non vi fossero elementi concreti che ne suggerivano la predisposizione (ad esempio precedenti tentativi di furto), anche in considerazione del fatto che questi strumenti hanno un costo che deve essere anticipato dal creditore.
Va poi aggiunto che anche se si riuscisse a dimostrare che esistevano, nel caso di specie, strumenti idonei a scongiurare l’incendio, va osservato che questo non è elemento sufficiente ad affermare la responsabilità del custode. Infatti, difronte alla necessità di predisporre misure di protezione, il custode aveva un unico obbligo, che è quello di segnalarlo al giudice, il quale non avrebbe potuto far altro che convocare i creditori e chiedere loro di anticipare le relative spese; per di più è assai dubbio che i creditori avrebbero dovuto adempire pena l’estinzione della procedura.
Infine, neppure era possibile, a nostro avviso, annullare la vendita poiché il decreto di trasferimento era stato emesso, con la conseguenza che il rischio di perimento della cosa si era trasferito in capo al nuovo proprietario in forza della regola generale per cui “res perit domino”.
Insomma, e per concludere, il fatto doloso del terzo ci sembra ascrivibile, nel caso di specie, alla nozione di caso fortuito, ed in quanto tale grava esclusivamente nella sfera giuridica di colui il quale ne ha patito, in prima persona, le conseguenze.