CUSTODIA E DISTRUZIONE DEL BENE

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evo2020 pubblicato 17 dicembre 2019

Buongiorno, Vi propongo un quesito complesso descritto nel file allegato per il quale chiedo il Vostro parere.

Non riesco ad inserire la discussione nella pagina perchè non riesco a sintetizzarla ulteriormente, per questo ho allegato il file. Non so se questo è consentito. 

Siamo disponibili a fornire ulteriori informazioni dettagliate qualora ce ne sia bisogno e restiamo in attesa delle Vostre considerazioni.

Ringraziamo anticipatamente e  Porgiamo Cordiali Saluti.

 

 

 

Allega file

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inexecutivis pubblicato 21 dicembre 2019

 non vediamo il file

evo2020 pubblicato 22 dicembre 2019

Chiedo scusa,

file inviato.

gianluca72 pubblicato 22 dicembre 2019

Salve. Mi sono aggiudicato un appartamento che il custode non ha voluto mostrarmi perche la mia richiesta era troppo a ridosso della data di asta, mi diceva sempre verbalmente che ci si doveva attenere alla descrizione CTU. Ritenuta valida 'asta ho partecipato e mi sono aggiudicato l'immobile. Il custode mi fa conseganre le chiavi e scopro che l'immobile e totalmente distrutto e quindi non conforme alla descrizione in perizia. Nell'annuncio pubblicitario dell'asta erano assenti le foto dell'immbile e il custode non mi ha consegnato le chiavi presso l'immobile aggiudicato. Testimonianze dei vicini riferiscono che la moglie dell'esecutatao ha realizzato dei lavori nell'appartamento confinate al mio anch'esso di sua proprieta, anche questo recentemente sequestrato, l'ente delle vendite giudiziarie docuenta che hanno trovato questo ultimo apparatamento collegato al mio attraverso delle porte nel muro confinante, gia presenti nella mia perizia perche i proprietari avevano modificato l'area del mio appartamento sconfinando nell'appartamento adiacente, creando un apparatemnto grade ed uno piu piccolo. Mentre intervenivano ristrutturando l'appartamento confinate entravano nel mio e distruggevano tutto e prendevano quanto gli era utile per completare e ripristinare gli spazi dell'altro, alle dimensioni originali. A chi devo imputare i danni?...Al Custode? Esecutati e confinanti? Grazie

 

inexecutivis pubblicato 26 dicembre 2019

Comprendiamo il rammarico di evo2020, ma la decisione del giudice ci sembra assolutamente corretta.

La questione prospettata, purtroppo, è facilmente risolvibile sul piano giuridico teorico.

Dal punto di vista teorico, infatti, la situazione è semplice: c’è un danneggiante che ha agito con dolo, e quindi si potrebbe citare in giudizio costui.

Il problema, tuttavia, sta nel fatto che il danneggiante non è stato identificato.

Sempre sul piano teorico, allora, potrebbe essere chiamato a rispondere il custode.

Ai sensi dell’art. 65 c.p.c., compito del custode è quello di conservare ed amministrare i beni sequestrati o pignorati.

Analoga disposizione si rinviene nell’art. 560, ultimo comma, c.p.c., che attribuisce al custode il compito di “amministrazione e gestione” del bene pignorato affidato alla sua custodia.

Egli, inoltre, ai sensi dell’art. 67, comma secondo, c.p.c. è tenuto al risarcimento dei danni cagionati alle parti, se non esercita la custodia da buon padre di famiglia.

Quindi, certamente, il custode può essere chiamato a rispondere del danno arrecato alla cosa in custodia, e del danno derivante dalla ritardata esecuzione dell’ordine di liberazione.

In questo senso si è espressa la giurisprudenza. Secondo la Cassazione (sez. I 17 febbraio 1995, n. 1730), infatti, "Nella vendita forzata, pur non essendo ravvisabile un incontro di consensi, tra l'offerente ed il giudice, produttivo dell'effetto transattivo, essendo l'atto di autonomia privata incompatibile con l'esercizio della funzione giurisdizionale, l'offerta di acquisto del partecipante alla gara costituisce il presupposto negoziale dell'atto giurisdizionale di vendita; con la conseguente applicabilità delle norme del contratto di vendita non incompatibili con la natura dell'espropriazione forzata, quale l'art. 1477 cod.civ. concernente l'obbligo di consegna della cosa da parte del venditore. Ne deriva che, in relazione allo "ius ad rem" (pur condizionato al versamento del prezzo), che l'aggiudicatario acquista all'esito dell'"iter"esecutivo, è configurabile un obbligo di diligenza e di buona fede dei soggetti tenuti alla custodia e conservazione del bene aggiudicato, così da assicurare la corrispondenza tra quanto ha formato l'oggetto della volontà dell'aggiudicatario e quanto venduto. Pertanto, qualora l'aggiudicatario lamenti che l'immobile aggiudicato sia stato danneggiato prima del deposito del decreto di trasferimento, il giudice è tenuto a valutare la censura dell'aggiudicatario medesimo, diretta a prospettare la responsabilità del custode (nella specie, della curatela fallimentare che aveva proceduto alla vendita forzata), in base ai principi generali sull'adempimento delle obbligazioni (art. 1218 cod. civ.), per inadeguata custodia del bene posto in vendita, fino al trasferimento dello stesso" (negli stessi termini, più recentemente, Cass. 30/06/2014, n. 14765).

Detto questo, una precisazione è di assoluto rilievo.

Affinché il custode sia chiamato a rispondere dei danni alla cosa custodita, è necessario che sia identificabile il capo a questi una condotta esigibile, capace di evitarli. Detto altrimenti occorre individuare: quali condotte avrebbero potuto scongiurare il fatto accaduto; se quelle condotte apparivano come dovute sulla base della situazione concreta; se quelle condotte erano concretamente attuabili dal custode.

A questo proposito, preliminarmente, non rileva il fatto che gli occupanti fossero stati autorizzati a permanere nell’immobile. Invero, da un lato si tratta di una situazione fisiologica, fisiologico essendo che esiste sempre un momento temporale durante il quale l’occupante di un bene vi permanga anche dopo che è stato adottato un ordine di liberazione, poiché la sua esecuzione non è mai istantanea. Inoltre, nessuno può escludere che, se fosse stato anticipato il momento ultimo entro il quale gli occupanti avrebbero dovuto lasciare l’immobile, l’incendio doloso non si sarebbe verificato. Anzi, paradossalmente, un immobile occupato è comunque meno vulnerabile di un immobile non occupato, posto che la custodia da parte del custode non può risolversi nella sua presenza fisica all’interno dello stabile.

Inoltre, i fatti dolosi hanno per loro natura la caratteristica di essere indifferenti rispetto ai sistemi di dissuasione (servizi di guardiania, sistemi di allarme eccetera), per cui: da un lato occorrerebbe fornire la prova che quei sistemi avrebbero avuto la capacità di evitare il fatto doloso; dall’altro, non si può dire che il custode aveva l’obbligo di istallarli, a meno che non vi fossero elementi concreti che ne suggerivano la predisposizione (ad esempio precedenti tentativi di furto), anche in considerazione del fatto che questi strumenti hanno un costo che deve essere anticipato dal creditore.

Va poi aggiunto che anche se si riuscisse a dimostrare che esistevano, nel caso di specie, strumenti idonei a scongiurare l’incendio, va osservato che questo non è elemento sufficiente ad affermare la responsabilità del custode. Infatti, difronte alla necessità di predisporre misure di protezione, il custode aveva un unico obbligo, che è quello di segnalarlo al giudice, il quale non avrebbe potuto far altro che convocare i creditori e chiedere loro di anticipare le relative spese; per di più è assai dubbio che i creditori avrebbero dovuto adempire pena l’estinzione della procedura.

Infine, neppure era possibile, a nostro avviso, annullare la vendita poiché il decreto di trasferimento era stato emesso, con la conseguenza che il rischio di perimento della cosa si era trasferito in capo al nuovo proprietario in forza della regola generale per cui “res perit domino”.

Insomma, e per concludere, il fatto doloso del terzo ci sembra ascrivibile, nel caso di specie, alla nozione di caso fortuito, ed in quanto tale grava esclusivamente nella sfera giuridica di colui il quale ne ha patito, in prima persona, le conseguenze.

inexecutivis pubblicato 26 dicembre 2019

rispondiamo ora a gianluca 72.

Certamente il custode ha violato il suo preciso dovere di consentire la visita dell'immobile.

Gianluca, tuttavia, è stato superficiale nel comprare a scatola chiusa.

Venendo ai rimedi, ossrviamo che la questione prospettata purtroppo non è facilmente risolvibile.

Non tanto sul piano giuridico, rispetto alla quale le soluzioni ci sembrano piuttosto semplici, quanto sul piano concreto.

Dal punto di vista teorico, infatti, si potrebbe citare in giudizio il danneggiante, facilmente individuabile nella persona di colui che aveva materialmente la disponibilità dell'immobile.

Occorrerebbe tuttavia garantirsi contro il fatto che questi sia in grado di pagare, nel momento in cui l'aggiudicatario ottenesse una condanna di costui al risarcimento del danno.

Sempre sul piano teorico, potrebbe essere chiamato a rispondere il custode.

Ai sensi dell’art. 65 c.p.c., compito del custode è quello di conservare ed amministrare i beni sequestrati o pignorati.

Analoga disposizione si rinviene nell’art. 560, ultimo comma, c.p.c., che attribuisce al custode il compito di “amministrazione e gestione” del bene pignorato affidato alla sua custodia.

Egli, inoltre, ai sensi dell’art. 67, comma secondo, c.p.c. è tenuto al risarcimento dei danni cagionati alle parti, se non esercita la custodia da buon padre di famiglia.

Aggiungiamo, infine, che ai sensi dell’art. 388, comma quinto, c.p., il custode che rifiuti, ometta o ritardi indebitamente il compimento di un atto del suo ufficio (e tale è certamente la esecuzione dell’ordine di liberazione, ai sensi dell’art. 560, comma quarto, c.p.c.) è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino a 516 euro”.

Quindi, certamente, il custode può essere chiamato a rispondere del danno arrecato alla cosa in custodia, e del danno derivante dalla ritardata esecuzione dell’ordine di liberazione.

In questo senso si è espressa la giurisprudenza. Secondo la Cassazione (sez. I 17 febbraio 1995, n. 1730), infatti, "Nella vendita forzata, pur non essendo ravvisabile un incontro di consensi, tra l'offerente ed il giudice, produttivo dell'effetto transattivo, essendo l'atto di autonomia privata incompatibile con l'esercizio della funzione giurisdizionale, l'offerta di acquisto del partecipante alla gara costituisce il presupposto negoziale dell'atto giurisdizionale di vendita; con la conseguente applicabilità delle norme del contratto di vendita non incompatibili con la natura dell'espropriazione forzata, quale l'art. 1477 cod.civ. concernente l'obbligo di consegna della cosa da parte del venditore. Ne deriva che, in relazione allo "ius ad rem" (pur condizionato al versamento del prezzo), che l'aggiudicatario acquista all'esito dell'"iter"esecutivo, è configurabile un obbligo di diligenza e di buona fede dei soggetti tenuti alla custodia e conservazione del bene aggiudicato, così da assicurare la corrispondenza tra quanto ha formato l'oggetto della volontà dell'aggiudicatario e quanto venduto. Pertanto, qualora l'aggiudicatario lamenti che l'immobile aggiudicato sia stato danneggiato prima del deposito del decreto di trasferimento, il giudice è tenuto a valutare la censura dell'aggiudicatario medesimo, diretta a prospettare la responsabilità del custode (nella specie, della curatela fallimentare che aveva proceduto alla vendita forzata), in base ai principi generali sull'adempimento delle obbligazioni (art. 1218 cod. civ.), per inadeguata custodia del bene posto in vendita, fino al trasferimento dello stesso" (negli stessi termini, più recentemente, Cass. 30/06/2014, n. 14765).

Detto questo, una precisazione è di assoluto rilievo.

Affinché il custode sia chiamato a rispondere è necessario che egli possa esercitare di fatto un potere di controllo sul bene, (potere che viene meno allorquando il debitore permane nella disponibilità del fabbricato). In questi casi ci sembra corretta la prevalente opinione dottrinaria, secondo la quale i danni arrecati all’immobile dal debitore che occupi il medesimo non possono ascriversi alla responsabilità del custode, in quanto non è identificabile il capo a questi una condotta esigibile, capace di evitarli. Detto altrimenti, è difficile ipotizzare quale iniziativa il custode avrebbe potuto adottare per evitare che il debitore, nel lasciare l’immobile, lo danneggi.

Questi concetti sono stati più volte espressi dalla Corte di Cassazione in tema di locazione, laddove si è affermato ad esempio che “poiché la responsabilità ex art. 2051 c.c. implica la disponibilità giuridica e materiale del bene che dà luogo all'evento lesivo, al proprietario dell'immobile locato sono riconducibili in via esclusiva i danni arrecati a terzi dalle strutture murarie e dagli impianti in esse conglobati, di cui conserva la custodia anche dopo la locazione, mentre grava sul solo conduttore la responsabilità per i danni provocati a terzi dagli accessori e dalle altre parti dell'immobile, che sono acquisiti alla sua disponibilità”. (Affermando tale principio, la S.C. ha riconosciuto la responsabilità del conduttore per i danni causati da infiltrazioni d'acqua a seguito della rottura di un tubo flessibile esterno all'impianto idrico, sostituibile senza necessità di interventi demolitori sui muri. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 21788 del 27/10/2015).

evo2020 pubblicato 30 dicembre 2019

Grazie per la rapida risposta.

 Capisco dalle vostre considerazioni, che non esiste una garanzia che l’immobile aggiudicato venga custodito, anche se sono previste norme/leggi del c.p.c. che dovrebbero tutelare l’aggiudicatario, ma queste hanno solo un valore giuridico  teorico. Purtroppo la triste realtà è che partecipare e aggiudicarsi un bene in una esecuzione immobiliare è altamente pericoloso, perché tutti i rischi sono a carico del’acquirente, qualunque sia lo stato dell’immobile (libero/occupato). Praticamente l’aggiudicatario non ha nessuna possibilità di attuare qualsiasi forma di cautela per conservare il bene, dato che non può accedere nell’immobile prima della consegna e  concretamente l’acquisto viene effettuato a scatola chiusa..  con il rischio che neanche la scatola viene consegnata. Tutto questo mi lascia estremamente perplesso e onestamente non mi sembra una cosa normale. 

Dopo la problematica vissuta, spesso mi pongo le seguenti domande:

 la figura del custode a cosa serve se praticamente non custodisce o non può custodire, non ha nessun potere, nonché responsabilità???   

Quali sono le colpe dell’aggiudicatario che nonostante abbia rispettato le procedure e pagato il bene,  non  lo riceve o se lo riceve e gli va bene non è nello stato di conservazione iniziale???                                  

  AUGURI DI BUON ANNO 2020.

inexecutivis pubblicato 05 gennaio 2020

Purtroppo le perplessità espresse e le criticità rilevate sono figlie di una caratteristica peculiarissima delle vendite giudiziarie, rappresentata dal fatto che queste si svolgono contro la volontà del proprietario, il quale normalmente nelle ordinarie transazioni ha interesse a vendere.

Ne consegue che applicare pedissequamente alle vendite giudiziarie le regole delle vendite negoziali produrrebbe effetti distorsivi peggiori delle incongruenze cui si intenderebbe eliminare.

Di questo, del resto, è perfettamente consapevole il legislatore, che con l’art. 2922 c.c., ha espressamente previsto che nella vendita esecutiva non trova applicazione la disciplina della garanzia per i vizi della cosa venduta.

Detto questo, per evitare i problemi descritti, diventa essenziale la tempestiva adozione dell’ordine di liberazione, poiché l'occupazione dell’immobile da parte del debitore è uno dei tradizionali ostacoli alla vendita, sia perché disincentiva financo la visita del bene da parte dei potenziali acquirenti, che ivi troverebbero ad attenderli il debitore (si osservi, per inciso, che ai sensi dell’art. 560, ultimo comma, c.p.c., vigente prima delle modifiche di cui diremo tra un attimo) gli interessati all’acquisto hanno diritto di visitare l’immobile posto in vendita, e la visita dell’immobile deve svolgersi ed in modo tale che sia garantita la riservatezza della loro identità) sia perché determina in capo agli interessati il legittimo timore di non poter entrare nella disponibilità dell’immobile dopo il versamento del saldo prezzo e l’adozione del decreto di trasferimento.

In questo contesto la liberazione dell'immobile ha lo scopo di garantire all’aggiudicatario o all’assegnatario l’acquisto di un bene libero, posto che una delle strade attraverso cui si può ottenere il risultato tendenziale di assimilare la vendita giudiziaria alla vendita negoziale è quella di garantire all’acquirente l’immediata disponibilità dell’immobile a seguito dell’emissione del decreto di trasferimento, posto che tradizionalmente uno dei fattori che maggiormente disincentiva il mercato dall’avvicinarsi alle vendite giudiziarie è rappresentato dall’incertezza e dalla paura dei tempi e dei costi necessari a conseguire il possesso materiale del bene; il tutto, si noti, anche nell’interesse del debitore poiché quanto più alto sarà il valore di vendita, quato più celere sarà il procedimento di liquidazione del bene, tanto maggiore sarà l’effetto esdebitatorio di cui egli potrà beneficiare.

Mentre l’adozione dell’ordine di liberazione era obbligatoria nel momento in cui l’immobile viene aggiudicato, essa è facoltativa in un momento precedente. In questi termini si è espressa la Corte di Cassazione, la quale ha osservato che “è rimessa al potere discrezionale del giudice dell'esecuzione la decisione circa l'emissione dell'ordine di liberazione dell'immobile pignorato prima dell'aggiudicazione e circa i tempi della sua esecuzione a cura del custode, nonché, per contro, circa il rilascio al debitore dell'autorizzazione a continuare ad abitare l'immobile e circa eventuali condizioni cui subordinare tale autorizzazione” (cass. civ., sez. III, 3 aprile 2015, n. 6836).

Quanto ai criteri cui deve essere ispirata questa facoltà, va osservato che a seguito della modifica dell’art. 560 c.p.c. ad opera della riforma del 2005, il rapporto tra ordine di liberazione e autorizzazione ad abitare l’immobile si pone in termini di regola-eccezione, in ragione del fatto che, come sopra si è detto, la liberazione dell’immobile meglio soddisfa l’esigenza della procedura ad una veloce e fruttuosa vendita del cespite pignorato. Così la citata giurisprudenza, la quale ha osservato che mentre prima della riforma (del 2005) appariva preminente l'interesse del debitore a continuare ad abitare l'immobile, con attribuzione al giudice dell'esecuzione del potere di rimuovere l'ostacolo, costituito dal sopravvenuto pignoramento, mediante il rilascio dell'autorizzazione, con la modifica dell’art. 560 c.p.c. “il legislatore … ha imposto al giudice dell'esecuzione una valutazione di portata più ampia rispetto a quella necessaria in precedenza per il rilascio dell'autorizzazione. Mentre quest'ultima riguardava essenzialmente la situazione abitativa del debitore e della sua famiglia, a seguito della modifica normativa il giudice dell'esecuzione deve valutare, in via prioritaria, se liberare l'immobile, a meno che non ritenga di autorizzare il debitore a permanervi (e fatta salva comunque l'obbligatorietà dell'ordine di liberazione al momento dell'aggiudicazione)".

In questo contesto si è inserita  la riscrittura dell’art. 560 ad opera dell’art. 4, comma 2, d.l. 14/12/2018, n. 135, convertito dalla legge 11/2/2019, n. 12, pubblicata sulla Gazz. Uff. n. 36 del 12/2/2019.

Il nuovo testo, per quanto qui interessa, prevede che “Il debitore ed i familiari che con lui convivono, non perdono il possesso dell'immobile e delle sue pertinenze sino al decreto di trasferimento, salvo quanto previsto dal sesto comma”, il quale a sua volta dispone che “Il giudice ordina, sentito il custode ed il debitore, la liberazione dell'immobile pignorato per lui ed il suo nucleo familiare, qualora sia ostacolato il diritto di visita di potenziali acquirenti, quando l'immobile non sia adeguatamente tutelato e mantenuto in uno stato di buona conservazione, per colpa o dolo del debitore e dei membri del suo nucleo familiare, quando il debitore viola gli altri obblighi che la legge pone a suo carico, ovvero quando l'immobile non è abitato dal debitore e dal suo nucleo familiare.

Infine, la disposizione prevede che “quando l'immobile pignorato è abitato dal debitore e dai suoi familiari il giudice non può mai disporre il rilascio dell'immobile pignorato prima della pronuncia del decreto di trasferimento ai sensi dell'articolo 586.

Come si vede, la grande novità di questa norma risiede nel fatto che, quando l'immobile è "abitato" (si osservi che non è sufficiente la mera occupazione, richiedendosi, appunto, che l'immobile sia, appunto, "abitato") l'ordine di liberazione non può essere adottato prima della pronuncia del decreto di trasferimento, a meno che il debitore occupante ostacoli il diritto di visita, alteri lo stato di conservazione del bene, violi gli altri obblighi posti a suo carico dalla legge.

Questa disposizione si applicherà alle espropriazioni immobiliari iniziate con pignoramenti notificati dal 13 febbraio 2019, poiché l’art. 4, comma 4, d.l. n. 135 del 2018, n. 135 prescrive che «Le disposizioni introdotte con il presente articolo non si applicano alle esecuzioni iniziate anteriormente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto».

Insomma, quando l’immobile è occupato dal debitore che vi abita con la famiglia, la preventiva liberazione dello stesso non è consentita, a meno che il debitore violi gli obblighi a lui imposti.

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