A nostro avviso il comportamento serbato dal curatore è illegittimo, e potrebbe finanche condurre alla revoca dello stesso.
Invero, la violazione di specifiche disposizioni impartite dal giudice delegato nell'esercizio dei poteri di vigilanza e controllo della procedura ai sensi dell'art. 25 l.fall. costituisce violazione dei doveri d'ufficio, che potrebbe presentare addirittura profili di rilevanza penale (art. 238 c.p.), posto che ai sensi dell'art. 30 l.fall. il curatore nell'esercizio delle sue funzioni è pubblico ufficiale.
Invero, non pare revocabile in dubbio che tra i doveri del proprio ufficio, cui il curatore deve adempiere, rientri anche quello di dare esecuzione alle disposizioni impartite dal giudice delegato.
Riteniamo inoltre che il dovere per il curatore di consentire l'accesso al custode rilevi anche sotto il profilo della buona fede e diligenza.
Costituiscono principi generale dell’ordinamento quelli secondo cui le obbligazioni debbono essere adempiute secondo buona fede (art. 1375 c.c.) e con la diligenza del buon padre di famiglia (art. 1176 c.c.).
La buona fede rappresenta uno dei principi portanti dell’ordinamento, principio qualificato in dottrina come principio di ordine pubblico.
Nell’adempimento delle obbligazioni (di tutte le obbligazioni, indipendentemente dalla fonte legale o negoziale delle stesse) la buona fede si impone quale obbligo di salvaguardia, prescrivendo alle parti di agire in modo da preservare integri gli interessi dell’altra. Questo impegno di solidarietà, che si proietta al di là di quanto specificatamente previsto nel contratto (o nella legge), trova un limite nell’interesse del soggetto che è chiamato ad adempiere. Questi, cioè, è tenuto a far salvo l’interesse altrui ma non fino al punto di subire un apprezzabile sacrificio, personale o economico.
In questi termini si è detto che la buona fede identifica l’obbligo di ciascuna parte di salvaguardare l’utilità dell’altra nei limiti in cui ciò non comporti un apprezzabile sacrificio.
La stessa giurisprudenza della Corte di Cassazione, ha fatto propri questi concetti, affermando che “L'obbligo di buona fede oggettiva o correttezza costituisce un autonomo dovere giuridico, espressione di un generale principio di solidarietà sociale, applicabile in ambito contrattuale ed extracontrattuale, che impone di mantenere, nei rapporti della vita di relazione, un comportamento leale (specificantesi in obblighi di informazione e di avviso) nonché volto alla salvaguardia dell'utilità altrui, nei limiti dell'apprezzabile sacrificio” (Cass. Sez. 3, n. 3462 del 15/02/2007).
Traslando questi concetti al caso di specie, riteniamo che, in base al principio di buona fede, il custode abbia l’obbligo di consentire l’accesso.
Il suggerimento è quello di rappresentare con una formale istanza quanto sta accadendo al giudice delegato, e di diffidare formalmente al custode, magari riportando anche la nostra opinione.
Ci tenga aggiornati.