Contratto di locazione

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Porto pubblicato 14 novembre 2020

Buongiorno, L asta a cui vorrei partecipare ha come oggetto di vendita un immobile adibito ad ufficio con possibilità di portarlo ad abitazione come indicato in perizia. Nella stessa perizia è indicato che attualmente l immobile è in affitto cn un contratto 6+6 ad una ditta con scadenza novembre 2020: la data di scadenza è indicata in perizia ma in base alla data di stipula del contratto di locazione e successiva registrazione la scadenza fa riferimento solo ai primi 6 anni. Inoltre il canone nn è congruo, infatti il giudice ha richiesto al CTU la rivalutazione che è risultata superiore a più di 3 volte rispetto all attuale canone di affitto. Visto il canone non adeguato è possibile fare decadere il contratto di affitto esistente e procedere alla liberazione dell' immobile visto che lo prenderei come prima casa? Se ciò non fosse possibile la liberazione potrà essere fatta a novembre 2020 o dopo ulteriori 6 anni? Dal momento che viene emesso il decreto di trasferimento, se non fosse possibile liberare l immobile subito, il canone di affitto deve essere adeguato alla stima indicata dal CTU in perizia? Grazie

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inexecutivis pubblicato 15 novembre 2020

Quello relativo al rinnovo del contratto ed all’esercizio del diritto di recesso nei contratti di locazione stipulato in data precedente al pignoramento è tema assai ricorrente.

A questo proposito va operata una distinzione tra rinnovo alla prima scadenza contrattuale e rinnovi successivi.

Con riferimento alla prima scadenza, secondo Cass. Sez. U, 16 maggio 2013, n. 11830, sia nelle locazioni ad uso diverso dall’abitazione disciplinate della l. 392/1978, sia nelle locazioni abitative di cui alla l. 431/1998, la rinnovazione tacita del contratto alla prima scadenza, (per il mancato esercizio, da parte del locatore, della facoltà di diniego di rinnovazione) costituisce un effetto automatico derivante direttamente dalla legge e non dalla spendita di un’autonoma determinazione volitiva. Ne consegue che, in caso di pignoramento dell’immobile, tale rinnovazione non necessita dell’autorizzazione del giudice dell’esecuzione prevista dal secondo comma dell’art. 560 c.p.c. In particolare, a giudizio della Suprema Corte il contesto normativo “conduce a considerare la rinnovazione tacita del contratto, alla prima scadenza quale fattispecie speciale ed autonoma rispetto alla rinnovazione tacita del contratto di cui all’art. 1597 c.c., il quale fa riferimento alla fine della locazione per lo spirare del termine di cui al precedente art. 1596 c.c. Il che comporta che la rinnovazione - nel caso in cui il locatore non si trovi nelle condizioni di cui dell’art. 29, secondo comma, o, comunque, pur ricorrendo, non le comunichi al conduttore -, si configura come mero effetto automatico in assenza di disdetta. Quindi, il secondo periodo di rapporto locatizio, sulla base della disciplina prevista dagli arti. 28 e 29 della legge n. 392/1978 - così come nel sistema che riguarda le locazioni abitative, a norma degli arti. 2 e 3, 1. 9 dicembre 1998, n. 431 - , non presuppone, in alcun modo, un successivo contratto. Esso deriva, non da un implicito accordo tra i contraenti, ma dal semplice fatto negativo sopravvenuto della mancanza della disdetta. Ed il contenuto contrattuale, che disciplina il nuovo periodo di rapporto, non presenta alcun specifico elemento di novità”.

Il discorso cambia per i rinnovi successivi al primo, in relazione ai quali si è osservato che essi costituiscono “una libera manifestazione di volontà negoziale. Pertanto, in caso di pignoramento dell’immobile locato eseguito in data antecedente alla scadenza del termine per l’esercizio della menzionata facoltà da parte del locatore, la rinnovazione della locazione necessita dell’autorizzazione del giudice dell’esecuzione prevista dall’art. 560, secondo comma, cod. proc. civ.  Cass., sez. III, 29/05/2015, n. 11168; Cass., sez. III, 19/07/2019, n. 19522. Dunque, a contrario, ove il pignoramento sopraggiunga dopo lo spirare del termine per l’esercizio (nelle locazioni disciplinate dalle leggi n. 392/1978 e 431/1998) del recesso successivo alla prima scadenza contrattuale, il rapporto si intenderà prorogato sino alla scadenza successiva; solo in quella occasione la proceduta potrà decidere se interrompere o proseguire la locazione.

Bisogna dunque capire, nel caso di specie, se si tratta di una prima scadenza o di una scadenza successiva. Se si tratta della prima scadenza, è necessario che il custode abbia dichiarato di voler recedere. Se invece si tratta di una scadenza successiva, il contratto termina a prescindere della disdetta.

Chiarito il tema della disdetta, a nostro avviso nella situazione prospettata rileva a monte il fatto che il canone sia inferiore di oltre un terzo rispetto a quello giusto, il che rende il contratto inopponibile all’aggiudicatario a mente dell’art. 2923, comma terzo, c.c..

Riteniamo infine che questa inopponibilità legittimi il custode a liberare l’immobile e l’aggiudicatario a richiedere la consegna di un bene libero da persone e cose.

Porto pubblicato 16 novembre 2020

Grazie per la risposta esaustiva. In merito chiedo l immobile è un A10 con possibilità di cambio d uso ad abitazione senza oneri aggiuntivi ma con semplice cambio al catasto, come indicato nei documenti; negli stessi dice che l immobile è "intestato a soggetto esercente attività di impresa pertanto la sua cessione comporta il pagamento dell'IVA al 22% da parte dell'acquirente a seguito dell'applicazione del meccanismo del reverse charge". Ciò significa che oltre al prezzo di aggiudicazione c è da aggiungere l IVA? E nel caso oltre a tale imposta e al prezzo di aggiudicazione, quale sono le altre spese considerando che vorrei partecipare per acquisto prima casa?

Porto pubblicato 16 novembre 2020

Aggiungo che nell' avviso è venduto come ufficio ovvero fabbricato strumentale, ma dalle foto allegate l immobile presenta stanze adibite a cucina e sala pranzo

inexecutivis pubblicato 18 novembre 2020

Sulla base delle informazione che ci ha fornito ricaviamo che oltre al versamento del saldo prezzo dovrà essereversata l'iva.

Quanto alle ulteriori spese, valgono le seguenti indicazioni.

Iimposta di registro di €. 200,00 (sensi 40, comma 1 TUR della nota all’art. 1 della tariffa)

Imposta ipotecaria del 3% (con un minimo di 200), ai sensi dell’art. 1-bis della tariffa allegata al d.lgs 347/1990 (se si fosse trattato di un trasferimento soggetto ad iva ma diverso da quelli di cui all’ art. 10, comma primo, n. 8-ter d.P.R. 633/1972 avremmo applicato una imposta ipotecaria nella misura fissa di €. 200,00 a mente della nota all’art. 1 della tariffa allegata al d.lgs 347/1990)

Una imposta catastale proporzionaledell’1% (con un minimo di 200 euro) ai sensi dell’art. 10, comma 1 del citato d.lgs 347/1990

Bollo: 230

 

Tassa ipotecaria €. 35, tassa catastale €. 55 (ai sensi dell’art. 19 d.lgs 347/1990 e dei punti 1.1 ed 1.2 della tabella relativa).

COMPENSO PROFESSIONISTA DELEGATO

A questo punto va considerato il compenso dovuto al professionista delegato.

A tale proposito occorre premettere che l’art. 179 bis, comma secondo, disp. att. c.p.c. dispone che “Il compenso dovuto al professionista è liquidato dal giudice dell'esecuzione con specifica determinazione della parte riguardante le operazioni di vendita e le successive che sono poste a carico dell'aggiudicatario. Il provvedimento di liquidazione del compenso costituisce titolo esecutivo”.

Quanto alla misura, essa è disciplinata dal Decreto ministeriale 15 ottobre 2015, n. 227, il quale (art. 2) pone a carico dell’aggiudicatario, la quota parte (50%) del compenso dovuto al professionista delegato per la fase del trasferimento della proprietà del bene, il cui importo varia in relazione al prezzo di aggiudicazione, e cioè:

-       quando il prezzo di aggiudicazione è pari o inferiore a euro 100.000, il costo del compenso a carico dell’aggiudicatario è pari ad €. 550,00;

-       quando il prezzo di aggiudicazione o il valore di assegnazione è superiore a euro 100.000 e pari o inferiore a euro 500.000 il costo del compenso a carico dell’aggiudicatario è pari ad  €. 825,00;

-       quando il prezzo di aggiudicazione o il valore di assegnazione è superiore a euro 500.000 il costo del compenso a carico dell’aggiudicatario è pari ad €. 1.100,00

A questi importi vanno aggiunti il contributo previdenziale (4%) e l’IVA (ove il regime fiscale del delegato preveda il versamento dell’IVA).

Occorre infine tenere presente che l’art. 2 comma due del medesimo decreto prevede che “Quando le attività di cui al comma 1, numeri 1), 2) e 3) riguardano più lotti, in presenza di giusti motivi il compenso determinato secondo i criteri ivi previsti può essere liquidato per ciascun lotto”.

Il successivo comma tre prevede che il giudice può aumentare o ridurre l’ammontare del compenso liquidato in misura non superiore al 60%, tenuto conto della complessità delle attività svolte.

Infine, il successivo comma 7 stabilisce che “in presenza di giustificati motivi il compenso a carico dell’aggiudicatario o dell’assegnatario può essere determinato in misura diversa da quella prevista per il periodo precedente” (a mente del quale, come detto, sono poste a carico dell'aggiudicatario o dell'assegnatario la metà del compenso relativo alla fase di trasferimento della proprietà, nonché le relative spese generali e le spese effettivamente sostenute per l'esecuzione delle formalità di registrazione, trascrizione e voltura catastale”.

COSTI DI CANCELLAZIONI FORMALITà PREGIUDIZIEVOLI

In relazione ai costi di cancellazione delle formalità pregiudizievoli, riteniamo che se nulla è detto nell’avviso di vendita esse gravano sulla procedura.

Se invece fosse precisato che gravano sull’aggiudicatario, osserviamo quanto segue.

In primo luogo va operata una distinzione:

- la cancellazione delle ipoteche volontarie è esente dall'imposta ipotecaria e dall'imposta di bollo, ai sensi dell'art. 15 d.P.R.  n. 29.9.1973, n.601, se l'ipoteca è stata iscritta a garanzia di un finanziamento a medio e lungo termine erogato da un istituto di credito, (per cui sconta solo la tassa ipotecaria di €. 35,00);

- a proposito delle altre ipoteche, la cancellazione è soggetta, oltre alla tassa ipotecaria (€. 35,00) ed all’imposta di bollo (€. 59,00), all’imposta ipotecaria nella misura dello 0,50% (ai sensi degli artt.12, 13 della tariffa del d.lgs 31.10.1990, n. 347), con un minimo di €. 200,00 (art. 18 d.lgs 31.10.1990, n. 347).

Cambia tuttavia a nostro avviso la base imponibile:

- se l'immobile sul quale si cancella l'ipoteca non è l'unico bene sul quale quella ipoteca è stata iscritta, si tratterà di una restrizione, e dunque in questo caso la base imponibile sarà costituita dalla minor somma tra l'importo del credito ed il prezzo dell'aggiudicazione, ai sensi dell'art. 3, comma 3, d.P.R. 347/1990, il quale dispone che "L'imposta dovuta sull'annotazione per restrizione di ipoteca è commisurata al minor valore tra quello del credito garantito e quello degli immobili o parti di immobili liberati determinato secondo le disposizioni relative all'imposta di registro";

- se invece l'immobile sul quale cancellare l'ipoteca è l'unico, la base imponibile sarà calcolata sull'importo del credito, poiché si tratterà di una cancellazione totale.

Osserviamo tuttavia che in senso diverso (e più favorevole all’aggiudicatario) si è espressa, con riferimento a quest’ultimo caso, l’agenzia delle Entrate con la circolare del 4.3.2015, n. 8.

In particolare, l’Agenzia delle entrate è stata chiamata a pronunciarsi sul trattamento tributario delle domande di annotazione nei registri immobiliari, presentate a seguito dell'ordine di cancellazione delle trascrizioni dei pignoramenti e delle iscrizioni ipotecarie, emesso dal giudice in sede di trasferimento del bene espropriato nel caso in cui il bene trasferito sia l'unico bene oggetto dell'ipoteca.

In particolare, si chiedeva all’Agenzia delle Entrate se in tale ipotesi, l'imposta ipotecaria da applicare per l'annotazione nei registri immobiliari dovesse essere commisurata all'ammontare del credito garantito, ai sensi dell'articolo 3, comma 1, del Testo unico delle disposizioni concernenti le imposte ipotecaria e catastale, di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 347 (TUIC), ovvero al minor valore tra quello del credito garantito e quello dell'immobile liberato, determinato secondo le disposizioni relative all'imposta di registro, ai sensi del comma 3 dello stesso articolo.

Nel rispondere al quesito l’Agenzia, muovendo dal presupposto per cui l’ordine di cancellazione emesso dal Giudice dell'esecuzione in seno al decreto di trasferimento e riferito al bene ovvero ai beni espropriati si atteggia perlomeno sotto un profilo formale - quale ordine di liberazione di tali beni dalle formalità pregiudizievoli gravanti, secondo lo schema della c.d. "cancellazione parziale", sicché è proprio la struttura intrinseca della peculiare forma di liberazione dalle ipoteche (o dal pignoramento) costituita dall'emissione del decreto di trasferimento, che qualifica la conseguente annotazione come "restrizione di beni".

La conseguenza di questo ragionamento sul piano tributario è che ai fini dell’imposta ipotecaria dovuta per la cancellazione dell’ipoteca occorra fare riferimento all'articolo 3, comma 3, del TUIC, il quale prevede che l'imposta ipotecaria dovuta sull'annotazione per restrizione di ipoteca è commisurata al minor valore tra quello del credito garantito e quello degli immobili o parti di immobili liberati, per la determinazione del quale la norma fa espresso rinvio alle disposizioni relative all'imposta di registro, e dunque all’art. 44 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (TUR), ai sensi del quale "Per la vendita di beni mobili e immobili fatta in sede di espropriazione forzata ovvero all'asta pubblica e per i contratti stipulati o aggiudicati in seguito a pubblico incanto la base imponibile è costituita dal prezzo di aggiudicazione".

Infine, l’Agenzia ha precisato che ai fini della determinazione della base imponibile non trova applicazione la disciplina del “prezzo valore” di cui all’art. 1, comma 497, della l. 23 dicembre 2005, n. 266.

Invece, i costi di cancellazione del pignoramento sono:

€.200 per l’imposta ipotecaria (art. 14 della tariffa allegata al d.lgs. 31.10.1990, n. 347);

€. 59 per l’imposta di bollo (art. 3, punto 2 bis della tariffa allegata la d.P.R. 642/1972);

€. 35 per la tassa ipotecaria (ai sensi della tabella allegata al d.lgs 31.10.1990, n. 347).

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