A nostro avviso per rispondere correttamente al quesito formulato è necessario partire dalla previsione di cui all’art. 5, comma primo, D.M. 10 marzo 2014 , n. 55 , recante i criteri di determinazione dei compensi per la professione forense, il quale dispone che “Nella liquidazione dei compensi a carico del soccombente, il valore della causa — salvo quanto diversamente disposto dal presente comma — è determinato a norma del codice di procedura civile”.
Occorre allora avere riguardo, per le procedure esecutive, all’art. 17 c.p.c., il quale dispone che il valore delle cause di opposizione all’esecuzione forzata si determina in ragione del credito per cui si procede.
Ora, è ben vero che la norma è dettata per i giudizi di opposizione all’esecuzione (con evidente riguardo al giudizio di merito che abbia ad oggetto una opposizione all’esecuzione) ma è innegabile che analogo criterio, in assenza di una norma specificamente dettata per le procedure esecutive, non può che essere utilizzato anche per esse. Ad analogo risultato, del resto, si giunge sia ove si consideri sia l’ultimo capoverso dell’art. 5, secondo il quale “In ogni caso si ha riguardo al valore effettivo della controversia, anche in relazione agli interessi perseguiti dalle parti, quando risulta manifestamente diverso da quello presunto a norma del codice di procedura civile o alla legislazione speciale”, sia all’art. 21 del medesimo d.m., il quale dispone che “Per l’assistenza in procedure concorsuali giudiziali e stragiudiziali si ha riguardo al valore del credito del cliente creditore o all’entità del passivo del cliente debitore”.
Ciò detto, è costante in giurisprudenza l’affermazione per cui “Il valore della causa, ai fini della liquidazione degli onorari spettanti all'avvocato nei confronti del cliente, si determina, in base alle norme del codice di procedura civile, avendo riguardo all'oggetto della domanda considerato nel momento iniziale della lite, senza che assumano rilievo, al riguardo, gli interessi e la rivalutazione maturati sulla somma capitale nelle more della controversia” (cfr. Cass. civ., sez. III, 19 aprile 2006, n. 9082; sez. II, 7 giugno 2001, n. 7691; sez. II, 27 febbraio 1998, n. 2172; sez. II, 17 maggio 1991, n. 5579).
In particolare Cass. 5579/1991, cui le successive sentenze si riallacciano, recependone gli approdi senza aggiungere ulteriori argomenti, che la tariffa forense prevede che valore della causa sia accertato con riferimento alla stessa data in cui si accerta il valore legale, cioè la data della proposizione della domanda, ai sensi del combinato disposto dell’art. 10, c.p.c. in relazione al precedente art. 5, “mentre i mutamenti successivi dello stato di fatto esistente a tale data, come non hanno rilevanza ai fini della (giurisdizione e della) competenza così non ne hanno ai fini della liquidazione degli onorari d'avvocato a carico del cliente. Quanto, in particolare, alle fluttuazioni della moneta verificatesi tra la data di proposizione della domanda e la data di liquidazione degli onorari, coincidente, questa, con la cessazione dell'incarico, ad esse apprestano rimedio e l'aggiornamento periodico delle tariffe forensi”.
Tuttavia a questa osservazione potrebbe obiettarsi che quella interpretazione giurisprudenziale, che ai fini della competenza guarda al valore della domanda riferito al momento di proposizione della stessa per rispondere alla necessità di evitare che la competenza per valore sia determinata ex post, mal si attaglia ad una interpretazione del dato codicistico funzionale a remunerare il difensore, per il quale invece è proprio un criterio di valutazione compiuto all’esito del giudizio che meglio risponde all’esigenza di riconoscergli il giusto compenso per l’attività svolta.
Inoltre, se è vero che gli interessi (ed eventualmente la rivalutazione monetaria) che maturano nel corso del giudizio e che concorrono a determinare il credito complessivo di colui che agisce (in sede di cognizione o di esecuzione) prescindono del tutto dall’attività difensiva svolta dall’avvocato, per essere legate al mero decorso del tempo, sicché essi non concorrono a determinare il valore della res controversa, proprio perché maturano indipendentemente ed a prescindere da ogni contestazione sul punto, essendo sufficiente che siano oggetto di mera domanda, è altrettanto vero che essi potrebbero costituire oggetto di contestazione di controparte, quanto meno sotto il profilo del loro ammontare, sicché anche rispetto ad essi l’avvocato deve svolgere attività difensiva sin dal momento della proposizione della domanda, dovendoli richiedere, e dovendo replicare ad eventuali contestazioni sollevate dalla controparte in ordine all’an o al quantum.
In definitiva, pur consapevoli di un consolidato orientamento che conduce all’affermazione per cui il credito deve essere considerato alla data del pignoramento, esistono argomenti per sostenere la diversa ricostruzione.