Cerchiamo di rispondere separatamente ai diversi quesiti formulati.
A proposito del compenso per rispondere correttamente al quesito formulato è necessario partire dalla previsione di cui all’art. 5, comma primo, D.M. 10 marzo 2014 , n. 55 , recante i criteri di determinazione dei compensi per la professione forense, il quale dispone che “Nella liquidazione dei compensi a carico del soccombente, il valore della causa — salvo quanto diversamente disposto dal presente comma — è determinato a norma del codice di procedura civile”.
Occorre allora avere riguardo, per le procedure esecutive, all’art. 17 c.p.c., il quale dispone che il valore delle cause di opposizione all’esecuzione forzata si determina in ragione del credito per cui si procede.
Ora, è ben vero che la norma è dettata per i giudizi di opposizione all’esecuzione (con evidente riguardo al giudizio di merito che abbia ad oggetto una opposizione all’esecuzione) ma è innegabile che analogo criterio, in assenza di una norma specificamente dettata per le procedure esecutive, non può che essere utilizzato anche per esse.
Ciò detto, l’ultimo capoverso dell’art. 5 dispone che “In ogni caso si ha riguardo al valore effettivo della controversia, anche in relazione agli interessi perseguiti dalle parti, quando risulta manifestamente diverso da quello presunto a norma del codice di procedura civile o alla legislazione speciale”.
Così ricostruito il dato normativo, siamo dell’idea per cui se il valore del bene è sproporzionatamente inferiore al valore del credito per cui si precede, si deve avere riguardo al primo piuttosto che al secondo.
Quanto alla prededuzione dell’IVA, osserviamo che non rientra tra le spese prededucibili l’IVA sulle spese legali tutte le volte in cui il creditore è un soggetto passivo dell’imposta, in quanto l’IVA da lui pagata al difensore, potendo essere portata in detrazione in sede di dichiarazione dei redditi, non è un costo (art. 19 d.P.R. 633/72).
Ai sensi dell’articolo 91, primo comma, del codice di procedura civile, il giudice, con la sentenza che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente a rimborsare all’altra parte, risultata vittoriosa, le "spese di lite" e ne liquida l’ammontare, insieme con gli onorari di difesa (stessa regola vale, ai sensi dell’art. 95 c.p.c. per il processo di esecuzione).
Gli articoli 17 e 18 del Dpr 633/1972 dispongono che, ai fini IVA, qualsiasi professionista che abbia prestato la propria opera al cliente deve corrispondere all’erario l’imposta sul proprio onorario ed è obbligato a rivalersene nei confronti dello stesso cliente. In particolare, l’avvocato deve "emettere fattura al proprio cliente vittorioso, in cui deve essere evidenziato che il pagamento avviene (sia per ciò che riguarda l’onorario sia per ciò che concerne l’imposta che vi accede) con danaro fornito dal soccombente" e deve addebitare al cliente l’Iva a titolo di rivalsa, anche se la suddetta fattura, di fatto, viene pagata dalla parte soccombente (cfr circolare dell’Agenzia delle Entrate n 203/E del 6.12.1994 e risoluzione 106/2006), con l’ulteriore precisazione che l’IVA rientra automaticamente nel computo delle spese processuali e non occorre un’apposita pronuncia del giudice per garantire "il rimborso" di detta imposta, poiché questa, essendo considerata "onere accessorio degli onorari di difesa", è da ricomprendere tra gli oneri processuali dai quali la parte vittoriosa deve essere in ogni caso sollevata (ex multis, Cass. Sez. III, sentenza 31 marzo 2010, n. 7806).
Deve tuttavia precisarsi che se il cliente vittorioso è titolare di partita IVA e la vertenza è inerente all’esercizio della propria attività d’impresa, arte o professione, il soccombente non deve pagare alla controparte vittoriosa l’importo addebitato a titolo di IVA dal legale al proprio cliente, poiché quest’ultimo ha il diritto di detrarre e, quindi, di recuperare l’IVA addebitatagli dal proprio avvocato, ai sensi dell’art. 19 D.P.R. 633/1972 (sul punto si è così espressa la citata circolare n. 203/1994).
Tutto questo, chiaramente, non vale per le ipotesi in cui il soccombente sia stato condannato al pagamento delle spese di lite nei confronti del difensore dichiaratosi antistatario, in quanto in tal caso il difensore non emetterà alcuna fattura nei confronti del proprio cliente, il quale conseguentemente non potrà portare in detrazione l’IVA relativa al compenso ai sensi del citato art. 19.