Beni asportati da immobile aggiudicato in asta

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markino1981 pubblicato 14 giugno 2019

Buongiorno, vi scrivo in merito ad alcuni dubbi che mi sono sorti per un immobile all'asta che mi sono aggiudicato nel mese di maggio: rispetto alla perizia sono stati asportati diversi beni, il giardino era piantumato e ora le piante sono sparite e il tutto si trova in uno stato di evidente incuria e deterioramento, i condizionatori sono stati asportati, l'allarme non c'è più, addirittura la loggia coperta che era parte integrante dei locali nella perizia è stata rimossa,insieme alla parte amovibile di una pergotenda; il portone motorizzato del garage non è più presente.

Inoltre il custode mi chiama ieri 13/6/2019 per sapere se vuole che proceda come stabilito dal giudice con la liberazione dell'immobile da persone o cose o se ho "altri modi" di accordarmi io col debitore per l'accesso all'immobile.

Il custode so essere in contatto col debitore e gli ha permesso l'asportazione di tutte le cose sopra elencate dicendogli che era suo diritto farlo.

Vorrei capire dove stanno agendo nel lecito e dove invece stanno eventualmente ledendo i miei diritti.

 

Vi ringrazio.

 

Cordiali Saluti.

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inexecutivis pubblicato 18 giugno 2019

A nostro avviso non vi è nulla di lecito in quanto sta accadendo.

Cerchiamo di andare con ordine.

Ai sensi dell’art. 2912 c.c., il pignoramento si estende alle pertinenze, agli accessori ed ai frutti della cosa pignorata.

La nozione di pertinenza si ricava dall’art. 817 c.c., ai sensi del quale costituiscono pertinenze le cose destinate in modo durevole al servizio o all’ornamento di un’altra.

Affinché una cosa possa dirsi pertinenza di un bene principale occorrono due requisiti:

uno soggettivo, dato dall’appartenenza al medesimo soggetto della cosa principale e di quella accessoria, e dalla volontà di imporre il vincolo da parte del proprietario;

uno oggettivo, rappresentato dalla contiguità, anche solo di servizio, e non occasionale, della destinazione, tale per cui il bene accessorio deve arrecare una “utilità” al bene principale.

Quanto agli accessori, manca nel codice una loro definizione, ed in dottrina si ritiene, generalmente, che tali possono essere sia le così dette “pertinenze improprie” (cioè cose destinate a servizio od ornamento della cosa principale in modo non duraturo, ovvero da chi non ne ha la proprietà) che e le accessioni in senso tecnico, vale a dire gli incrementi fluviali, (alluvione e avulsione), i casi di unione e commistione, le accessioni al suolo (piantagioni o costruzioni).

Cass. Pen. 19.6.2007, n. 23754 occupandosi del caso (simile al suo) in cui un soggetto aveva asportato dall’immobile pignorato gli infissi, i termosifoni, i pavimenti, la porta blindata, la caldaia, i pannelli in cartongesso di tamponamento, una pergola pompeiana ed una vasca idromassaggio, ha ritenuto che questi beni, in forza della previsione di cui all’art. 2912 c.c., dovevano ritenersi ricompresi nel pignoramento, indentificando nelle pertinenze ed accessori “tutto ciò che concorre a definire il valore economico del bene esecutato”, identificando, in particolare, negli accessori “sia le accessioni in senso tecnico, caratterizzate da una unione materiale con la cosa principale (piantagioni, costruzioni), sia quei beni che, pur conservando la loro individualità, sono collegati a quello principale da un rapporto tanto di natura soggettiva, determinato dalla volontà del titolare del bene, quanto di natura oggettiva conseguente alla destinazione funzionale che li caratterizza e che ne fa strumento a servizio del bene cui accedono”.

Quindi, una prima affermazione è quella per cui i beni indicati nella domanda non potevano essere asportati, in quanto fanno parte del compendio pignorato, e dunque devono essere consegnati all’aggiudicatario.

Detto questo, va ricordato che ai sensi dell’art. 65 c.p.c., compito del custode è quello di conservare ed amministrare i beni sequestrati o pignorati.

Analoga disposizione si rinviene nell’art. 560, ultimo comma, c.p.c., che attribuisce al custode il compito di “amministrazione e gestione” del bene pignorato affidato alla sua custodia.

Egli, inoltre, ai sensi dell’art. 67, comma secondo, c.p.c. è tenuto al risarcimento dei danni cagionati alle parti, se non esercita la custodia da buon padre di famiglia.

Aggiungiamo, infine, che ai sensi dell’art. 388, comma quinto, c.p., il custode che rifiuti, ometta o ritardi indebitamente il compimento di un atto del suo ufficio (e tale è certamente la esecuzione dell’ordine di liberazione, ai sensi dell’art. 560, comma quarto, c.p.c.) è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino a 516 euro”.

Quindi, certamente, il custode può essere chiamato a rispondere del danno arrecato alla cosa in custodia, e del danno derivante dall’asporto dei beni indicati.

In questo senso si è espressa la giurisprudenza. Secondo la Cassazione (sez. I 17 febbraio 1995, n. 1730), infatti, "Nella vendita forzata, pur non essendo ravvisabile un incontro di consensi, tra l'offerente ed il giudice, produttivo dell'effetto transattivo, essendo l'atto di autonomia privata incompatibile con l'esercizio della funzione giurisdizionale, l'offerta di acquisto del partecipante alla gara costituisce il presupposto negoziale dell'atto giurisdizionale di vendita; con la conseguente applicabilità delle norme del contratto di vendita non incompatibili con la natura dell'espropriazione forzata, quale l'art. 1477 cod.civ. concernente l'obbligo di consegna della cosa da parte del venditore. Ne deriva che, in relazione allo "ius ad rem" (pur condizionato al versamento del prezzo), che l'aggiudicatario acquista all'esito dell'"iter"esecutivo, è configurabile un obbligo di diligenza e di buona fede dei soggetti tenuti alla custodia e conservazione del bene aggiudicato, così da assicurare la corrispondenza tra quanto ha formato l'oggetto della volontà dell'aggiudicatario e quanto venduto. Pertanto, qualora l'aggiudicatario lamenti che l'immobile aggiudicato sia stato danneggiato prima del deposito del decreto di trasferimento, il giudice è tenuto a valutare la censura dell'aggiudicatario medesimo, diretta a prospettare la responsabilità del custode (nella specie, della curatela fallimentare che aveva proceduto alla vendita forzata), in base ai principi generali sull'adempimento delle obbligazioni (art. 1218 cod. civ.), per inadeguata custodia del bene posto in vendita, fino al trasferimento dello stesso" (negli stessi termini, più recentemente, Cass. 30/06/2014, n. 14765).

Detto questo, una precisazione è di assoluto rilievo.

Affinché il custode sia chiamato a rispondere è necessario che egli possa esercitare di fatto un potere di controllo sul bene, (potere che viene meno allorquando il debitore permane nella disponibilità del fabbricato). In questi casi ci sembra corretta la prevalente opinione dottrinaria, secondo la quale i danni arrecati all’immobile dal debitore che occupi il medesimo non possono ascriversi alla responsabilità del custode, in quanto non è identificabile il capo a questi una condotta esigibile, capace di evitarli. Detto altrimenti, è difficile ipotizzare quale iniziativa il custode avrebbe potuto adottare per evitare che il debitore, nel lasciare l’immobile, lo danneggi.

Questi concetti sono stati più volte espressi dalla Corte di Cassazione in tema di locazione, laddove si è affermato ad esempio che “poiché la responsabilità ex art. 2051 c.c. implica la disponibilità giuridica e materiale del bene che dà luogo all'evento lesivo, al proprietario dell'immobile locato sono riconducibili in via esclusiva i danni arrecati a terzi dalle strutture murarie e dagli impianti in esse conglobati, di cui conserva la custodia anche dopo la locazione, mentre grava sul solo conduttore la responsabilità per i danni provocati a terzi dagli accessori e dalle altre parti dell'immobile, che sono acquisiti alla sua disponibilità”. (Affermando tale principio, la S.C. ha riconosciuto la responsabilità del conduttore per i danni causati da infiltrazioni d'acqua a seguito della rottura di un tubo flessibile esterno all'impianto idrico, sostituibile senza necessità di interventi demolitori sui muri. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 21788 del 27/10/2015).

In conclusione, le suggeriamo di rappresentare formalmente al custode la illegittimità di quanto sta accadendo.

markino1981 pubblicato 18 giugno 2019

Grazie per la vostra chiarezza e l'argomentazione molto articolata e professionale su temi così difficili.

inexecutivis pubblicato 24 giugno 2019

grazie a lei

avv.38 pubblicato 28 novembre 2019

Buonasera.

Se all'asta acquisto manufatti ad uso serra di complessivi 700 mq insistenti su appezzamento di terreno agricolo di complessivi 5000mq con dest. urb. agricolo produttiva, io acquisto le serre ed il.terreno.

Chiedo pero' lumi. Queste serre ed il terreno ospitavano una azienda florovivaistica. Le piante in vaso ovviamente non sono oggetto di pignoramento, ma le piante interrate che comunque erano dell'azienda che le coltivava per gli acquirenti, rimangono della stessa azienda? 

 

inexecutivis pubblicato 01 dicembre 2019

A nostro avviso si.

Si tratta, infatti, del "prodotto" dell'azienda, al pari di un qualunque altro manufatto che costituisce il risultato dell'attività produttiva.

Il fatto che siano interrate non può costituire argomento per dire che, in quanto tali, facciano parte del terreno. Si tratta, invero, di una condizione dei luoghi che costituisce il risultato di uno specifico processo produttivo.

avv.38 pubblicato 21 dicembre 2019

Ringrazio vivamente per aver risposto e confermato quanto pensavo. Chiedo un' ultima cosa: l azienda era una ditta individuale, intestata al soggetto proprietario del terreno che vi esercitava tale attivita' vivaistica, oggi chiusa. Tali piante possono essere quindi estirpate prima della consrgna chiavi all'aggiudicatario?

avv.38 pubblicato 21 dicembre 2019

Mi spiego meglio: queste piante prodotto dell azienda, alla chiusura della ditta individuale passano in capo alla persona fisica titolare della ditta individuale, che e' anche esecutato e proprietario del terreno venduto all asta. Mi chiedo: queste piante sono di proprieta di chi ha comprato all asta il terreno (come se si fosse verificata accessione) oppure sono sempre da considerare beni merce e cone tali possono essere venduti separatemente e quindi l esecutato, ormai ex proprietario del terreno, deve' considerare le piante ancora sua proprieta'?

inexecutivis pubblicato 25 dicembre 2019

La richiesta di precisazioni, apparentemente di poco momento, costituisce in realtà il precipitato della discussione intorno alla teoria dei frutti, i cui albori risalgono addirittura alla elaborazione romanistica.

Originariamente nella nozione di frutti rientravano i prodotti organici (come ad esempio i prodotti agricoli), cui il progresso e l’evoluzione economico sociale ha affiancato anche i prodotti inorganici (si pensi ai minerali). Infine le fonti reputarono in loco fructuum il reddito della cosa, introducendosi così la nozione di frutti civili.

Questo primigenio concetto di frutti è stato successivamente contaminato dalle elaborazioni germaniche, che hanno cominciato a dare rilevanza al lavoro dell’uomo, dandosi così compiuto ingresso alla distinzione tra frutti naturali e frutti industriali, solo abbozzata dalla tradizione romanistica, accolta dall’art. 563 del codice francese.

La pandettistica tedesca ha portato alla elaborazione di teorie spesso contrastanti tra di loro, ai cui estremi si trovano da un lato la teoria naturalistica della produzione organica, elaborata da Göppert, e dall’altro quella di Petrazycki, che identificava il frutto con il reddito, prescindendo dunque del tutto dall’elemento naturalistico.

In questo dibattito si inserisce la dottrina italiana, per la quale il frutto è una parte staccata della cosa, che negli usi sociali si considera come il reddito della medesima (è questo il pensiero di Scialoja nella sua Teoria della proprietà nel diritto romano, del 1933) e che prescinde dalla considerazione che a quella produzione abbia concorso o meno l’opera dell’uomo.

Questa nozione è accolta dal codice del 1865 e dal codice attuale, che all’art. 820 considera “frutti naturali quelli che provengono direttamente dalla cosa, vi concorra o no l'opera dell'uomo come i prodotti agricoli, la legna, i parti degli animali, i prodotti delle miniere, cave e torbiere”.

Sono quindi frutti i prodotti agricoli, i parti degli animali, le parti stesse della cosa, come la legna del bosco, ed infine i prodotti inorganici, come i minerali.

Ciò posto, e venendo alla domanda formulata, è evidente che in linea generale, e rimanendo fedeli alla tradizione, le piante interrate dovrebbero considerarsi parti del compendio pignorato, essendo ascrivibili alla nozione di frutti, in forza della previsione dell’art. 2912 c.c.

E tuttavia, dovendo fare i conti con il progresso tecnologico, occorrerebbe chiedersi se questa idea debba essere o meno rimeditata in relazione a quelle produzioni che hanno un tasso di complessità tale per cui esse non possono essere semplicemente considerate come prevenienti direttamente dalla terra, essendo piuttosto il risultato di un articolato processo produttivo rispetto al quale l’opera dell’uomo non semplicemente concorre ma si pone quale condicio sine qua non.

Insomma, gli orizzonti tecnologici aprono scenari del tutto nuovi, certamente non immaginati dai conditores, rispetto ai quali la nozione tradizionale di frutti naturali è sottoposta ad una importante prova di tenuta.

Buon Natale.

avv.38 pubblicato 25 dicembre 2019

Ringrazio per la risposta molto articolata, e ricambio cordialmente gli auguri.

inexecutivis pubblicato 27 dicembre 2019

grazie a lei

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