Tuttavia non è detto che questa sia l'unica soluzione prospettata, potendo venire in considerazione l'istituto dell'accessione, di cui all'art. 938 c.c..
Questa norma infatti dispone che se nella costruzione di un edificio si occupa in buona fede una porzione di fondo attiguo, e il proprietario di questo non fa opposizione entro tre mesi dal giorno in cui ebbe inizio la costruzione, il giudice, tenuto conto delle circostanze, può attribuire al costruttore la proprietà dell'edificio e del suo occupato. In questo caso, prosegue la norma, il costruttore tenuto a pagare al proprietario del suolo il doppio del valore della superficie occupata, oltre all'eventuale risarcimento del danno.
Come si vede, si tratta di una disposizione che è chiamata a regolare le ipotesi di sconfinamento involontario ed in buona fede nell'altrui proprietà, e che attribuisce a colui che ha compiuto lo sconfinamento, la proprietà del suolo occupato ove il proprietario del fondo attiguo non si opponga entro tre mesi dall'occupazione.
Applicando questo istituto al caso sottoposto al nostro esame, l'acquirente aggiudicatario potrebbe chiedere ed ottenere, in un ordinario giudizio di cognizione, l'accertamento dei presupposti di operatività di questa norma e quindi ottenere una sentenza che trasferisca in suo favore l'area restante.
Chiaramente, l'alternativa è quella di abbattere il manufatto abusivo chiedendo, eventualmente attraverso un'azione giudiziale ove il confinante dovesse rifiutarsi in via bonaria, di accedere al fondo per il tempo strettamente necessario alla esecuzione dell'intervento di demolizione.