Cerchiamo di fornire una risposta al quesito posto partendo dai dati normativi e giuisprudenziali che potrebbero venire in rilievo nel caso di specie, per poi evidenziare qualche aspetto più incerto.
Se l’acquirente dovesse subire l’evizione parziale della cosa, troverà certamente applicazione l’art. 2921, a norma del quale “L'acquirente della cosa espropriata, se ne subisce l'evizione, può ripetere il prezzo non ancora distribuito, dedotte le spese, e, se la distribuzione è già avvenuta, può ripeterne da ciascun creditore la parte che ha riscossa e dal debitore l'eventuale residuo, salva la responsabilità del creditore procedente per i danni e per le spese”. Secondo la giurisprudenza (Cass. civ. Sez. I, 09-10-1998, n. 10015) la norma, “consentendo all'aggiudicatario che non riesca a conseguire una parte del bene il diritto a ripetere una parte proporzionale del prezzo di aggiudicazione, impedisce che si verifichi un indebito arricchimento di coloro che dovranno ripartirsi il prezzo ricavato dalla vendita, in applicazione del principio generale della ripetizione dell'indebito.
Peraltro, l'acquirente non può in alcun caso ripetere il prezzo nei confronti dei creditori privilegiati o ipotecari ai quali la causa di evizione non era opponibile; egli potrà agire per arricchimento senza causa verso il debitore o verso il terzo che ha esperito vittoriosamente l'evizione: infatti, il primo ha pagato debiti con denaro altrui, mentre il secondo, in virtù dell'effetto purgativo della vendita, ha evitto un bene libero da vincoli che gli erano opponibili.
Strada alternativa, ma a nostro avviso più incerta, potrebbe essere quella di agire per la risoluzione del contratto ex art. 1497, facendo valere l’aliud pro alio.
Invero, nella giurisprudenza della Corte di Cassazione si va affermando il principio per cui la differenza strutturale tra la vendita forzata e quella negoziale è ostativa all'adozione, per la prima, di una nozione lata di "aliud pro alio", con la conseguenza che la nullità del decreto di trasferimento è ravvisabile solo in caso di radicale diversità del bene oggetto di vendita forzata ovvero se ontologicamente diverso da quello sul quale è incolpevolmente caduta l'offerta dell'aggiudicatario, oppure perché, in una prospettiva funzionale, dopo il trasferimento risulti definitivamente inidoneo all'assolvimento della destinazione d'uso che, presa in considerazione nell'ordinanza di vendita, ha costituito elemento determinante per l'offerta dell'aggiudicatario (Cass. Sez. III, 29 gennaio 2016, n. 1669. Si trattava del caso in cui una unità abitativa la cui inagibilità, dichiarata dal Comune per la presenza di elementi inquinanti, ed emersa solo a seguito di una integrazione della perizia di stima depositata dopo il versamento del prezzo da parte dell'aggiudicatario, ed era solo temporanea per la piena recuperabilità della salubrità dell'immobile).
In un precedente ormai non più recente la cassazione (Sez. I, 9 ottobre 1998 n. 10015) aveva affermato che “L'esclusione della garanzia per i vizi della cosa, prevista dall'art. 2922 cod. civ. in riferimento alla vendita forzata compiuta nell'ambito dei procedimenti esecutivi, si riferisce alle fattispecie previste dagli articoli da 1490 a 1497 cod. civ., e cioè ai vizi della cosa e alla mancanza di qualità, e non riguarda l'ipotesi di "aliud pro alio" tra il bene oggetto dell'ordinanza e quello oggetto dell'aggiudicazione, deducibile anche rispetto alla vendita forzata, con conseguente annullamento della vendita. Tuttavia, nell'ipotesi in cui il bene trasferito sia solo quantitativamente diverso da quello descritto nell'ordinanza di vendita, e la domanda dell'interessato sia diretta semplicemente alla restituzione di parte del prezzo, è escluso il ricorso al rimedio regolato dall'art. 1497 cod. civ. ed il conseguente annullamento della vendita. La parziale inesecuzione del contratto fa sorgere, invero, il diritto dell'acquirente alla ripetizione di parte del prezzo (obbligazione, questa, che si configura come debito di valuta e non di valore), rimedio ammissibile anche in caso di esecuzione forzata. Ed infatti, l'art. 2921, secondo comma, cod. civ., consentendo all'aggiudicatario che non riesca a conseguire una parte del bene il diritto a ripetere una parte proporzionale del prezzo di aggiudicazione, impedisce che si verifichi un indebito arricchimento di coloro che dovranno ripartirsi il prezzo ricavato dalla vendita, in applicazione del principio generale della ripetizione dell'indebito”.
Percorribile ci sembra invece il rimedio dell’art. 1489. Cass. Sez. III, 13 maggio 2003, n. 7294, in tema di trasferimento di un immobile gravato da un diritto di usufrutto ha affermato che, ove ne ricorrano i presupposti, il rimedio esperibile non è quello della garanzia per evizione bensì quello di cui all’art. 1489 c.c.
Pertanto "qualora l’immobile risulti gravato da diritti reali non apparenti, né indicati negli atti della procedura, senza che l’aggiudicatario sia a conoscenza della situazione reale, deve riconoscersi a questi il diritto a far valere non la garanzia per evizione, limitata al solo diritto di proprietà, ma quelle di cui all’art. 1489 c.c., secondo le regole comuni, tenuto conto che tali regole incontrano una deroga nella vendita forzata solo con riguardo alla garanzia per vizi, esclusa dall’art. 2922 c.c. Altrettanto vale con riferimento al caso in cui l’immobile espropriato sia gravato da un diritto personale (nella specie locazione), sottoposto dall’art. 1489 c.c. allo stesso trattamento dei diritti reali" (così si è espressa Cass. civ., 4.11.05, n. 21384).
Resta solo il dubbio relativo alla possibilità che la disciplina dell’1489 sia applicabile integralmente e se, quindi, oltre alla riduzione del prezzo (prevista sia dall’art. 1480 c.c. che dall’art. 2922 c.c.), l’aggiudicatario possa chiedere anche la risoluzione del contratto ove dimostri che non avrebbe acquistato la cosa, se avesse saputo del diritto su di essa insistente.
A nostro avviso la risposta deve essere negativa (per lo meno con riferimento alla evizione parziale) poiché dal confronto dell’art. 2922 con gli artt. 1489, 1480 e 1484 sembra ricavarsi l’affermazione per cui, a differenza di quanto avviene nella vendita ordinaria, in materia esecutiva il legislatore codicistico abbia voluto consapevolmente limitare i mezzi di tutela dell’aggiudicatario, riconoscendogli il solo di ritto ad una riduzione del prezzo.