Grazie in primis per i complimenti.
Venendo al merito delle domande poste, osserviamo quanto segue.
In ordine alla prima, non siamo in grado di fornire una risposta, poiché tutto dipende (salvo che non vi siano questioni particolari) dai carichi di lavoro del singolo magistrato. Si tenga conto, a questo proposito, che essi sono mediamente del tutto esorbitanti ed assolutamente insostenibili, tanto da collocarsi al primo posto in Europa.
Il secondo ed il terzo quesito sono invece decisamente problematici.
A proposito della legge "salva suicidi" riteniamo che si intenda fare riferimento, con questa espressione di stampo giornalistico, alla legge 3/2012.
Orbene, l'art. 10, comma 2 let. c) di questa legge prevede che dopo il deposito della proposta di accordo il giudice, se la ritiene ammissibile, fissa con decreto l'udienza di comparizione delle parti e "dispone che, sino al momento in cui il provvedimento di omologazione diventa definitivo, non possono, sotto pena di nullità, essere iniziate o proseguite azioni esecutive individuali nè disposti sequestri conservativi nè acquistati diritti di prelazione sul patrimonio del debitore che ha presentato la proposta di accordo, da parte dei creditori aventi titolo o causa anteriore; la sospensione non opera nei confronti dei titolari di crediti impignorabili". Stessa disposizione è prevista dall'art. 14 quinquies con riferimento alla liquidazione del patrimonio.
Regola simile (sebbene non identica) è sancita per il piano del consumatore, a proposito del quale l'art. art. 12-bis prevede che il giudice, se la proposta è ammissibile, fissa con decreto l'udienza e dispone la sospensione delle procedure esecutive in corso "quando, [ritiene che] nelle more della convocazione dei creditori, la prosecuzione di specifici procedimenti di esecuzione forzata potrebbe pregiudicare la fattibilità del piano".
Com'è facile vedere, nelle tre disposizioni appena richiamate riecheggia il contenuto dell'art. 168 comma 1 l.fall., il quale in tema di concordato preventivo stabilisce che dalla data di pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese e fino al momento in cui il decreto di omologazione del concordato preventivo diventa definitivo, i creditori per titolo o causa anteriore non possono, sotto pena di nullità, iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore.
L'omologazione determina poi la definitiva improseguibilità delle procedure in corso.
Il problema che allora si pone è quello di stabilire come queste norme operano all'interno della procedura esecutiva, quante volte sia precedentemente intervenuta l'aggiudicazione del bene posto in vendita.
Nel rispondere a questo interrogativo occorre muovere dalla premessa per cui l'esigenza sottesa al conio dell'art. 168 l.fall. (e quindi, evidentemente, degli articoli della legge 3/2012 sopra menzionati) è quella di proteggere il patrimonio dell'imprenditore in crisi dalle iniziative esecutive e cautelari di singoli creditori, per evitare che questo venga dissipato e sottratto allo scopo di essere destinato al soddisfacimento degli interessi dell'intero ceto creditorio. Insomma: poiché il legislatore privilegia l'attuazione del concordato rispetto alla esecuzione individuale (sulla scorta della considerazione per cui il primo si risolve a vantaggio di tutti i creditori) questa deve arrestarsi per garantire che un bene inserito nella proposta concordataria non sia sottratto alle finalità del piano concordatario.
Cristallizzando le posizioni dei creditori e mantenendo l'integrità del patrimonio, si consente quindi al debitore in crisi di predisporre stabilmente la proposta di concordato con il relativo piano e di sottoporli poi all'approvazione dei creditori e alla successiva omologazione del tribunale.
Le disposizioni appena richiamate devono però fare il conto con quanto previsto dagli artt. 629 e 632 c.p.c., nonché dall'art. 187 bis disp. att. cpc.
L'art. 629 statuisce che la rinuncia del creditore intervenuta dopo l'aggiudicazione non è suscettibile di travolgerla, sicché essa rimane ferma.
Similmente, l'art. 632, prevede che se l'estinzione interviene dopo l'aggiudicazione quest'ultima non viene pregiudicata, ed il prezzo ricavato dalla vendita viene restituito al debitore.
Infine, l'art. 187 bis disp. att. c.p.c. cristallizza gli effetti dell'aggiudicazione in tutte le ipotesi di estinzione (tipica o atipica) della procedura.
È chiaro allora si tratta di ricavare la regula iuris che deriva dalla contestuale applicazione di queste norme, le quali conducono, come si vede, a soluzioni opposte.
Invero, ove si privilegiasse la disciplina del tema di sovraindebitamento (e di concordato preventivo) la procedura esecutiva dovrebbe essere in ogni caso travolta, indipendentemente dall'aggiudicazione, posto che gli effetti sospensivi ed interruttivi da essa prevista prescindono dalla considerazione dell'eventuale intervenuta aggiudicazione.
Viceversa, la prevalenza delle disposizioni del codice di rito imporrebbe la salvaguardia dell'aggiudicatario.
Prima di offrire la nostra opinione, ed al fine di meglio esplicitanre le ragioni, riteniamo che il problema vada circoscritto alle ipotesi in cui effettivamente vi sia un conflitto di interessi in gioco.
Invero, se il piano del consumatore o la proposta di accordo prevedessero di liquidare il bene sottoposto ad esecuzione la questione controversa non avrebbe ragione di porsi poiché la tutela dell'aggiudicatario non impedirebbe il perseguimento delle finalità del piano o della proposta; al contrario, la procedura di sovraindebitamento si gioverebbe degli effetti prodotti dall'esecuzione forzata, consentendo di mettere a disposizione del ceto creditorio la somma che già si è ottenuta nell'esecuzione.
Diverso è invece il caso in cui il piano o la proposta contemplassero, ad esempio, di soddisfare i creditori con i canoni derivanti da un contratto di locazione avente ad oggetto proprio il bene frattanto aggiudicato; è evidente infatti che qui delle due l'una: o si privilegia l'interesse all'attuazione del piano o della proposta a scapito dell'aggiudicatario, oppure si vanifica, a tutela di questi, la procedura di sovraindebitamento.
Così delineata la cornice di indagine, siamo dell'avviso che diverse ragioni impongano di mantenere ferma la posizione dell'aggiudicatario.
In primo luogo va detto che le disposizioni sul sovraindebitamento, nel prevedere la sospensione (cui segue la declaratoria di l'improseguibilità in caso di omologazione dell'accordo o del piano) non ne indicano la relativa disciplina, per cui la regolamentazione della sospensione resta dettata dalle norme del codice di procedura civile, ivi compresa quella che salvaguardia l'aggiudicazione.
In secondo luogo riteniamo che la posizione dell'aggiudicatario meriti comunque di essere salvaguardata poiché più vulnerabile rispetto a quella del debitore, il quale se vuole porsi al riparo dagli effetti di una possibile aggiudicazione ha l'onere di attivarsi per tempo.
In terzo luogo osserviamo che l'idea di privilegiare la procedura di sovraindebitamento espone il sistema a fenomeni distorsivi posti in essere dal debitore che, proprio al fine di vanificare l'avvenuta aggiudicazione, presenti una proposta di accordo o un piano.
Infine, ragionando in un'ottica di sistema, osserviamo che nella contrapposizione tra l'interesse dell'aggiudicatario e quello del ceto creditorio vengono in realtà a confrontarsi un interesse pubblico ed un privato. Invero, difronte alle pretese dei creditori non sta tanto (o, comunque, non solo) l'interesse dell'aggiudicatario, ma l'esigenza pubblicistica di garantire stabilità alle vendite forzate, poiché solo la stabilità delle stesse ne garantisce l'affidabilità e quindi realizza il buon funzionamento del sistema della tutela giurisdizionale dei diritti, atteso che maggiore è l'affidabilità della vendita esecutiva, maggiori saranno le possibilità che esse si concludano presto e bene.
Per completezza citiamo il precedente costituito da Cass. civ. Sez. I, 28/06/2002, n. 9488, che ha sostenuto invece la prevalenza dell'effetto sospensivo sull'aggiudicazione, ma riteniamo che si tratti di un indirizzo che oggi possa essere ragionevolmente disatteso, poiché il quadro normativo di riferimento è mutato.