Proviamo a fare chiarezza offrendo il nostro punto di vista.
Se un comproprietario vuole “disfarsi” della sua quota (supponiamo 1/5) di bene comune, ha due strade.
La prima è quella di vendere la quota indivisa. Lo prevede l’art. 1103 c.c., a mente del quale ciascun comproprietario “può disporre del suo diritto e cedere ad altri il godimento della cosa nei limiti della sua quota”. In questo caso, se ad esempio tizio è proprietario di 1/5 di un fabbricato, potrà vendere la sua quota a caio, che diventerà quindi comproprietario di 1/5.
Una seconda possibilità è quella contemplata dall’art. 1111 c.c., il quale dispone che ciascuno dei comproprietari “può sempre demandare lo scioglimento della comunione”.
L’art. 1114 dispone che la divisione ha luogo in natura se la cosa può essere fisicamente divisa in parti corrispondenti al valore delle quote di ciascuno. Così, ad esempio, se si tratta di sciogliere la comunione di un terreno agricolo appartenente a tizio e caio nella misura del 50% ciascuno, se il terreno può essere diviso in due parti di uguale valore, si procederà in questo modo.
Se il bene non è divisibile in natura (perché, ad esempio si tratta di un appartamento), o se tutti i comproprietari sono d’accordo, si procederà alla vendita dell’intero ed alla distribuzione del ricavato tra i comproprietari.
Lo scioglimento della comunione attraverso i modi che abbiamo descritto (divisione in natura o vendita dell’intero e distribuzione del ricavato tra i condividenti) può avvenire percorrendo due distinte strade.
Se tutti i comproprietari sono d’accordo si procederà con uno scioglimento “consensuale” della comunione.
Invece, se anche uno solo non concorda con la soluzione individuata dagli altri comproprietari, colui il quale intende procedere allo scioglimento della comunione dovrà introdurre un giudizio detto “giudizio di scioglimento della comunione” in seno al quale il giudice procederà alla divisione in natura, ove possibile. In caso contrario (o se tutti i comproprietari sono d’accordo) disporrà la vendita all’asta del bene e la distribuzione del ricavato tra i comproprietari.
Quanto alle spese del giudizio esse graveranno su tutti i comproprietari in ragione del valore delle rispettive quote (art. 1115 c.c.). Supponiamo ad esempio che tizio sia proprietario del 60% e caio del 40%. Se il giudizio di scioglimento della comunione costerà 100 (per spese legali, spese di vendita ecc.) tizio sopporterà una spesa di 60, e caio di 40.
Non è invece possibile, che un comproprietario si liberi della quota semplicemente rinunciandovi, poiché la rinuncia non è espressamente prevista come modo di circolazione della proprietà, ed i casi di circolazione della proprietà sono tipici.