Il tema della responsabilità del professionista delegato può senza dubbio alcuno essere considerato un corollario della più ampia tematica sin qui trattata. Ed infatti, la natura giuridica della figura del professionista delegato è determinate sotto il profilo della sua responsabilità.
L'analisi va condotta sul presupposto per cui il professionista delegato è comunque un ausiliario, sebbene sui generis, del Giudice.
In questo senso si è espressa, in tema di peculato, Cass. pen., Sez. VI, 14 ottobre 2009, n. 3872, secondo la quale “Il commissionario per la vendita delle cose pignorate, in quanto esecutore delle disposizioni del Giudice civile ai fini della conversione del compendio pignorato in equivalente pecuniario, esercita, quale ausiliario del Giudice, una pubblica funzione giudiziaria, rivestendo, conseguentemente, la qualità di pubblico ufficiale”.
Muovendo da questo postulato si registrano in argomento due tesi.
Secondo una prima opinione trovano applicazione le norme di cui agli artt. 64 e 67 c.p.c..
L’art. 64 prevede al primo comma l’applicazione al consulente delle disposizioni penali relative ai periti; nel secondo comma considera reato il fatto del consulente che incorra in colpa grave nell’esecuzione dell’incarico, aggiungendo che è comunque dovuto il risarcimento del danno cagionato alle parti.
L’art. 67 prevede al primo comma una pena pecuniaria in caso di non esecuzione dell’incarico assunto; al secondo comma sancisce la responsabilità per danni se la custodia non è esercitata con la diligenza del buon padre di famiglia.
Questa tesi non è condivisa da taluna dottrina, la quale osserva che le norme di cui agli artt. 64 e 67 c.p.c. sono dettate espressamente per il consulente tecnico e per il custode, rispetto ai quali la figura del professionista delegato assume certamente caratteri di specialità. In effetti, pare da escludere l’applicabilità della previsione di cui all’art. 67, specificamente dedicata al custode. Qualche dubbio rimane per l’art. 64, posto che il professionista delegato potrebbe rientrare nella categoria dei consulenti, nei termini in cui essa è definita dall’art. 61, ai sensi del quale “quando è necessario, il Giudice può farsi assistere per il compimento di singoli atti o per tutto il processo, da uno o più consulenti di particolare competenza tecnica”.
Un diverso orientamento invece predica in subiecta materia l’applicazione delle regole comuni, una volta esclusa la operatività degli artt. 64 e 67 del codice di rito.
In realtà, a ben vedere, e limitando l’analisi alle ipotesi di responsabilità civile del delegato, il problema della individuazione delle norme che la disciplinano è più apparente che reale. Invero, sia l’art. 64 che l’art. 67 stabiliscono che il consulente è tenuto al risarcimento del danno causato dalle parti (aggiunge l’art. 67 “…se non esercita la custodia da buon padre di famiglia”).
Se così è, allora, queste norme non fanno altro che specificare le comuni regole della responsabilità civile, con la conseguenza che potrà trovare applicazione l’art. 2043 c.c. Deve solo aggiungersi che accanto a questa norma può certamente operare l’art. 2236 c.c., ai sensi del quale “se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave”. Sulla possibilità che l'art. 2236 c.c. operi anche in ambito di responsabilità aquiliana cfr Cass. civ., sez. III, 20 novembre 1998, n. 11743, secondo la quale "Anche in presenza di responsabilità extracontrattuale del medico (nel caso, dipendente ospedaliero) si applica la limitazione di responsabilità al dolo e alla colpa grave di cui all'art. 2236 cod. civ. se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà.