plusvalenza seconda casa

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  • Ultimo messaggio 14 maggio 2018
renzi_davide pubblicato 07 maggio 2018

Salve,le prospetto una ipotetica situazione.

Due soggetti distinti, acquistano all'asta un immobile, intestato ad entrambi come seconda casa. 

Se tutti e due i soggetti prendono la residenza nella casa acquistata e la utilizzano come abitazione principale per la maggior parte del tempo intercorso tra acquisto e vendita, prima dei cinque anni. Sono esenti dal pagamento della plusvalenza?

Ipotizziamo, che uno dei due soggetti sia sposato in regime di separazione dei beni, mentre l'altro è celibe. E' necessario che entrambe i proprietari debbano prendere la residenza presso l'immobile sopra citato? E  per il soggetto coniugato è indispensabile trasferire la residenza anche di moglie e figlia?

Una volta trasferita la residenza nella seconda casa, ed utilizzata come abitazione principale, le eventuali tasse (imu,tari etc. etc.) vengono applicate sulla stessa, oppure vengono convertite su quella che è l'attuale prima casa esente dalle stesse in quanto tale?

Spero di essere stato chiaro, e ringrazio anticipatamente per la risposta

 

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inexecutivis pubblicato 11 maggio 2018

A nostro avviso la risposta alla domanda si ricava dal citato art. 67, comma 1 let. b) d.P.R. 917/1986.

La norma prevede che soggette a tassazione “le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti da non più di cinque anni, esclusi quelli acquisiti per successione e le unità immobiliari urbane che per la maggior parte del periodo intercorso tra l'acquisto o la costruzione e la cessione sono state adibite ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari, nonché, in ogni caso, le plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione”.

 

La norma esclude l’applicazione della plusvalenza quando il bene rivenduto sia stato adibito ad abitazione principale per la maggior parte del tempo intercorso tra la data di acquisto e quello di rivendita.

L’espressione “maggior parte” a nostro avviso deve essere intesa nel senso che il tempo in cui l’immobile è stato destinato ad abitazione principale deve essere superiore al tempo in cui non lo è stato.

Dal tenore della norma si ricava il dato per cui, a rigore, non è necessario che anche i familiari adibiscano l’immobile ad abitazione principale, poiché questo è un requisito che deve possedere o il cedente oppure i suoi familiari.

Precisiamo che la norma non parla di residenza da di “abitazione principale”. Orbene, è vero che il certificato di residenza attesta il luogo in cui il contribuente ha fissato la sua dimora abituale, ma aggiungiamo che le risultanze dei registri anagrafici forniscono una prova non assoluta della dimora abituale, ma relativa, con la conseguenza che ad esempio l’amministrazione finanziaria potrebbe fornire la prova del fatto che alla residenza anagrafica non corrisponde la residenza effettiva.

Infatti, in giurisprudenza è ormai consolidato il principio per cui Le risultanze anagrafiche rivestono un valore meramente presuntivo circa il luogo dell'effettiva abituale dimora, che è accertabile con ogni mezzo di prova, anche contro le stesse risultanze anagrafiche, assumendo rilevanza esclusiva il luogo ove il destinatario della notifica dimori, di fatto, in via abituale (da ultimo cass., sez. III, 3.8.2017, n. 19387).

renzi_davide pubblicato 12 maggio 2018

La ringrazio infinitamente per la risposta, celere e dettagliata.

inexecutivis pubblicato 14 maggio 2018

grazie a lei

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