Penali per mancato versamento del saldo.

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  • Ultimo messaggio 30 novembre 2019
massimobisi pubblicato 25 novembre 2019

Buonasea. vi chiedo gentilmente un chairimento.

Antefatto: Mi sono aggiudicato l'asta per l'acquisto di un immobile.

Per una seruie di circostanze, non sono riuscito ad ottemperare al versamento del saldo nei termini stabiliti, con conseguente revoca dell'aggiudicazione.

La domanda è: se l'immobile (che è stato rimesso in vendita) verrà aggiudicato ad un prezzo inferiore a quello da me precedentemente offerto, il curatore mi chiederà di rifondere la differenza tra il prezzo da me offerto e quello minore per il quale è avvenuta la vendita sempre e comunque, oppure questa "clausola" doveva essere specificata sull'avviso di vendita ?   

grazie 

 

inexecutivis pubblicato 30 novembre 2019

Dal contenuto della domanda ci sembra di capire che la vendita di cui si parla sia una vendita fallimentare (ci induce a questa considerazione il fatto che si parli di curatore).

Se così è, al fine di rispondere alla domanda posta riteniamo che debbano essere considerati gli artt. 509 e 587 c.p.c., nonché l’art. 177 disp att c.p.c..

L’art. 509 prevede che fa parte della somma da distribuire, tra l’altro, quanto proviene a titolo di “risarcimento di danno da parte dell’aggiudicatario”.

A sua volta, l’art. 587 prevede che l’aggiudicatario decaduto perde la cauzione versata, che viene trattenuta a titolo di multa, ed è tenuto al pagamento della differenza tra vecchio e nuovo prezzo di aggiudicazione.

Infine, l’art. 177 disp. att. c.p.c. prevede che l'aggiudicatario inadempiente è condannato, con decreto del giudice dell'esecuzione, al pagamento della differenza tra il prezzo da lui offerto e quello minore per il quale è avvenuta la vendita, aggiungendo che il decreto del giudice costituisce titolo esecutivo a favore dei creditori ai quali nella distribuzione della somma ricavata è stato attribuito il credito da esso portato.

A proposito di questa norma è comune in dottrina l’affermazione per cui la mera decadenza non basta cagionare un danno alla procedura esecutiva, poiché con la riapertura del procedimento di vendita potrebbe giungersi ad una nuova aggiudicazione per un prezzo pari o superiore a quello non versato dall’inadempiente.

Presupposto della condanna è dunque il conseguimento di un ricavato che, unito alla cauzione confiscata, sia inferiore al prezzo della precedente aggiudicazione.

Solo così l’aggiudicatario inadempiente potrà essere condannato al pagamento di una somma pari alla differenza tra il prezzo da lui offerto e la somma tra il nuovo prezzo di aggiudicazione e la cauzione confiscata (la necessità di considerare anche la cauzione confiscata ci pare vada mantenuta ferma nonostante il fatto che l’art. 177 disp. att. c.p.c. non ne tenga conto, stabilendo che la condanna dell’inadempiente abbia ad oggetto il “pagamento della differenza tra il prezzo da lui offerto e quello minore per il quale è avvenuta la vendita”, poiché si tratta comunque di una posta attiva incassata dalla procedura in conseguenza dell’inadempimento).

Il decreto di condanna “costituisce titolo esecutivo a favore dei creditori ai quali nella distribuzione della somma ricavata è stato assegnato il credito da esso portato” (così l’art. 177 cpv. disp. att. c.p.c.).

In dottrina è stato osservato che si tratta di un titolo esecutivo emesso in incertam personam che, per necessita di essere integrato con il piano di riparto.

Trattandosi di titolo esecutivo emesso nei confronti di un soggetto diverso dal debitore esecutato, va escluso, a nostro avviso, che alla riscossione delle somme provveda la procedura esecutiva tenuto altresì conto dei ritardi che essa arrecherebbe alla chiusura della stessa.

Con il decreto, dunque, il creditore diviene creditore dell’aggiudicatario inadempiente, ma questo non determina, a nostro avviso, una estinzione del debito del debitore esecutato, poiché si tratta di una cessione pro solvendo, conformemente alla previsione di cui all’art. 2928 c.c., secondo la quale “il diritto dell’assegnatario verso il debitore che ha subito l’espropriazione non si estingue che con la riscossione del credito assegnato”.

Taluna dottrina ha poi ritenuto che se tutti i creditori sono stati soddisfatti in sede di riparto, il credito deve essere assegnato al debitore come residuo di liquidazione.

Questa tesi pone qualche dubbio perché l’art. 177 attribuisce efficacia di titolo esecutivo al decreto solo a favore dei creditori insoddisfatti.

Così ricostruito il quadro normativo di riferimento, e venendo alla domanda formulata, osserviamo quanto segue.

Prima della riforma delle procedure fallimentari intervenuta con la novella del 2006, era stato affermato in giurisprudenza che “In tema di vendita coattiva di beni mobili in sede di liquidazione dell'attivo fallimentare, ove il soggetto che abbia proposto l'offerta più vantaggiosa, con il quale il curatore sia stato autorizzato a concludere la vendita, non rispetti la sua proposta, scattano, non già le conseguenze di cui all'art. 1337 c.c. in tema di responsabilità contrattuale, ma quelle previste in materia di procedura espropriativa dall'art. 587 c.p.c., in combinato disposto con l'art. 177 dispattc.p.c. (perdita della cauzione e, ove il prezzo derivante dal nuovo incanto sia inferiore, obbligo di pagare la differenza). Il ricorso a tale forma di autotutela resta legittimo in ogni caso, presumendosi l'imputabilità dell'inadempimento a carico dell'aggiudicatario, salva la prova contraria su quest'ultimo incombente” (Cassazione civile, sez. I, 06/09/2006, n. 19142).

L’affermazione, tenuto conto del contesto normativo di riferimento (ove le vendite si svolgevano secondo le disposizioni del codice di procedura civile) era assolutamente condivisibile, atteso il rinvio compiuto dalla legge fallimentare alle regole della liquidazione previste per l’esecuzione individuale.

A seguito della riforma, le vendite fallimentari sono disciplinate dal novellato art. 107 l.fall., il quale contiene una disciplina solo in parte sovrapponibile con quella esecutiva.

In primo luogo la norma prevede genericamente che le vendite debbano svolgersi mediante “procedure competitive” assicurando adeguate forme di trasparenza e pubblicità, senza prescrivere l’obbligo di osservare le disposizioni di cui al codice di procedura civile.

Il programma di liquidazione, tuttavia, può prevedere che “le vendite dei beni mobili, immobili e mobili registrati vengano effettuate… secondo le disposizioni del codice di procedura civile in quanto compatibili”.

Ciò detto, se è possibile mantenere fermi gli approdi cui era giunta la giurisprudenza con riguardo alle vendite che si svolgono secondo le regole del codice di procedura civile, dubbio è se invece possa applicarsi l’art. 587 c.p.c. (e, conseguentemente, l’art. 177 disp. att. c.p.c.) ai procedimenti di vendita che si svolgono mediante procedure competitive.

La risposta della giurisprudenza, sul punto, sembra affermativa. Così si è espressa Cass. civ. Sez. I, Sent., 05/03/2012, n. 3405, sebbene qui non fosse contestata, ex se, l’applicazione delle citate norme, quanto piuttosto la nozione di prezzo cui la condanna andasse agganciata (se cioè esso andasse parametrato alla gara originaria o a quella successiva apertasi a seguito di offerta in aumento di quinto di cui all’art. 584 c.p.c.).

Nella medesima direzione App. Palermo, 19 ottobre 2011, secondo cui "qualora il soggetto che ha proposto l'offerta più vantaggiosa, con il quale il curatore sia stato autorizzato a concludere la vendita, non rispetti la sua proposta, si determinano non le conseguenze previste dall’art. 1337 c.c., in tema di responsabilità contrattuale, ma quelle sancite in materia di procedura espropriativa. In particolar modo, occorre far riferimento all’art. 587 c.p.c. in combinato disposto con l’art. 177 disp. att. c.p.c.”., e trib Bologna Tribunale Bologna Sez. II, Sent., 20/01/2017.

Ancora più esplicita, con riferimento anche alle procedure competitive, Cass. civ. Sez. I, 16-05-2018, n. 11957, con riferimento al caso in cui si discuteva se fosse o meno possibile, per la curatela fallimentare, incamerare la cauzione prestata da colui che, scelto tramite procedura competitiva, non addivenga, poi, alla stipula del contratto di affitto di azienda cui quella procedura era propedeutica.

In questa sentenza la corte, dopo aver rimarcato che, in linea generale, la dottrina e la giurisprudenza appaiono sostanzialmente concordi nell'evidenziare la funzione di garanzia della cauzione, ravvisandovi il comune denominatore delle molteplici forme in cui tale istituto si presenta nella destinazione delle somme a restare acquisite in caso d'inosservanza degli obblighi a presidio dei quali ne è stata imposta la consegna, ha sostenuto che la cauzione versata per la partecipazione ad una procedura competitiva, pur essendo funzionale al successo dell'operazione, non per questo si sottrae al rischio dell'insuccesso, che è anzi ontologicamente implicito nell'assunzione stessa della garanzia come evento speculare, ma ugualmente prevedibile, rispetto al successo del divisato programma.

Ha ancora osservato che il versamento della cauzione, assicurando la serietà della proposta ed eventualmente aggiungendosi alle garanzie prestate per l'adempimento delle prestazioni offerte, trasferisce a carico del proponente il rischio della mancata attuazione, cui fa seguito, di regola, l'incameramento della somma versata ove lo stesso non dimostri che la mancata stipulazione dell'atto contrattuale sia stata dovuta a causa a lui non imputabile.

Fatte queste premesse generali, la pronuncia osserva che questi principi appaiono destinati ad un'applicazione ancora più pregnante in ambito concorsuale, al cui interno la novella di cui ai d.lgs n. 5 del 2006 e n. 169 del 2007 ha oggi innegabilmente attribuito un ruolo assolutamente primario alle cd. procedure competitive: criterio indeterminato e privo di ogni riferimento ad un qualsiasi sistema processuale, il cui elemento caratterizzante, ed al tempo stesso limite, sta nell'ampia discrezionalità e varietà di forme consentite per l'apertura al mercato ed alla competizione tra offerenti, senza che tale nozione si innesti su un determinato modello predisposto o comunque individuato (anche mediante rinvio) dal legislatore.

Il riconoscimento della possibilità, da parte di chi abbia la gestione di procedure concorsuali, di incamerare definitivamente la cauzione prestata da colui che, scelto tramite procedura competitiva, non addivenga, poi, alla stipula dell'atto cui quest'ultima era propedeutica, risponde, invero, ad ineludibili esigenze pubblicistiche e di interpretazione sistematica dell'ordinamento, ed è altresì imposto dalla necessità di scongiurare, nel peculiare ambito suddetto, il verificarsi di comportamenti potenzialmente idonei ad incidere negativamente sull'efficace conduzione di procedure concorsuali, nonché sulla loro ragionevole durata.

In particolare, nella procedura fallimentare (in cui, nella specie, si è svolta la procedura competitiva che ha originato l'odierna lite), il tratto distintivo dell'amministrazione dei beni ivi sottoposti ad esecuzione sta nel fatto che il curatore è dotato di poteri negoziali che debbono esplicarsi secondo criteri di utilità economica ed in modo da non contrastare con le esigenze di speditezza ed efficienza. Tali poteri dispositivi non sono circoscritti alla mera attività liquidatoria e si concretizzano nella possibilità di stipulare contratti per conto e nell'interesse della massa, purchè siano indirizzati alla produzione di effetti accrescitivi o comunque non riduttivi della garanzia patrimoniale; effetti dei quali non solo la massa, ma anche lo stesso fallito si gioverà in termini di più favorevole definizione della procedura. Il curatore fallimentare svolge, quindi, anche un'attività diretta alla conservazione dei beni che costituiscono la garanzia del soddisfacimento dei creditori e, nei limiti del possibile (e dell'economico), al mantenimento in vita delle strutture organizzative economicamente rilevanti al fine di riallocarle nel mercato attraverso l'eventuale trasferimento ad altri imprenditori.

In questa prospettiva è decisivo, secondo la corte, il rilievo che anche la vendita competitiva esige che il contratto venga stipulato adottando una serie di misure di sicurezza nella previsione di clausole, condizioni e regole contrattuali finalizzate ad una corretta e proficua utilizzazione dell'istituto.

Proprio da ciò, allora, discende, alla stregua di ineludibili esigenze pubblicistiche e di interpretazione sistematica dell'ordinamento, il dover riconoscere al curatore la possibilità di incamerare la cauzione prestata da colui che, scelto tramite procedura competitiva, non addivenga, poi, alla stipula del contratto.

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