L’opinione che ha espresso il suo avvocato ci sembra corretta e condivisibile.
Certamente, a nostro avviso, il decreto di trasferimento non può essere messo in discussione, tanto meno per le ragioni sollevate dall’opponente.
In primo luogo la contestazione della perizia ci sembra tardiva, poiché intervenuta ben oltre il termine di cui all’art. 617 c.p.c., a meno che il debitore non provi di non aver mai avuto contezza, in alcun modo, né direttamente né indirettamente, della medesima.
Anche l’assunto per cui il prezzo di vendita sarebbe troppo basso ci sembra strumentale.
Invero, una opposizione di tal fatta potrebbe essere accolta, ove fondata, soltanto qualora si dimostrasse che l’aggiudicazione è intervenuta per un prezzo notevolmente inferiore a quello giusto ai sensi dell’art 586 c.p.c., il quale dispone che la vendita può essere sospesa dal Giudice dell’esecuzione allorquando il prezzo di aggiudicazione sia notevolmente inferiore a quello giusto.
Si tratta, tuttavia, di una ipotesi statisticamente piuttosto rara.
Il Giudice dell’esecuzione normalmente non esercita questo potere poiché l’aggiudicazione dell’immobile è un evento importante, essendo quello attorno al quale ruota il procedimento esecutivo, e la sua revoca comporta la sostanziale vanificazione di tutta l’attività compiuta sino a quel momento.
In ogni caso, si tratta di una facoltà che comunque, anche in considerazione dello stringente dato normativo, va esercitata cum grano salis.
In primo luogo, si tratta circoscrivere la portata della nozione di “giusto prezzo” recata dalla disposizione in parola.
In questa direzione è significativo che il testo dell’attuale art. 586 risulti dalle modifiche apportate dall'art. 19-bis della legge 203 del 1991(recante ("provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento dell'attività amministrativa"), dal che si ricava il precipitato per cui esso, sebbene formalmente modellato sulla previsione di cui all'art. 108 della legge fall., persegue lo scopo di contrastare tutte le possibili interferenze illegittime nel procedimento di determinazione del prezzo delle vendite forzate immobiliari.
Ed allora, il “prezzo giusto” è quello che in sede di vendita esecutiva si sarebbe conseguito in condizioni di non interferenza di fattori devianti, con l’ulteriore conseguenza che la vendita può essere sospesa quando il prezzo di aggiudicazione sia notevolmente inferiore a quello.
In siffatti termini si è espressa la giurisprudenza, osservando che “La norma di cui all'art. 586 cod. proc. civ. (come novellata dall'art. 19-bis della legge 203 del 1991), secondo cui il giudice dell'esecuzione "può sospendere la vendita quando ritiene che il prezzo offerto sia notevolmente inferiore a quello giusto", è formalmente modellata su quella di cui all'art. 108 della legge fall., ma persegue lo scopo di contrastare tutte le possibili interferenze illegittime nel procedimento di determinazione del prezzo delle vendite forzate immobiliari, attesane la collocazione nel più generale contesto della citata legge n. 203 del 1991, ("provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento dell'attività amministrativa"). Ne consegue che l'individuazione della nozione di "giusto prezzo" presuppone una ineludibile comparazione tra dati costituiti dal prezzo concretamente realizzato con l'aggiudicazione e da quello che invece, in condizioni di non interferenza di fattori devianti, sarebbe stato conseguito nella procedura di vendita così come concretamente adottata e normativamente disciplinata (senza che, peraltro, possa costituire utile o vincolante parametro il prezzo di mercato), così che, per disporsi la sospensione, la differenza tra le due entità dovrà evidenziarsi in termini di "notevole inferiorità", secondo criteri da adattarsi di volta in volta al caso concreto nel quadro di quell'esigenza di contrasto delle illegalità perseguita dalla norma”. (Cass. Sez. 3, 23.2.2010, n. 4344 del 23/02/2010), e che “Il potere di sospendere la vendita, attribuito dall'art. 586 c.p.c. (nel testo novellato dall'art. 19 bis della legge n. 203 del 1991) al giudice dell'esecuzione dopo l'aggiudicazione perché il prezzo offerto è notevolmente inferiore a quello giusto, può essere esercitato allorquando: a) si verifichino fatti nuovi successivi all'aggiudicazione; b) emerga che nel procedimento di vendita si siano verificate interferenze illecite di natura criminale che abbiano influenzato il procedimento, ivi compresa la stima stessa; c) il prezzo fissato nella stima posta a base della vendita sia stato frutto di dolo scoperto dopo l'aggiudicazione; d) vengano prospettati, da una parte del processo esecutivo, fatti o elementi che essa sola conosceva anteriormente all'aggiudicazione, non conosciuti né conoscibili dalle altre parti prima di essa, purché costoro li facciano propri, adducendo tale tardiva acquisizione di conoscenza come sola ragione giustificativa per l'esercizio del potere del giudice dell'esecuzione. (Sez. 3, Sentenza n. 18451 del 21/09/2015).