L’Agenzia delle Entrate, con la risoluzione 158/E del dell’11 novembre 2005 (pronunciata a seguito di una istanza di interpello concernente proprio gli obblighi tributari del custode giudiziario nel caso di incasso di canoni derivanti dalla locazione di immobili pignorati) ha premesso che nel caso di pignoramento non si determina alcuna modificazione soggettiva nella titolarità del diritto di proprietà sui beni, ed il custode agisce in sostituzione dell’esecutato. In particolare, secondo l’Agenzia, la custodia giudiziaria è strettamente connessa, sul piano funzionale, all’atto di pignoramento, realizzando sul versante fattuale il vincolo di indisponibilità che esso determina. Essa, pertanto, non determina alcuna modifica della titolarità dei beni e dei frutti che ne sono oggetto, e quindi il custode non assume la proprietà dei beni in custodia, ma si limita alla loro gestione.
Da queste premessa si ricaverebbe allora che soggetto passivo dell’obbligazione tributaria è pur sempre il debitore esecutato, sia ai fini IVA (a proposito della quale l’Agenzia ha ritenuto che in capo all’esecutato permane l’obbligo di liquidazione, versamento e dichiarazione del tributo, mentre obbligato a emettere fattura, in sostituzione del contribuente, sia il custode - poiché l’emissione della fattura è strettamente funzionale all’apprensione dei canoni locatizi - cui il custode deve trasmettere, oltre all’importo del tributo incassato, copia della fattura, a meno che l’esecutato non si renda irreperibile, nel qual casa sarà il custode giudiziario a versare l’IVA direttamente all’Erario), sia ai fini IRPEF.
A fronte della netta posizione espressa dall’Agenza delle entrate, nella giurisprudenza di legittimità si registrano orientamenti non consonanti.
In materia di IRPEF, la tesi patrocinata dall’amministrazione finanziaria è stata sostenuta da Cass., sez. V, 25 settembre 2006, n. 20764, secondo la quale “In tema di imposte sui redditi, il reddito fondiario derivante dalla locazione di un immobile sottoposto a pignoramento concorre alla formazione del reddito del debitore esecutato, indipendentemente dalla percezione dei canoni, a norma dell’art. 23 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, in quanto, se, in base all’art. 2912 cod. civ., il pignoramento comprende i frutti della cosa pignorata, sicché i suoi effetti si estendono, nel caso di pignoramento immobiliare, ai canoni di locazione maturati successivamente al perfezionamento del vincolo, nondimeno i canoni stessi appartengono, come l’immobile, fino alla vendita coattiva, al debitore esecutato, cui sarà restituito l’eventuale residuo del ricavato della vendita e delle rendite maturate.
Diverso principio è stato invece espresso da Cass., 8 marzo 2006, n. 4943, ove si è ritenuto che “In tema di IRPEF … in caso di sequestro conservativo di immobili, il debitore nominato custode non può considerarsi titolare di alcun reddito proveniente dagli stessi, poiché i frutti civili sono sottratti alla sua disponibilità, ai sensi dell’art. 559 cod. proc. civ., richiamato dal successivo art. 679, e l’obbligo legale di rendiconto prescritto dall’art. 560 impone l’esclusione di tali frutti dalla base imponibile, ai sensi dell’art. 3, primo comma, del d.P.R. n. 597 del 1973, a tenore del quale l’imposta si applica sul reddito complessivo netto formato da tutti i redditi del soggetto passivo, compresi i redditi altrui dei quali egli ha la libera disponibilità o l’amministrazione senza obbligo della resa dei conti”.
Tale ultimo assunto è stato più recentemente ripreso da Cass., 11 novembre 2011, n. 23620, la quale ha ribadito che “in tema di Irpef, l’intestatario di un immobile sottoposto a sequestro giudiziario [ma le argomentazioni spese valgono tal quali a proposito del pignoramento] non può considerarsi titolare di alcun reddito proveniente dall’immobile in questione, poiché i canoni, ed in generale tutti gli altri frutti civili, sono nella disponibilità del custode, ai sensi dell’art. 560 c.p.c., richiamato dal successivo art. 676, e l’obbligo legale di rendiconto, prescritto a carico del custode dall’art. 593 c.p.c., impone l’esclusione di tali frutti dalla base imponibile dell’intestatario medesimo, ai sensi dell’art. 3, comma 1, d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917 a tenore del quale «l’imposta si applica sul reddito complessivo netto del soggetto, formato... da tutti i redditi posseduti». (In applicazione del principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva annullato un avviso di accertamento in relazione all’omessa contabilizzazione da parte del proprietario di canoni locativi, riscossi dal custode dell’immobile sottoposto a sequestro giudiziario).
Secondo questi arresti, cioè, i canoni di locazione non costituiscono reddito imponibile ai fini IRPEF, poiché ai sensi degli artt. 1 e 3 d.P.R. 917/1986 il presupposto impositivo è il “possesso” di un reddito, il che secondo la sentenze da ultimo citate non avviene in occasione del sequestro (ma chiaramente lo stesso vale per il pignoramento) poiché la disponibilità dei canoni di locazione è in capo al custode, ausiliario del giudice investito di un munus pubblico in funzione del superiore interesse della giustizia.
Le conclusioni cui è giunta la giurisprudenza meritano di essere condivise (né si pongono in contrasto con quanto affermato, in materia di IMU, da Cass. Sez. 6 - 5, 7 marzo 2013 n. 5736, poiché quella è una imposta indiretta che prescinde dal possesso di un reddito ma presuppone, sic et sempliciter, la titolarità del bene), soprattutto con riferimento alle locazioni stipulate direttamente dal custode, dopo il pignoramento, su autorizzazione del giudice, poiché rispetto ad esse non si pone neppure il problema del possibile rinvio all’art. 26 del TUIR, in quanto il debitore non è stato, né sarà mai, parte del contratto, e quindi i canoni non potranno essere per lui considerati reddito imponibile neanche sulla scorta della citata ultima disposizione.
Il dubbio resta rispetto al momento della distribuzione del ricavato, poiché con il pagamento del creditore i frutti vengono comunque destinati all’adempimento delle obbligazioni per cui, in quel momento, entrano a far parte del patrimonio del debitore, per essere destinati al pagamento dei suoi debiti.
In definitiva, il nostro suggerimento è comunque quello di eseguire la comunicazione, affinchè il debitore possa decidere il da farsi.