Per rispondere all’interrogativo posto occorre muovere dalla previsione per cui il pignoramento successivo la cui legittimità è riconosciuta, in generale, dall’art. 493, comma secondo, c.p.c., viene concepito, dal legislatore, alla stregua di un atto di intervento.
Lo si ricava dall’art. 561 c.p.c., a mente del quale l’atto di pignoramento successivo è inserito nel fascicolo formato in base al primo pignoramento, e viene considerato alla stregua di un intervento tempestivo o tardivo a seconda del momento in cui viene eseguito, anche se l’indipendenza di ogni pignoramento rispetto all’altro fa sì che la caducazione di uno di essi non infici l’intera procedura, nel che si sostanzia la differenza tra il pignoramento successivo e l’intervento (così Cass., sez. U, 7 gennaio 2014, n. 61).
La norma, (così come gli artt. 524 e 550 c.p.c. dettati, rispettivamente, per l’espropriazione mobiliare e presso terzi) è evidentemente dettata dall’esigenza di scongiurare il pericolo che il bene sia venduto più volte in procedure diverse.
Il collegamento tra i diversi pignoramenti, e la riunione degli stessi nella procedura più risalente, è assicurata dalla disposizione in parola attraverso la previsione per cui “il conservatore dei registri immobiliari, se nel trascrivere un atto di pignoramento trova che sugli stessi beni è stato eseguito un altro pignoramento, ne fa menzione nella nota di trascrizione”, sicché sia il creditore pignorante successivo che il cancelliere, cui compete l’inserimento del secondo pignoramento nel fascicolo dell’esecuzione formato in base al primo (se non vi provvede, secondo Cass., sez. III, 4 ottobre 2010, n. 20595, il compito spetta al giudice dell’esecuzione), sono avvertiti.
Applicando al caso prospettato le richiamate premesse, ci sembra di poter dire che la vendita rimarrà assolutamente salva, a meno che nella esecuzione scaturita dal precedente pignoramento il bene non sia stato, nel frattempo, venduto ad un altro aggiudicatario.
In caso contrario il problema non si pone.