Rispondiamo a questa domanda osservando che la norma non disciplina il caso prospettato, che presuppone un solo aggiudicatario inadempiente, e quindi la risposta deve essere fornita attraverso una ricostruzione sistematica delle norme di riferimento.
Come detto, l’art. 587 c.p.c. prevede che l’aggiudicatario decaduto perde la cauzione versata, che viene trattenuta a titolo di multa, ed è tenuto al pagamento della differenza tra vecchio e nuovo prezzo di aggiudicazione.
Questo pagamento è dovuto in forza del decreto di cui all’art. 177 disp. att. c.p.c. con il quale il Giudice dell’esecuzione condanna l’aggiudicatario inadempiente al pagamento della differenza tra il prezzo da lui offerto e quello minore per il quale è avvenuta la vendita.
La norma precisa che il decreto del giudice costituisce titolo esecutivo a favore dei creditori ai quali nella distribuzione della somma ricavata è stato attribuito il credito da esso portato.
Sulla scosta di questi dati riteniamo che se più aggiudicatari decadono dall’aggiudicazione, ciascuno di essi sarà condannato al pagamento della differenza tra il prezzo cui si è aggiudicato il bene e quello di effettiva aggiudicazione, con la precisazione che ai fini della condanna andrà tenuto conto delle cauzioni da entrambi versate.
Gli aggiudicatari decaduti diventeranno così obbligati in solido nei confronti dei creditori incapienti (in forza del principio generale di solidarietà passiva nelle obbligazioni enunciato dall’art. 1294 c.c.), nei limiti in cui il loro debito coincide, ed il soggetto che è stato chiamato ad adempiere potrà agire di regresso per la metà nei confronti dell’altro aggiudicatario.
Quanto all’ipotesi in cui il bene resti definitivamente invenduto, riteniamo che occorra preliminarmente distinguere i casi in cui all’estinzione della procedura si giunga per causa imputabile alle parti (rinuncia agli atti o inattività) da quelli in cui invece l’esecuzione si arresti per fatto ad esse non ascrivibile (si pensi ad una declaratoria di chiusura anticipata della procedura per infruttuosità ai sensi dell’art.164-bis disp. att. c.p.c., o al perimento del bene). È chiaro infatti che nella prima ipotesi non potranno farsi ricadere sull’aggiudicatario inadempiente le conseguenze della scelta o della negligenza delle parti, sicché la possibilità di pronunciare il decreto di condanna va esclusa.
Più incerto appare lo scenario in cui alla declaratoria di improseguibilità si giunga per fattori esogeni alla sfera di controllo delle parti.
Prima facie si potrebbe dire che in questo caso la possibilità di pronunciare il decreto va a maggior ragione riconosciuta tenuto conto delle più gravi conseguenze che l’inadempimento ha prodotto; se infatti il decreto compensa la perdita subita per effetto del mancato versamento del saldo, la sua pronuncia si impone a fortiori quando questa perdita è massima.
Questi argomenti, certamente condivisibili e coerenti rispetto alla ratio della disposizione non paiono tuttavia condivisibili de iure condito, poiché lo scenario fattuale contemplato dalle norme sopra richiamate non contempla il caso del cespite rimasto invenduto. Invero, ove si osservi la disposizione, si vede che essa ipotizza una successiva vendita del bene cui sia seguita una distribuzione del ricavato la quale abbia lasciati insoddisfatti uno o più creditori, la qualcosa non accade nel caso di improseguibilità; se ne deve allora ricavare che in queste circostanze il decreto non può essere emesso (in questi termini registriamo una decisione del Tribunale di Mantova dell’ 11 maggio 2020).