inexecutivis
pubblicato
18 ottobre 2020
L’atto d’obbligo costituisce, nella elaborazione giurisprudenziale, una obbligazione propter rem, che in quanto tale vincola anche i successivi acquirenti.
In questi termini si è espressa, ad esempio Cass. civ. Sez. II Sent., 20/11/2006, n. 24572, secondo la quale “Il c.d. atto d'obbligo, con il quale il proprietario-costruttore si sia impegnato, nei confronti del Comune, ai fini del rilascio della concessione edilizia, a conferire una particolare destinazione a determinate superfici, non può essere inquadrato nel contratto a favore di terzi, non solo perché non costituisce un contratto di diritto privato, ma anche perché non ha neppure la specifica autonomia e natura di fonte negoziale di un regolamento dei contrapposti interessi delle parti stipulanti, configurandosi semplicemente come atto intermedio del procedimento amministrativo volto al conseguimento del provvedimento concessorio finale, dal quale promanano soltanto poteri autoritativi della p.a., senza alcuna possibilità per i terzi privati di accampare diritti sulla base di esso. Per il rispetto dell'obbligo di destinazione assunto dal proprietario-costruttore, salvo che non sia stato da questi trasfuso in una disciplina negoziale all'atto del trasferimento della proprietà delle unità immobiliari da lui realizzate, i singoli condomini non hanno dunque alcuna azione, né tantomeno questa può essere riconosciuta ai sensi dell'art. 872 cod. civ., fermo il diritto al risarcimento del danno nel caso in cui l'inosservanza dell'obbligo si risolva in una violazione delle norme urbanistiche”.
Lo stesso dicasi per le così dette “cessioni di cubatura”.