LL'art. 179, let. f) c.c. all'ultimo comma prevede che sono esclusi dalla comunione le ipotesi di esclusione dei beni acquistati da un coniuge con i proventi derivanti dalla vendita di beni personali,dal regime di comunione legale dei beni, a condizione che questa circostanza sia espressamente indicata nell’atto e che in esso intervenga anche l’altro coniuge.
È discusso se questa ipotesi ricorra quando il bene sia acquistato con i proventi di un contratto di mutuo stipulato solo da un coniuge.
I dubbi nascono dal fatto che la lettera f) fa riferimento ai "beni acquistati con il prezzo del trasferimento dei beni personali sopraelencati o col loro scambio", laddove invece la somma mutuata pur dovendosi ritenere personale (in quanto l’immobile non sarà di proprietà di entrambi i coniugi), non deriva dal trasferimento di beni personali.
Taluni hanno in passato ritenuto che in questo caso l’unica possibilità per escludere il bene dalla comunione è quella di far ricorso alla figura del rifiuto del coacquisto, cui aveva fatto riferimento Cass. 2 giugno 1989, n. 2688.
Si tratta di una prospettazione ricostruttiva che presupponeva che alla dichiarazione del coniuge non acquirente intervenuto nell’atto fosse da ascriversi natura negoziale, la quale tuttavia non è stata seguita da una parte della giurisprudenza successiva ed è stata poi definitivamente superata dalle sezioni unite, che con la sentenza n. 22755 del 28 ottobre 2009, con la quale si è affermato che “Nel caso di acquisto di un immobile effettuato dopo il matrimonio da uno dei coniugi in regime di comunione legale, la partecipazione all'atto dell'altro coniuge non acquirente, prevista dall'art. 179, secondo comma, cod. civ., si pone come condizione necessaria ma non sufficiente per l'esclusione del bene dalla comunione, occorrendo a tal fine non solo il concorde riconoscimento da parte dei coniugi della natura personale del bene, richiesto esclusivamente in funzione della necessaria documentazione di tale natura, ma anche l'effettiva sussistenza di una delle cause di esclusione dalla comunione tassativamente indicate dall'art. 179, primo comma, lett. c), d) ed f), cod. civ., con la conseguenza che l'eventuale inesistenza di tali presupposti può essere fatta valere con una successiva azione di accertamento negativo, non risultando precluso tale accertamento dal fatto che il coniuge non acquirente sia intervenuto nel contratto per aderirvi”.
Con specifico riferimento, poi, al danaro personale, Cass. 27 febbraio 2003, n. 2954 , ha affermato che la qualità di bene "personale" e la conseguente esclusione della comunione, nel caso preveduto dall'articolo 179, comma 1, lett. f), c.c., non conseguono per il semplice fatto che il bene sia stato acquistato con denaro proprio di uno dei coniugi; essendo invece necessario, affinché tale esclusione si verifichi, che l'acquisto sia stato effettuato con denaro proveniente dalla vendita di beni personali o mediante la permuta con altri beni personali.
L’orientamento sembra condivisibile.
Invero, dalla lettura dell’art. 177, comma primo let. a) si ricava l’idea per cui il legislatore ha ritenuto quale regola generale che l’acquisto separato da parte di un coniuge si ripercuote nella sfera giuridica del coniuge non acquirente, salvi i casi tassativamente indicati dalla stessa norma.
Per questo stesso motivo, la cassazione (Cass., 24 maggio 2005, n. 10896) ha anche affermato che gli acquisti compiuti tramite i proventi dell'attività separata di uno dei coniugi sono oggetto di comunione legale ai sensi dell'art. 177 primo comma lettera a).
Non resta dunque che seguire il consiglio del notaio.