VENDITA PRE-ASTA O PROPOSTA TRANSATTIVA

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anna7 pubblicato 04 aprile 2018

Buongiorno, è possibile:

- avendo diritto di prelazione sull'immobile all'asta

- avendo ottenuto il riconoscimento tramite sentenza di un credito sul passivo

fare una proposta d'acquisto prima che esca il bando d'asta (ne hanno già fatte 2 e sono andate deserte) in cui si tenta un accordo sul prezzo rinunciando al credito e alla causa contro la curatela? Se sì, ci sono articoli di legge a cui appellarmi per far considerare la possibilità di vendere l'immobile in questo modo?

Grazie.

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inexecutivis pubblicato 09 aprile 2018

Per rispondere alla domanda formulata dobbiamo premettere che quanto ci accingiamo a dire vale esclusivamente per le vendite che si celebrano in ambito fallimentare, in cui sembra rientrare il caso prospettato.

In sostanza, si chiede se un creditore, in seno ad una procedura fallimentare, possa chiedere l’assegnazione di un bene piuttosto che partecipare alla distribuzione dell’attivo realizzato.

La questione è quella, discussa in dottrina, dell’applicabilità dell’istituto dell’assegnazione, che è disciplinato dagli artt. 505, 506, 588 e 589 c.p.c. in seno al fallimento.

Orbene, la risposta deve essere tendenzialmente, e salve le precisazioni che faremo, negativa.

Nella sentenza n. 5069 del 22.7.1983, la Sezione prima della Corte di Cassazione ha statuito che “Nella procedura fallimentare non è applicabile l'istituto dell'assegnazione dei beni, di cui alla disciplina dell'esecuzione forzata contenuta nel codice di rito, ostandovi - oltre il sistema di liquidazione dell'attivo delineato dalla legge fallimentare, il quale tende alla trasformazione in danaro dei beni del fallito per il successivo riparto tra i creditori - la compiutezza della normativa fallimentare sulle vendite, escludente il ricorso all'analogia, ed il principio della par condicio creditorum, che sarebbe violato dalla preferenza accordata al creditore assegnatario, nonché, per la cosiddetta assegnazione-vendita, la sua incompatibilità con la struttura del fallimento, che per la liquidazione degli immobili del fallito prevede un formalismo più intenso rispetto a quello richiesto dal codice di rito”.

Alla stessa conclusione, sebbene attraverso una trama motivazionale parzialmente diversa, è giunta la giurisprudenza di merito, secondo la quale “Nella procedura fallimentare non è applicabile, in tema di liquidazione dell’attivo, la disciplina ordinaria del codice di rito circa l’assegnazione forzata, giacchè il richiamo alle norme del codice di procedura civile - in quanto compatibili - è circoscritto a quelle concernenti la vendita di beni mobili o immobili” (Trib. Roma, 17.4.1996).

Non v’è dubbio che la tesi della perimetrazione dell’istituto dell’assegnazione nella cornice della (sola) esecuzione individuale poggia su argomenti affatto peregrini, di indubbia consistenza normativa e sistematica.

In primis et ante omnia è imprescindibile la constatazione dell’assenza di ogni riferimento ad esso nel corpo della legge fallimentare, che disciplina la fase della liquidazione dell’attivo come una procedura di “vendita”, la quale si impone come concettualmente distinta dall’assegnazione, sia da un punto di vista eziologico che normativo: prova ne sia, a tacer d’altro, la quarta sezione del titolo secondo del libro quarto del codice di rito, intitolato “della vendita e dell’assegnazione”.

È indubitabile inoltre che il legislatore fallimentare, nel richiedere che le vendite si svolgano attraverso “procedure competitive”, si sia mosso nell’ottica (e non potrebbe essere altrimenti) di orientare la liquidazione dell’attivo al più alto realizzo possibile, e ciò attraverso meccanismi sì deformalizzati, ma che devono trovare nella “massima informazione e partecipazione degli interessati” il loro criterio regolatore di fondo.

Non può poi essere trascurato che uno degli assiomi della procedura fallimentare è il rispetto della par condicio creditorum, di cui costituisce declinazione, tra l’altro, proprio la ritenuta inapplicabilità dell’istituto dell’assegnazione, di cui agli artt. 505 e seguenti c.p.c..

Questi dunque, in estrema sintesi, i grimaldelli che tradizionalmente serrano l’ingresso della disciplina dell’assegnazione dei beni ai creditori nell’ambito della procedura fallimentare, (ed ai quali anche la giurisprudenza surrichiamata, sostanzialmente si richiama), dai quali peraltro deve ricavarsi il precipitato che il giudizio di chiusura non può mutare ove il programma di liquidazione preveda che la vendita dei beni si celebri “secondo le disposizioni del codice di procedura civile, in quanto compatibili”: invero, la circostanza per cui la liquidazione si dipani secondo la disciplina del codice di rito piuttosto che mediante procedure competitive: lascia immutato il riferimento alla “vendita”, che è cosa diversa dall’assegnazione; non deroga, ed anzi corrobora, il principio della massima partecipazione degli interessati; è elemento neutro rispetto alla esigenza di tutela del principio di pari trattamento del ceto creditorio.

Tanto detto, riteniamo che il giudizio di preclusione dell’applicabilità dell’istituto dell’assegnazione dei beni ai creditori alla procedura concorsuale possa essere fondatamente rimeditato sebbene, sia chiaro, non vi siano affatto spazi per un suo puro e semplice trapianto da una sede all’altra, rimanendo la praticabilità di questo sentiero circoscritta al combinato ricorrere di presupposti rigorosi, da scandagliarsi caso per caso.

In limine litis occorre ricordare che la vendita dei beni non costituisce dogma immutabile della fase liquidatoria; ne è la prova la previsione di cui all’art. 104 ter, comma 8, l.fall., a mente del quale “Il curatore, previa autorizzazione del comitato dei creditori, può non acquisire all'attivo o rinunciare a liquidare uno o più beni, se l'attività di liquidazione appaia manifestamente non conveniente”. Dunque, sulla scorta di questa norma, è possibile procedere alla derelictio dei cespiti la cui acquisizione all’attivo o la cui vendita sarebbe antieconomica, tenuto conto del rapporto costi/ricavi; il che vuol dire, detto altrimenti, che la procedura liquidatoria deve essere “efficiente”, o meglio, non manifestamente inefficiente, sulla scorta di una valutazione prognostica.

Altro preliminare elemento del quale, a nostro avviso, necessita tenere debitamente conto è che il legislatore reputa ormai il fattore tempo come valore in sé, tale per cui la durata del procedimento giurisdizionale costituisce parametro di bilanciamento degli interessi delle stesse parti processuali, sicché il perdurare del giudizio è legittimo nella misura in cui si giustifica in funzione della esistenza di posizioni soggettive che, oltre ad essere meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico, siano anche di pregnanza tale per cui è ragionevole che il procedimento giurisdizionale penda.

Venendo all’istituto dell’assegnazione,  è da dire che esso non è eccentrico rispetto alla esigenza di massimizzare i profitti della liquidazione dell’attivo e di assicurare la par condicio creditorum. Sotto questi due angoli prospettici, invero, tra procedura esecutiva individuale e concorsuale non v’è alcuno iato, nel senso che sia nell’una che nell’altra si deve vendere al prezzo più alto possibile e deve giungersi alla soddisfazione delle ragioni dei creditori (procedente ed intervenuti) nel rispetto dei criteri scolpiti negli artt. 2740 e ss c.c.. Questo esito non è osteggiato ex se dalla disciplina dell’assegnazione, poiché se così fosse essa non dovrebbe albergare nemmeno nell’esecuzione singolare, ove invece è espressamente prevista e regolamentata, anche allo scopo di impedirne distonie rispetto ai fini or ora richiamati.

Ciò detto, allora, a nostro avviso la domanda di assegnazione formulata da uno dei creditori concorsuali da un lato, sebbene non prevista, non è strutturalmente e funzionalmente incompatibile con la liquidazione fallimentare poiché alla liquidazione fallimentare lo stesso legislatore ha ritenuto di poter rinunciare quando essa appaia non conveniente. Dall’altro: consentendo l’allocazione del cespite in tempi certamente più rapidi della vendita, rispetto a questa meglio presidia il principio della ragionevole durata del processo; non necessariamente contrasta con i principi di pari trattamento dei creditori e di massimo profitto.

Ovviamente quanto detto non si traduce nella possibilità di mutuare sic et sempliciter la disciplina dell’istituto, siccome tessuta dal codice di procedura civile, nel microcosmo della procedura concorsuale. Al contrario, essa potrà essere qui importata solo ove sia stato positivamente verificato, caso per caso, che non si alteri la par condicio creditorum e che l’assegnazione risulti più conveniente rispetto all’alternativa della vendita. A quest’ultimo proposito deve sottolinearsi che qui necessariamente si sostanzia una ineliminabile differenza tra l’assegnazione in sede di espropriazione individuale e quella cui può darsi corso in ambito fallimentare. Infatti, mentre nell’esecuzione singolare l’istituto è normato in guisa da riconoscere al creditore che ne faccia tempestivamente richiesta un vero e proprio diritto al trasferimento del bene in suo favore (ove, beninteso, la procedura si sia svolta in modo fisiologico ed il prezzo di assegnazione non sia inferiore a quello giusto, nei termini in cui questo concetto è stato ricostruito da Cass., Sez. 3, n. 18451 del 21/09/2015), nel fallimento la mancata tipizzazione dell’assegnazione non consente di connotarla, dal lato del creditore, come diritto soggettivo del medesimo, con la conseguenza che il suo accoglimento è rimesso all’apprezzamento discrezionale del Giudice delegato, il quale dovrà valutarne la convenienza rispetto alla vendita e la sua idoneità a preservare la garanzia di pari trattamento dei creditori.

Fatta questa premessa, che si rendiamo conto essere di non semplicissima comprensione per i non addetti ai lavori, e vendendo a suggerimenti pratici, il consiglio che ci sentiamo di offrire è il seguente.

In primo luogo occorrerà verificare il programma di liquidazione per accertare se la vendita si stia svolgendo ai sensi dell’art. 107 comma primo o comma secondo.

Infatti, se la vendita fosse in corso di svolgimento ai sensi del primo comma (cioè attraverso procedure competitive) il creditore potrebbe fare una offerta di acquisto per un prezzo (che tuttavia dovrà versare) che la curatela potrebbe ritenere conveniente, a fronte della rinuncia a partecipare alla distribuzione dell’attivo.

Al contrario, se la vendita fosse in corso di svolgimento ai sensi dell’art. 107 comma secondo, e cioè attraverso l’applicazione delle norme del codice di procedura civile, non riteniamo vi sia spazio per percorrere una strada di questo tipo.

anna7 pubblicato 09 aprile 2018

Mi rendo conto della complessità del problema posto e vorrei ringraziarvi per la risposta. Vi confermo che la vendita sta avvenendo attraverso procedure competitive e da quello che leggo uno spiraglio c'è; quando dite che potrei fare un'offerta per un prezzo, significa che alla proposta devo allegare già assegno circolare con l'intera somma? C'è qualche esempio di come stilare una proposta di questo tipo? Grazie ancora. Anna

inexecutivis pubblicato 10 aprile 2018

no, no vi sono modelli da compilare, ne è necessario allegare assegni o cauzioni in genere.

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