Rispondiamo alla domanda richiamando preliminarmente i dati normativi che consentono di affrontare il caso da lei prospettato.
Ai sensi dell’art. 65 c.p.c., compito del custode è quello di conservare ed amministrare i beni sequestrati o pignorati.
Analoga disposizione si rinviene nell’art. 560, ultimo comma, c.p.c., che attribuisce al custode il compito di “amministrazione e gestione” del bene pignorato affidato alla sua custodia.
Egli, inoltre, ai sensi dell’art. 67, comma secondo, c.p.c. è tenuto al risarcimento dei danni cagionati alle parti, se non esercita la custodia da buon padre di famiglia.
In giurisprudenza è stato poi affermato che alla vendita forzata, sono applicabili le “norme del contratto di vendita non incompatibili con la natura dell'espropriazione forzata, quale l'art. 1477 cod.civ. concernente l'obbligo di consegna della cosa da parte del venditore. Ne deriva che, in relazione allo "ius ad rem" (pur condizionato al versamento del prezzo), che l'aggiudicatario acquista all'esito dell'"iter"esecutivo, è configurabile un obbligo di diligenza e di buona fede dei soggetti tenuti alla custodia e conservazione del bene aggiudicato, così da assicurare la corrispondenza tra quanto ha formato l'oggetto della volontà dell'aggiudicatario e quanto venduto. Pertanto, qualora l'aggiudicatario lamenti che l'immobile aggiudicato sia stato danneggiato prima del deposito del decreto di trasferimento, il giudice è tenuto a valutare la censura dell'aggiudicatario medesimo, diretta a prospettare la responsabilità del custode (nella specie, della curatela fallimentare che aveva proceduto alla vendita forzata), in base ai principi generali sull'adempimento delle obbligazioni (art. 1218 cod. civ.), per inadeguata custodia del bene posto in vendita, fino al trasferimento dello stesso” (analogamente, cass. 30/06/2014, n. 14765).
Detto questo, per quanto riguarda i danni all’immobile, affinché il custode sia chiamato a rispondere è necessario che egli possa esercitare di fatto un potere di controllo sul bene, (potere che viene meno allorquando il debitore permane nella disponibilità del fabbricato). In questi casi ci sembra corretta la prevalente opinione dottrinaria, secondo la quale i danni arrecati all’immobile dal debitore che occupi il medesimo non possono ascriversi alla responsabilità del custode, in quanto non è identificabile il capo a questi una condotta esigibile, capace di evitarli. Detto altrimenti, è difficile ipotizzare quale iniziativa il custode avrebbe potuto adottare per evitare che il debitore, nel lasciare l’immobile, lo danneggi.
Questi concetti sono stati più volte espressi dalla Corte di Cassazione in tema di locazione, laddove si è affermato ad esempio che “poiché la responsabilità ex art. 2051 c.c. implica la disponibilità giuridica e materiale del bene che dà luogo all'evento lesivo, al proprietario dell'immobile locato sono riconducibili in via esclusiva i danni arrecati a terzi dalle strutture murarie e dagli impianti in esse conglobati, di cui conserva la custodia anche dopo la locazione, mentre grava sul solo conduttore la responsabilità per i danni provocati a terzi dagli accessori e dalle altre parti dell'immobile, che sono acquisiti alla sua disponibilità”. (Affermando tale principio, la S.C. ha riconosciuto la responsabilità del conduttore per i danni causati da infiltrazioni d'acqua a seguito della rottura di un tubo flessibile esterno all'impianto idrico, sostituibile senza necessità di interventi demolitori sui muri. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 21788 del 27/10/2015).
Infine, ancora tenuto presente il seguente dato normativo. Ai sensi dell’art. 560, comma quarto, c.p.c., l’ordine di liberazione deve essere eseguito dal custode, anche successivamente all’emissione del decreto di trasferimento, a meno che questi non lo esenti.
Venendo al caso prospettato, è verosimile che l’affermazione del custode, secondo il quale al momento della liberazione del bene dagli attuali occupanti non le saranno consegnate le chiavi, dipenda dal fatto che il custode avrà la necessità di assegnare agli occupanti il termine di cui all’art. 560, comma quarto, c.p.c., a mente del quale quando nell’immobile si trovano beni mobili, il custode assegna all’occupante un termine non superiore a trenta giorni, salvi i casi di urgenza, per provvedere al loro asporto, avvertendolo che in difetti tali beni si intenderanno abbandonati.
Così ricostruita la vicenda, riteniamo che la soluzione potrebbe essere quella di presentarsi sul posto il giorno previsto per la liberazione, e dopo che questa sarà eseguita dal custode chiedere la consegna delle chiavi dichiarando di dispensare il custode medesimo dallo svolgimento delle ulteriori eventuali attività. Certamente, questa richiesta può essere formulata anche in un momento precedente.