Parti comuni di immobile acquistato all'asta

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  • Ultimo messaggio 06 settembre 2021
casma pubblicato 03 settembre 2021

 Salve, Vi scrivo per un confronto sulle "parti comuni" di un immobile acquistato all'asta.

Oggetto della vendita è il solo immobile del quale viene indicata la particella catastale di riferimento. La cosa particolare è che per raggiungere l'immobile in questione bisogna percorrere 3 particelle catastali in comunione tra il fallito e i suoi due fratelli. Dette particelle permettono l’accesso sulla Via pubblica.

Premetto che il cespite in questione ha un accesso secondario, meno comodo, su altra Via pubblica non menzionata nella perizia né nell’ordinanza di vendita. Dunque, in perizia, nell’ordinanza di vendita e nel decreto di trasferimento viene indicato come accesso dell’immobile il solo ingresso che richiede di percorrere le 3 particelle catastali in comunione tra il fallito e i suoi fratelli.

Ciò considerato, faccio fatica a comprendere che tipologia di diritto avrebbe l’aggiudicatario sulle 3 particelle costituenti l’ingresso, posto che nessuna delle 3 particelle viene menzionata nel decreto di trasferimento. A Vs parere di cosa si tratterebbe?

Preciso, altresì, che al termine delle 3 particelle vi è un cancello non elettrificato quotidianamente utilizzato (da un anno e mezzo) dall’aggiudicatario (nel dettaglio attraverso le manovre di apertura e chiusura manuale).

Da qualche settimana uno dei proprietari delle 3 particelle ha bloccato il cancello con delle fascette facendo si che quest’ultimo resti sempre aperto senza possibilità di richiuderlo. Può l’aggiudicatario reclamare il pristino dello stato dei luoghi? Se si, invocando quale articolo di legge oppure attraverso quale azione giudiziaria?

Ho cercato di approfondire la tematica, ma ho trovato solo pronunce riguardanti la vendita di un appartamento all’interno di un condominio laddove il venditore si riservava la proprietà delle parti comuni e dove la Cassazione afferma che, invece, è nulla la clausola di esclusione delle parti comuni quando esse siano essenziali all’immobile, ma ciò in riferimento alla materia condominiale.

Tanto premesso non riesco a configurare detta situazione in termini di diritto.

Per analogia con il settore condominiale dovrei considerare le tre particelle come parti comuni essenziali all’immobile e con esse, dunque, anche il cancello costituirebbe bene comune? Oppure si tratterebbe di un uso? O ancora dovrei agire in giudizio per far accertare la comunione anche in capo all’aggiudicatario?

Chiedo scusa per gli interrogativi, ma vorrei tutelare al meglio il mio cliente.

Grazie mille in anticipo.

inexecutivis pubblicato 06 settembre 2021

Il fatto che la vendita sia avvenuta in seno ad una procedura esecutiva non muta il regime giuridico delle norme che regolano le parti comuni.

Nel caso prospettato mancano i presupposti per dire che si possa costituire una servitù coattiva di passaggio, atteso che l’immobile dispone di altro accesso dalla via pubblica.

Il decreto di trasferimento può invece essere costitutivo di una servitù per destinazione del padre di famiglia.

La servitù per destinazione del padre di famiglia è fattispecie non negoziale la quale ricorre quanto due fondi (o porzioni del medesimo fondo) appartengono ad un unico proprietario, il quale abbia posto gli stessi, l'uno rispetto all'altro, in una situazione di subordinazione idonea ad integrare il contenuto di una servitù prediale e che, all'atto della loro separazione, sia mancata una manifestazione di volontà contraria al perdurare della relazione di sottoposizione di un fondo nei confronti dell'altro (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 16842 del 20/07/2009).

La servitù ricorre solo se esistano opere o segni univocamente indicativi di una situazione oggettiva di subordinazione e di servizio che integri, de facto, il contenuto proprio di una servitù, indipendentemente dalla indagine sulla volontà, tacita o presunta, dell’unico proprietario ne determinarla o nel mantenerla.

Il requisito dell’apparenza (necessario ai fini della esistenza della servitù) deve configurarsi come presenza di opere permanenti e visibili destinate al suo esercizio (Cass. Sez. 2 , Sentenza n. 14292 del 08/06/2017). Deve trattarsi, in particolare, di opere permanenti obiettivamente destinate al relativo esercizio ed attestanti in modo non equivoco l'esistenza del peso gravante sul fondo servente, anche quando tali opere insistano sul fondo dominante o su quello appartenente a terzi. Ne consegue che, ove le opere visibili e permanenti consistano in un portone ed in un androne, siti nel preteso fondo servente e utilizzabili per l'accesso sia a quest'ultimo che al preteso fondo dominante, l'apparenza della servitù postula comunque il riscontro dell'univocità della loro funzione oggettiva rispetto all'uso della servitù stessa (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 24856 del 21/11/2014).

 Applicando questi principi all’esecuzione forzata, dove al pater familias si sostituisce il Giudice dell’esecuzione, se egli nulla dica in ordine allo stato dei luoghi lasciando la situazione di obiettiva subordinazione o di servizio corrispondente al contenuto di una servitù prediale, si concreta la fattispecie di cui al primo comma dell’art. 1062 citato.

In giurisprudenza, nel senso da noi prospettato si è implicitamente pronunciato Trib. Pisa, Sent., 09/01/2014, il quale ha riconosciuto all’aggiudicatario il diritto di servitù di passaggio poiché, a seguito dell’aggiudicazione, la porzione di fabbricato da egli acquistata risultava interclusa.

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