Messa a frutto dell'immobile (locazione) nelle more del processo esecutivo

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  • Ultimo messaggio 01 dicembre 2018
giuseppina pubblicato 05 novembre 2018

Buonasera,

il mio quesito si inserisce nell'ambito di una procedura esecutiva immobiliare su una prima casa di coniugi separati con diritto personale di godimento della casa assegnato in sede di separazione alla moglie ed al figlio oggi maggiorenne, ma ancora studente e non economicamente autosufficiente. Esecutata è la ex moglie, mentre il marito comproprietario dell'immobile è chiamato come fideiussore (ed il suo unico bene è lo stesso immobile oggetto di esecuzione).

L'assegnazione della casa ad opera della sentenza di separazione è stata trascritta prima del pignoramento iniziato dal creditore procedente, ma in data successiva rispetto all'ipoteca iscritta da quello stesso creditore a garanzia di un mutuo fondiario.

Sull'immobile oggetto di esecuzione è stato trascritto - sempre successivamente all'ipoteca del creditore procedente, ma prima del pignoramento - un sequestro di tipo penale a carico di entrambi i coniugi.

Nonostante le molteplici richieste da parte della debitrice di sospensione della procedura esecutiva, in attesa della definizione almeno del primo grado di giudizio del procedimento penale (con possibile mutamento del sequestro preventivo in confisca che, quindi, prevarrebbe comunque sulla procedura esecutiva pendente), il giudice dell'esecuzione ha rigettato ogni istanza in questo senso, disponendo dapprima un periodo di amministrazione giudiziaria e poi rinviando varie volte il procedimento, che ormai pende da diversi anni.

Terminata l'amministrazione e avendo constatato l'amministratore giudiziario incaricato come l'immobile fosse tenuto in ottime condizioni, ma sussistesse ancora un grave impedimento all'appetibilità sul mercato dello stesso, costituito dal sequestro penale e dal relativo procedimento penale ancora in divenire, il giudice ha rigettato nuovamente tutte le istanze di sospensione (o chiusura) della procedura, dando mandato all'amministratore giudiziario di sondare sul mercato l'eventuale interesse ad una locazione dell'immobile, in modo da metterlo a frutto stante la presumibile infruttuosità di una vendita all'asta di un immobile gravato da sequestro.

Ciò implicherebbe l'uscita dall'immobile (prima ed unica casa) della debitrice e del figlio a carico, senza peraltro alcun termine definito, visto che l'immobile potrebbe essere locato per anni prima che la procedura riprendesse il proprio corso verso una eventuale vendita.

E' possibile disporre questo tipo di locazione, evitando così per la procedura l'impaccio di dover procedere a vendita, quasi sicuramente infruttuosa a causa della presenza del sequestro penale? Il debitore, ancora proprietario fino ad un'eventuale vendita all'asta, potrebbe essere allontanato dalla propria abitazione ed in che modo (con un ordine di rilascio opponibile)?

Una procedura esecutiva può continuare a tempo indefinito con rinvii e "stratagemmi", per evitare una probabile vendita infruttuosa (anche se il giudice avrebbe potuto sospendere la procedura molte volte in questi anni e si è sempre rifiutato di farlo) oppure il debitore ha qualche strumento per opporsi ad un'agonia senza fine e per di più con il rischio ora di essere allontanato dal proprio immobile, continuando a corrispondere IMU e tributi come proprietario, ma dovendosi pagare un canone di locazione altrove?

Grazie per il prezioso supporto,

Giuseppina

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inexecutivis pubblicato 08 novembre 2018

A nostro avviso la soluzione adottata dal giudice dell'esecuzione è corretta, e corrisponde ad un criterio razionale di "amministrazione" della cosa pignorata.

Una premessa è tuttavia necessaria affinché la nostra affermazione, e di riflesso l'operato del giudice, sia esattamente inquadrata.

La dottrina insegna, ormai da decenni, che nell'esecuzione forzata la posizione del debitore rimane, per così dire, sullo sfondo, nel senso che la procedura esecutiva nasce come reazione dell'ordinamento al suo inadempimento e la sua funzione esclusiva non tanto quella di comporre interessi contrapposti (quello del creditore e quello del debitore) ma di assicurare la tutela del credito, con la conseguenza che l'unico diritto che in capo al debitore può individuarsi è quello ad un corretto svolgimento dell'iter che deve condurre alla vendita del bene ed alla distribuzione del ricavato tra i creditori aventi titolo.

Ed allora, se il giudice ha ritenuto (secondo noi correttamente) che allo stato un provvedimento di vendita del bene pignorato possa pregiudicare le ragioni dei creditori in quanto la presenza di un sequestro penale scoraggia eventuali acquirenti in virtù del fatto che un possibile provvedimento di confisca sarebbe opponibile all'aggiudicatario, proprio la esigenza di tutelare al meglio le ragioni creditorie giustifica il ricorso all'istituto dell'amministrazione giudiziaria, di liberazione dell'immobile ai sensi dell'art. 560, comma terzo, c.p.c., e di concessione in locazione dello stesso.

Quanto detto trova conferma degli artt. 591 e 592 c.p.c.

Ai sensi dell'art. 591 c.p.c., in caso di infruttuosità della vendita il giudice ha una duplice possibile opzione, che gli impone di decidere se tentare ancora la liquidazione del bene, attivando una nuova vendita, ovvero se attendere tempi migliori per una più fruttuosa liquidazione.

Pertanto, il giudice può:

- nominare un amministratore giudiziario del bene;

- pronunziare una nuova ordinanza di vendita ai sensi dell’art. 576 c.p.c.

Si osservi che l’amministrazione giudiziaria è una situazione reversibile, posto che ai sensi dell’art. 595, comma primo, c.p.c., in ogni momento il creditore pignorante o uno dei creditori intervenuti possono chiedere che il giudice dell’esecuzione, sentite le altre parti, proceda ad una nuova vendita dell’immobile. Inoltre, durante l’amministrazione giudiziaria ognuno può fare offerta d’acquisto a norma degli artt. 571 ss. c.p.c.

Quanto alla durata massima dell'amministrazione giudiziaria, osserviamo che dal combinato disposto degli artt. 592 e 595, ultimo comma, c.p.c. si evince la regola per cui l'amministrazione giudiziaria non può avere una durata complessivamente superiore ai 3 anni.

È discusso in dottrina se l'amministrazione giudiziaria possa essere disposta anche prima dell'inizio del procedimento di vendita o se invece debba necessariamente passare attraverso un preliminare tentativo di collocazione del bene sul mercato.

La lettera dell'art. 591, comma primo, c.p.c. sembrerebbe far propendere per la prima soluzione, nel senso che l'amministrazione giudiziaria sembrerebbe essere concepita dal legislatore quale rimedio alla infruttuosità della vendita compiuta.

Tuttavia, a nostro avviso non vi sono ostacoli ad ammettere che ove i presupposti dell'amministrazione giudiziaria ricorrano e siano individuabili in quanto tali già prima della vendita (ed il caso prospettato nella domanda ne costituisce un chiaro esempio) l'amministrazione giudiziaria possa direttamente disporsi, poiché in questo caso l'esperimento di un tentativo di vendita si risolverebbe in un inutile formalismo, con ingiustificato aggravio dei costi della procedura.

giuseppina pubblicato 08 novembre 2018

Ringrazio per la puntuale risposta.

Nel post precedente ho dimenticato di menzionare che l'amministrazione giudiziaria è stata già disposta, poco dopo l'inizio della procedura, per un tempo complessivo pari a 3 anni.

Questi 3 anni, oltre ai diversi rinvii fin qui disposti, portano il procedimento a pendere inutilmente ormai da 5 anni, con conseguente aggravio di spese.

Mi rimangono quindi ancora alcuni quesiti, alla luce della vostra risposta:

- non riesco a comprendere esattamente in che modo potrebbe inserirsi nella procedura un’eventuale locazione: dato che non può essere più disposta l’amministrazione giudiziaria per raggiunto limite dei 3 anni, in che forma verrebbe attuata la disposizione? Tramite sospensione della procedura, contestuale rilascio immobile da parte del debitore e del figlio e, infine, locazione a terzi? Oppure il giudice dovrà disporre tramite ordinanza di vendita e, nelle more dei vari tentativi di vendita, disporrà la locazione come ulteriore messa a frutto dell’immobile?

- in ogni caso, come si concilia in questo caso concreto l’interesse della procedura rispetto al diritto di proprietà del debitore? Pur avendo compreso il ragionamento in merito alla prevalenza del primo, non mi è chiaro come il giudice potrebbe motivare un ordine di rilascio ai sensi dell’art. 560 cpc, tenendo conto che la debitrice ed il figlio (nel cui interesse è stato a suo tempo disposto il diritto di abitazione nella casa familiare) dispongono unicamente di questo immobile come prima ed unica abitazione.

L’interesse della procedura può legittimare una così grande compressione dei diritti contrapposti di due individui, di cui uno (il figlio) peraltro estraneo alla procedura, oppure queste istanze devono essere adeguatamente soppesate dal giudice dell’esecuzione, che dovrà motivare puntualmente l’opportunità di un provvedimento di rilascio, viste anche le recenti sentenze della Corte di Giustizia europea in materia di tutela del diritto fondamentale alla prima casa (sentenza del 10 settembre 2014 III Sezione Causa C-34/13) rispetto a provvedimenti inutilmente lesivi dello stesso?

Inutilmente lesivi, ritengo, perché pur ancora proprietaria fino ad un’eventuale vendita (che, in linea teorica, potrebbe anche non avvenire e dunque la debitrice potrebbe non perdere mai il proprio status di proprietaria), la debitrice si ritroverebbe a dover lasciare l'immobile e a pagare un canone di locazione altrove, tuttavia continuando a corrispondere i tributi come proprietario. E ciò per una circostanza ostativa - il sequestro penale - nota al giudice dell’esecuzione fin dal principio, e che pure non ha mai spinto lo stesso ad accogliere le richieste di sospensione della procedura fino a definizione del procedimento penale, almeno in primo grado.
La debitrice, inoltre, dispone di un reddito molto basso (al di sotto del cosiddetto minimo vitale), sicchè questa compressione anzitempo del suo diritto di proprietà per una ipotetica “messa a frutto” temporanea porterebbe la stessa ed il figlio convivente non economicamente autosufficiente letteralmente subito in mezzo ad una strada.

- A livello pratico, che tipologia di contratto di locazione (e con che durata) potrebbe essere disposta su un immobile che potrebbe in ogni momento essere sottratto alla procedura esecutiva, nel caso di condanna penale e mutamento del sequestro preventivo in confisca?
Se il sequestro rappresenta un ostacolo alla vendita, allo stesso modo dovrebbe rappresentare un ostacolo ad una locazione: l’eventuale conduttore dovrebbe affittare con il rischio di poter essere in ogni momento obbligato a liberare l’immobile.

Esistono forse delle previsioni speciali in materia, che ad esempio impongano allo Stato, in caso di confisca, di rispettare comunque le locazioni in corso fino al loro termine? In caso contrario, riesce ancora più difficile capire come il giudice potrà motivare l’utilità di un ordine di rilascio per consentire una locazione che, magari, potrebbe durare appena pochi mesi ed essere improvvisamente interrotta da una confisca.

Come da voi riferito, ai sensi dell'art. 591 c.p.c., in caso di infruttuosità della vendita il giudice può decidere se tentare ancora la liquidazione del bene, ovvero se attendere tempi migliori
per una più fruttuosa liquidazione. In questo caso, però, non si è mai proceduto ad alcun tentativo di vendita, ma semplicemente a continui rinvii (tramite amministrazione giudiziaria o rinvii di udienza) per tentare di seguire passo passo il procedimento penale, invece che più opportunamente sospendere la procedura esecutiva in attesa di definizione di quella penale.

Infine, potrebbe rilevare forse anche la circostanza per cui il debitore sia, al tempo stesso, anche creditore intervenuto nel procedimento esecutivo, in forza di ipoteca iscritta sulla porzione di
immobile di proprietà dell’ex marito per mancata corresponsione di assegni di mantenimento del figlio?

L’ipoteca è stata iscritta successivamente rispetto a quella del creditore oggi procedente (e prima del sequestro penale), ma il valore stimato dell’immobile è tale che, in caso di vendita al primo tentativo e soddisfatto il creditore procedente, il debitore/creditore intervenuto potrebbe veder parzialmente soddisfatto anche il proprio credito.

Quindi, in ordine ai rimedi, i miei quesiti sono due:   - Il debitore e/o il figlio(come terzo leso da un eventuale ordine rilascio immobile) non dispongono di alcuno strumento per fermare questa inutile e gravosa compressione dei loro diritti, chiedendo non di prevalere sul diritto del creditore procedente, ma semplicemente di porre fine ad una procedura senza fine attivando la vendita o sospendendo per attendere tempi migliori per una fruttuosa liquidazione?
Il debitore, nella sua veste di creditore intervenuto, potrebbe avere qualche strumento per opporsi ad inutili ulteriori dilazioni della procedura esecutiva dopo 5 anni di pendenza, che aumentando le spese di giustizia di fatto comprimono le sue possibilità di ricavare qualcosa dall’eventuale vendita?

inexecutivis pubblicato 10 novembre 2018

Rispondiamo separatamente a ciascuna delle domande formulate.

A proposito della locazione, nessun ostacolo normativo impedisce che la essa sia stipulata dal custode, previa autorizzazione del giudice dell'esecuzione, anche al di fuori dell'amministrazione giudiziaria.

Se ne trae espressa conferma dall'art. 559, comma secondo, c.p.c., a mente del quale al custode è fatto divieto di dare in locazione l'immobile pignorato senza autorizzazione del giudice dell'esecuzione, dal che si ricava, per sottrazione, che la locazione del compendio pignorato è del tutto ammissibile. Peraltro, secondo la giurisprudenza, "La locazione stipulata dal custode giudiziario, a tal fine autorizzato dal giudice, di un immobile sottoposto ad esecuzione forzata, è contratto la cui durata risulta "naturaliter" contenuta nei limiti della procedura concorsuale, non potendo essere opposta a colui che abbia acquistato il bene a seguito di vendita forzata" (Cass., Sez. III, 28/09/2010, n. 20341); rispetto ad essa, pertanto non si pongono neppure i problemi di durata legale minima e di eventuale rinnovo tacito che tradizionalmente rilevano nella disciplina speciale delle locazioni.

Quanto ai profili dei rapporti tra il diritto del debitore e continuare ad abitare l'immobile e l'esigenza di liberare il bene, osserviamo quanto segue.

L’occupazione dell’immobile da parte del debitore è uno dei tradizionali ostacoli alla, sia perché disincentiva financo la visita del bene da parte dei potenziali acquirenti, che ivi troverebbero ad attenderli il debitore (si osservi, per inciso, che ai sensi dell’art. 560, ultimo comma, c.p.c., gli interessati all’acquisto hanno diritto di visitare l’immobile posto in vendita, e la visita dell’immobile deve svolgersi ed in modo tale che sia garantita la riservatezza della loro identità) sia perché determina in capo agli interessati il legittimo timore di non poter entrare nella disponibilità dell’immobile dopo il versamento del saldo prezzo e l’adozione del decreto di trasferimento.

Di contro, la liberazione dell'immobile ha lo scopo di garantire all’aggiudicatario o all’assegnatario l’acquisto di un bene libero, posto che una delle strade attraverso cui si può ottenere il risultato tendenziale di assimilare la vendita giudiziaria alla vendita negoziale è quella di garantire all’acquirente l’immediata disponibilità dell’immobile a seguito dell’emissione del decreto di trasferimento, posto che tradizionalmente uno dei fattori che maggiormente disincentiva il mercato dall’avvicinarsi alle vendite giudiziarie è rappresentato dall’incertezza e dalla paura dei tempi e dei costi necessari a conseguire il possesso materiale del bene.

Il tutto, si noti, anche nell’interesse del debitore poiché quanto più alto sarà il valore di vendita, quato più celere sarà il procedimento di liquidazione del bene, tanto maggiore sarà l’effetto esdebitatorio di cui egli potrà beneficiare,

Orbene, mentre l’adozione dell’ordine di liberazione è obbligatoria nel momento in cui l’immobile viene aggiudicato, essa è facoltativa in un momento precedente. In questi termini si è espressa la Corte di Cassazione, la quale ha osservato che “è rimessa al potere discrezionale del giudice dell'esecuzione la decisione circa l'emissione dell'ordine di liberazione dell'immobile pignorato prima dell'aggiudicazione e circa i tempi della sua esecuzione a cura del custode, nonché, per contro, circa il rilascio al debitore dell'autorizzazione a continuare ad abitare l'immobile e circa eventuali condizioni cui subordinare tale autorizzazione” (cass. civ., sez. III, 3 aprile 2015, n. 6836).

Quanto ai criteri cui deve essere ispirata questa facoltà, va osservato che a seguito della modifica dell’art. 560 c.p.c. ad opera della riforma del 2005, il rapporto tra ordine di liberazione e autorizzazione ad abitare l’immobile si pone in termini di regola-eccezione, in ragione del fatto che, come sopra si è detto, la liberazione dell’immobile meglio soddisfa l’esigenza della procedura ad una veloce e fruttuosa vendita del cespite pignorato. Così la citata giurisprudenza, la quale ha osservato che mentre prima della riforma (del 2005) appariva preminente l'interesse del debitore a continuare ad abitare l'immobile, con attribuzione al giudice dell'esecuzione del potere di rimuovere l'ostacolo, costituito dal sopravvenuto pignoramento, mediante il rilascio dell'autorizzazione, con la modifica dell’art. 560 c.p.c. “il legislatore … ha imposto al giudice dell'esecuzione una valutazione di portata più ampia rispetto a quella necessaria in precedenza per il rilascio dell'autorizzazione. Mentre quest'ultima riguardava essenzialmente la situazione abitativa del debitore e della sua famiglia, a seguito della modifica normativa il giudice dell'esecuzione deve valutare, in via prioritaria, se liberare l'immobile, a meno che non ritenga di autorizzare il debitore a permanervi (e fatta salva comunque l'obbligatorietà dell'ordine di liberazione al momento dell'aggiudicazione)".

In definitiva, esaurito il periodo di amministrazione giudiziaria, la vendita deve riprendere il suo corso, senza che possa procedersi ad ulteriori sospensioni, ostandovi il principio della tassatività delle ipotesi di sospensione della procedura (così si esprime risalente, e mai posta in dubbio, giurisprudenza (Cass. civ., 28.12.1968, n. 4078; Conf. Cass. civ., 3.4.1974, n. 948).

L'unico strumento che potrebbe essere ancora utilizzato è quello della sospensione concordata di cui all'art. 624 bis c.p.c., ma a questo fine è necessario il consenso di tutti i creditori muniti di titolo esecutivo.

Infine, precisiamo che non ci sono varianti, rispetto a quanto abbiano sin qui detto, derivanti dal fatto che il debitore è anche creditore.

giuseppina pubblicato 11 novembre 2018

Ringrazio ancora per il tempestivo riscontro.

 

Mi rimane un ultimo quesito, alla luce di quanto da voi illustrato.

 

Leggo che, nell'addivenire alla propria determinazione in merito all'ordine di rilascio ex art. 560 cpc, il giudice deve tenere in considerazione diversi fattori, non unicamente la situazione abitativa del debitore.

 

 

Tuttavia, lo stesso Disegno di legge 10 marzo 2016, n. 2284 di “delega al Governo recante disposizioni per l’efficienza del processo civile”, in particolare all’art. 1 lett. D) n. 9) prevede di “anticipare il termine ultimo per l’emanazione dell’ordine di liberazione degli immobili pignorati all’atto della nomina del custode, con esclusione dei soli casi in cui l’immobile pignorato sia la prima casa di abitazione del debitore”.

 

Leggo altrove anche alcune ulteriori considerazioni: il fatto stesso che il legislatore abbia previsto col nuovo art 560, fra l’altro recependo quanto già la Cassazione aveva affermato (Cass. n. 25654 del 17/12/2010), che l’ordinanza di rilascio non sia più inoppugnabile, ma al contrario soggetta all’opposizione agli atti esecutivi, chiarisce come la discrezionalità del giudice nel pronunciarla sia assolutamente limitata e l’ordinanza possa essere pronunciata solo in presenza di validi motivi, che non possono essere quelli totalmente generici di una ipotetica vendita al prezzo migliore, in tempi brevi.

 

Come si inseriscono queste considerazioni nel ragionamento da voi svolto, unitamente alle considerazioni svolte dalla Corte di Giustizia europea in materia di tutela del diritto fondamentale alla prima casa (sentenza del 10 settembre 2014 III Sezione Causa C-34/13), posteriori peraltro alla riforma italiana del 2005?

 

Se, come capisco, ora il giudice non potrà che disporre la vendita dell'immobile (non potendo più ordinare ulteriori periodi di amministrazione giudiziaria, né alcuna sospensione, se non ex art. 624 cpc su accordo di tutti i creditori), ciò che rimane nella discrezionalità del giudice è unicamente se ordinare o meno il rilascio fin da ora per la messa a frutto dell'immobile, nelle more della vendita.

 

Può fondatamente il giudice motivare un rilascio per permettere una locazione temporanea, con correlata grande lesione del diritto fondamentale alla prima casa del debitore e del figlio non autosufficiente, visto che si tratterebbe comunque di una locazione di durata variabile (quindi potenzialmente anche molto breve e di poco vantaggio per la procedura, se l'immobile venisse venduto in tempi brevi)?

 

Nel caso tale rilascio venisse ordinato, il figlio (quale destinatario mediato del provvedimento di assegnazione della casa familiare) potrebbe opporsi all’ordinanza di rilascio, in uno o separatamente rispetto al genitore/debitore? Se è vero, infatti, che il figlio non è parte della procedura esecutiva e non può opporre nulla al creditore procedente, questo è vero anche per l’opposizione ad un prematuro (rispetto alla possibile futura vendita) ordine del giudice direttamente ed immediatamente lesivo per la posizione del figlio, che si ritroverà in mezzo ad una strada in virtù di un’ipotetica messa a frutto del bene in attesa della vendita?

 

Poiché il credito per cui il creditore procede è piuttosto elevato, peraltro, una locazione di uno-due anni (ove la parallela procedura di vendita durasse tanto) apporterebbe ben pochi frutti al creditore, ma, al contrario, pregiudicherebbe irrimediabilmente la posizione del debitore e del figlio.

 

Tutto ciò tenendo altresì conto che il debitore è stato nominato custode dell’immobile dal giudice penale in sede di disposizione del sequestro preventivo, sicché oggi un ordine di rilascio da parte del giudice dell’esecuzione si porrebbe anche in contrasto con questo precedente provvedimento di altro giudice. Come potrebbe il debitore rispondere personalmente della custodia dell’immobile di fronte al giudice penale, se venisse forzosamente allontanato dallo stesso?

 

Da ultimo, e ringraziando per la pazienza e disponibilità, vorrei capire se una eventuale transazione con il creditore procedente possa avvenire solo fino al momento in cui il giudice disponga la vendita dell’immobile o anche in un momento successivo (ed ovviamente prima dell’aggiudicazione del bene da parte di terzi).

 

inexecutivis pubblicato 14 novembre 2018

Rispondiamo alle ulteriori richieste di precisazione osservando che motivare un ordine di liberazione con la esigenza di vendere ad un prezzo migliore ed in tempi più brevi non è affatto una motivazione generica, poiché in essa si sostanza, come abbiamo detto, il fine principe dell'esecuzione.

Il fatto che l'ordine di liberazione sia poi dichiarato impugnabile con il rimedio dell'opposizione agli atti esecutivi, nulla aggiunge e nulla toglie al "valore" del provvedimento ma è la semplice conseguenza del fatto che contro i provvedimenti giudiziari deve essere ammesso uno strumento di tutela in ossequio al principio costituzionale di garanzia del diritto di difesa.

Né in senso distonico rispetto al "diritto alla casa" si pone di per sé l'ordine di liberazione, poiché la situazione di partenza è comunque quella di inadempimento del debitore, e l'ordine di liberazione non priva il debitore del diritto alla casa, ma ne anticipa solo gli effetti in funzione dell'interesse proprio della procedura.

L'unico ostacolo alla liberazione potrebbe essere rappresentato dal fatto che il debitore è stato nominato custode del bene con il provvedimento di sequestro penale. In effetti, così stando le cose, il giudice dell'esecuzione per attuare l'ordine di liberazione dovrebbe nominare un diverso custode. A nostro avviso la qualcosa può avvenire, senza che per questo risultino pregiudicate le esigenze sottese al sequestro penale, ai sensi del quarto comma dell'art. 559 c.p.c.

Precisiamo, infine, che anche il terzo può opporsi all'ordine di liberazione, per espressa previsione dell'art. 560, comma terzo, c.p.c.

giuseppina pubblicato 19 novembre 2018

Grazie per gli approfondimenti.

Rimango due quesiti dal mio post precedente, dei quali non sono sicura di aver colto interamente la soluzione:

- l'art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea viene richiamata da diversi provvedimenti in ambito esecutivo, quale limite o argine posto dal legislatore sovranazionale alla totale discrezionalità del giudice dell'esecuzione nell'ordinare il rilascio di un immobile che costituisce prima ed unica casa del debitore, nelle more della vendita, quando questa liberazione non sia assolutamente necessaria per fatto doloso del debitore (es. impedire accessi o visite all'immobile, non manutenere l'immobile o addirittura danneggiarlo per tentare di impedirne la vendita).

Questo comportamento doloso del debitore non si è mai verificato nel caso di specie (anche perchè non vi è mai stato alcun tentativo di vendita, ma solo rinvii e sospensioni, con un'amministrazione triennale nel corso della quale l'amministratore giudiziario ha verificato la continuata ottima manutenzione dell'immobile).

Dato che la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea è equiparata, per la sua forza, agli stessi trattati dell'UE, come può questo richiamo (fatto dalla Corte di Giustizia in numerose sentenze) non costituire alcun ostacolo alla liberazione dell'unica casa del debitore e del figlio non autosufficiente?

Inoltre, non ho compreso se se una eventuale transazione con il creditore procedente possa avvenire solo fino al momento in cui il giudice disponga la vendita dell’immobile o anche in un momento successivo (ed ovviamente prima dell’aggiudicazione del bene da parte di terzi).

Grazie per tutto il prezioso aiuto nel comprendere meglio i contorni normativi e giurisprudenziali di questa complessa vicenda.

 

giuseppina pubblicato 30 novembre 2018

Buongiorno, avete per caso avuto modo di esaminare gli ultimi quesiti? Vi ringrazio molto per il supporto

inexecutivis pubblicato 01 dicembre 2018

Rispondiamo volentieri alle ulteriori richieste di chiarimento osservando che a nostro avviso l'art. 7 da lei citato non è ostativo all'adozione del provvedimento di liberazione dell'immobile anzitempo, proprio in ragione della portata recessiva della posizione del debitore rispetto a quella dei creditori.

Quanto alla transazione con i creditori, precisiamo che la stessa è possibile in qualunque momento, anche prima che si dia corso alla vendita del bene.

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